Stato dell’Asia occidentale e, in piccola parte, dell’Europa sud-orientale, il cui territorio è diviso in due regioni peninsulari: la Tracia (detta anche Turchia europea), e l’Asia Minore, o Anatolia (con le prospicienti isole di Imbro e Tenedo e altre più piccole), separate dallo Stretto del Bosforo, dal Mare di Marmara e dallo Stretto dei Dardanelli; appartengono alla Turchia, inoltre, una sezione dell’altopiano armeno e il lembo settentrionale della Mesopotamia. La Turchia confina a N con il Mar Nero; a NO con la Bulgaria e la Grecia; a O con il Mar Egeo; a S con il Mare Mediterraneo, la Siria e l’Iraq; a E con l’Iran, l’Armenia e la Georgia.
La Tracia, propaggine sud-orientale della Penisola Balcanica, è una depressione di forma triangolare. La regione degli Stretti deriva da fenomeni di sommersione attraverso i quali le acque del Mare Mediterraneo colmarono il Mar Nero e il Mare di Marmara; gli attuali Stretti del Bosforo e dei Dardanelli erano valli fluviali che mettevano in comunicazione i due bacini e il Mediterraneo. Il Bosforo ha coste con pendenza moderata e ricche di insenature, fra le quali il Corno d’oro fu il sito originario del porto e della città di İstanbul, in seguito ampliatasi a S, sulle coste del Mare di Marmara, e sull’altra sponda dello Stretto. La morfologia delle coste della Turchia è in diretta relazione con quella dei rilievi retrostanti, che orlano l’altopiano anatolico. La regione del Mar Nero si presenta come una sequenza regolare e uniforme di massicci paralleli alla linea costiera, con cime che superano a E i 3000 m, separati da valli fluviali: ne deriva una costa senza insenature eccetto gli apparati deltizi dei principali fiumi interni, il Kızıl ırmak, il Sakarya e lo Yeşil ırmak. Anche la morfologia della costa egea deriva dalla struttura delle montagne retrostanti, e presenta coni vulcanici (Ulu Dağ, 2543 m), articolazioni costiere e vallate che agevolarono la comunicazione con l’altopiano. La regione costiera sul Mediterraneo presenta invece archi e rientranze, corrispondenti al percorso sinuoso della catena del Tauro, con rilievi dell’altezza media di 2000 m e cime che superano i 3500 m (Monti Ala o Aladağ); sono però generalmente inutilizzabili le numerose insenature, prive di comunicazione con l’interno; solo in corrispondenza dei golfi di Adalia e Alessandretta due vaste pianure alluvionali consentirono la formazione di antichi insediamenti e di un retroterra agricolo; nella grande piana deltizia in cui sorge Adana, sul Golfo di Alessandretta, sfociano i due principali fiumi mediterranei della Turchia, il Ceyhan e il Seyhan. L’altopiano anatolico, delimitato dalle catene del Ponto a N e del Tauro a S, ha un’altitudine media sui 1000 m s.l.m.; l’omogeneità della regione è interrotta a S dalla presenza di vasti bacini endoreici (Lago Tuz) che impediscono il deflusso delle acque dalla pianura di Konya, di valli di erosione, di massicci isolati che spesso superano i 2000 m, e di grandi apparati vulcanici (Erciyas Daği, 3916 m). A E del fiume Eufrate, nella sezione occidentale della regione armena, le catene del Ponto e del Tauro si fondono a costituire un nodo orografico accessibile solo dall’estremità orientale attraverso la valle dell’Arasse che collega alla Transcaucasia, e da O attraverso alcune strette valli che terminano nell’altopiano anatolico. Qui è situato il più vasto lago della Turchia (Lago di Van, 3764 km2), in una depressione circondata da antichi apparati vulcanici (Nemrut Dağ, 3050 m). Infine, la regione sud-orientale, delimitata dal Tauro, esteso fino ai Monti del Kurdistan, si presenta come un tavolato inciso da solchi di erosione, elevato rispetto alla Mesopotamia che si stende a S, ma con struttura indistinta rispetto a quella.
Il clima dell’altopiano è continentale secco, progressivamente più arido man mano che si procede verso E, con inverni freddi ed estati molto calde, forti escursioni termiche e ridotte precipitazioni, dato che le catene costiere bloccano le correnti umide provenienti dal mare. Sulla costa settentrionale, a inverni alquanto freddi succedono estati miti, con precipitazioni frequenti in ogni stagione. Condizioni climatiche di tipo mediterraneo si verificano nella regione egea, dove le vallate che penetrano nell’interno consentono il passaggio dei venti marini, e in quella meridionale, affacciata al Mare Mediterraneo, con inverni temperati e piovosi ed estati calde e aride.
Nelle caratteristiche della vegetazione si accentua il contrasto fra l’interno del Paese e le regioni costiere. Nell’altopiano prevale la steppa, mentre nelle parti più aride dell’interno e in quelle orientali compare un paesaggio con carattere subdesertico. Le catene che corrono lungo le coste hanno una ricca vegetazione ad alberi a foglie caduche e conifere, sul Mar Nero, e a macchia mediterranea, sulle coste dell’Egeo e del Mediterraneo. La fauna è rappresentata da animali domestici, soprattutto ovini e caprini, e da tempi più recenti anche bovini; cervi e caprioli compaiono nelle regioni montuose orientali affacciate sul Mar Nero. Nelle aree più interne dell’Anatolia sono presenti orsi e lupi. Molto pescose sono le coste del Mar Egeo, del Mare di Marmara e del Mar Nero.
La posizione geografica della Turchia, tra Vicino Oriente ed Europa mediterranea, sembra aver giocato il ruolo più forte nel popolamento, nella partizione regionale e nell’organizzazione produttiva. La stabilizzazione della componente turca, fattore unificante nei riguardi dell’estrema diversificazione interna, in età medievale e moderna si giovò degli scambi fra le culture mediterranee e il substrato asiatico dell’interno, ma non ha impedito la sopravvivenza di regioni umane differenziate, segnate da disparità sociali e territoriali in buona parte corrispondenti alla varietà morfologica e climatica del territorio. L’Impero ottomano, nella sua politica espansionistica, sviluppò una sostanziale tolleranza nei riguardi delle diversità culturali, sociali e religiose delle popolazioni soggette, ma produsse una compagine territoriale gravemente squilibrata, con poche aree in grado di sfruttare le risorse locali, e vaste regioni arretrate, rimaste tali fino all’età contemporanea. Le vicende successive alla Prima guerra mondiale portarono all’espulsione dei Greci, al rientro di gruppi di Turchi dalla Grecia e dalla Bulgaria e alla violenta repressione dei tentativi indipendentisti attuati da Armeni e Curdi, insediati nelle regioni montuose orientali e sud-orientali e interessati, in seguito, da una vigorosa emigrazione sia verso l’estero sia verso le grandi città della Turchia occidentale. Questi processi hanno reso meno eterogenea la compagine etnica del Paese; la popolazione etnicamente turca, tuttavia, assommerebbe a solo due terzi circa del totale, mentre i Curdi sarebbero circa il 19% e numerosi altri gruppi (azeri, arabi, armeni ecc.) rappresenterebbero circa l’1% ciascuno.
A partire dal censimento del 1927, malgrado gli espatri, si registrò un forte incremento demografico fino agli anni 1980; è seguito un rallentamento graduale che conserva alla popolazione turca una dinamica assai vivace: il tasso medio di accrescimento annuo era del 2,2% fra il 1988 e il 1993 e dell’1,3% tra 2001 e 2009, con tendenza a un lieve calo ulteriore, conseguenza di una contrazione della natalità, malgrado un tasso di mortalità pure molto basso (e, così, una popolazione complessivamente giovane). La densità della popolazione (98 ab./km2 in media) è estremamente difforme: le punte massime si registrano nelle due province di İstanbul (europea e asiatica) e nelle regioni asiatiche su Mar di Marmara e Mar Egeo (Kocaeli e Smirne); densità molto più esigue risultano nelle regioni distanti dal mare, fino ai minimi dell’Anatolia orientale (poco oltre 40 ab./km2 in media regionale, ma appena tra 10 e 20 in alcune province). Le città – le principali sono İstanbul (quasi 11 milioni di ab.), Ankara e Smirne – soprattutto dalla metà del 20° sec. drenano abitanti dalle campagne, che restano scarsamente popolate; così è per es. al centro dell’altopiano, dove la provincia di Ankara ha una densità di 176 ab./km2, mentre il valore medio regionale è meno di un terzo.
La popolazione inurbata supera il 69% del totale (2008), ma lo sviluppo urbano struttura una rete fortemente eterogenea di centri di mercato regionali, grosso modo impostata sulla tradizionale armatura di origine greco-bizantina: città commerciali costiere e modesti centri agricolo-pastorali nell’interno, con scarsi rapporti reciproci di integrazione funzionale. La divaricazione è percepibile anche a livello urbanistico: le parti vecchie delle città sono centrate su aree commerciali-direzionali (bazar) e ordinate in quartieri raccolti attorno a centri religiosi; le parti nuove, dove si colloca il centro moderno, sono del tutto separate.
L’industrializzazione ha solo in parte trasformato la struttura urbana del paese, accentuando la polarizzazione sui principali agglomerati. La stessa politica di sviluppo della città di Ankara, pur avendo prodotto impianto di industrie, infrastrutture terziarie e vie di comunicazione, è riuscita solo parzialmente a sostenere lo sviluppo di alcune antiche città di medie dimensioni dell’interno. Rilevanti effetti territoriali sono attesi da un gigantesco programma di sviluppo integrato (GAP, Güneydoğu Anadolu Projesi, «Progetto dell’Anatolia sud-orientale»), che investe circa il 10% della superficie della Turchia. Il progetto prevede la realizzazione di 22 dighe (con 19 impianti idroelettrici) lungo gli alti corsi dell’Eufrate e del Tigri, che dovrebbero portare al raddoppio dell’estensione dei comprensori irrigui (irrigando 1,7 milioni di ha, pari a il 20% ca. della superficie coltivabile del paese) e a una consistente spinta alla produttività agricola, nonché al raddoppio della produzione idroelettrica. Il GAP comporta la costruzione di strade e aeroporti, investimenti industriali, interventi urbanistici, sociali e così via. La realizzazione dei bacini idrici e delle altre opere interessa l’area a popolamento curdo e in primo luogo i fondivalle, da cui gli abitanti sono stati allontanati, provocando un inasprimento delle relazioni tra lo Stato turco e la popolazione locale, ma anche proteste internazionali in difesa delle popolazioni, dell’ambiente naturale e delle testimonianze archeologiche. La costruzione delle dighe (più della metà degli impianti è in funzione dal 2009) ha già inciso pesantemente sulla quantità e la qualità dell’acqua dei due fiumi, a danno della Siria e soprattutto dell’Iraq.
Oltre alla lingua nazionale, il turco, parlato dall’86% della popolazione, rilevante è la diffusione del curdo (12%). La religione è quella musulmana.
La geografia economica della Turchia, in passato strettamente legata alla produttività agricola, si è modificata in ragione dell’industrializzazione, dell’urbanizzazione e dell’esodo rurale. Accanto ai grandi complessi industriali di più vecchia formazione, localizzati in funzione delle materie prime e del mercato locale, si registra da qualche decennio lo sviluppo di settori industriali moderni ad alta intensità di capitale (spesso straniero, dalla fine del 20° sec.) e di piccole e medie imprese orientate anche all’esportazione, la cui localizzazione è meno rigidamente vincolata ai grandi centri urbani, ma continua a prediligere le regioni occidentali e quella sud-orientale, meglio infrastrutturate. L’agricoltura occupa ancora il 30% della popolazione attiva (più che l’industria) ed è segnata da forte disomogeneità delle condizioni naturali, da strutture fondiarie in cui convivono latifondi e microfondi, da forme arcaiche di sfruttamento (seminomadismo, pastorizia) e da scarsa capitalizzazione. Principali prodotti sono i cereali (frumento, orzo), la barbabietola da zucchero, il cotone, rapidamente incrementato dall’attivazione del GAP, la frutta (nocciole, agrumi, uva), le patate, i legumi. Il patrimonio zootecnico, essenziale per parte della popolazione dell’interno, è formato da ovini (23,9 milioni di capi nel 2008) e caprini (5,5 milioni, in prevalenza capre d’Angora, produttrici di lana mohair), in consistente calo, e bovini (11 milioni). L’industria moderna, sorta negli anni 1930, malgrado un mercato interno ristretto e la carenza di manodopera specializzata e tecnologie adeguate, ha preso sviluppo con impianti minerari (lignite e carbone, ferro, cromo, materiali da costruzione), cotonifici, zuccherifici e manifatture di tabacco; l’industria meccanica, sorta per iniziativa di filiali di imprese straniere, si è nel tempo molto diversificata; l’industria siderurgica e quella chimica hanno pure conosciuto un forte progresso. I piani di sviluppo, dagli anni 1960, hanno ottenuto di modernizzare i settori più competitivi e commerciali, come il tessile e l’alimentare, oggi largamente orientati all’esportazione, benché tuttora localizzati in funzione dei mercati urbani locali. Notevole, specie in passato, l’intervento pubblico nei settori produttivi. La produzione energetica (167 milioni di kWh ca., di cui 40 di origine idrica, nel 2006) è in crescita per effetto dell’attuazione del GAP. Anche la disponibilità di petrolio (estratto nel paese in modeste quantità) è aumentata, grazie all’apertura dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, pienamente operativo dal 2006. Da decenni la crescita del prodotto interno è molto positiva (oltre il 6% medio annuo negli anni 1970, il 5% ca. fra gli anni 1980 e 1990, il 9% nel 2004, il 5% nel triennio seguente), trainata in specie dall’industria e dal turismo (22 milioni di visitatori nel 2007). La disoccupazione è però ancora elevata (8%) e ingenti sono le migrazioni verso Paesi europei (Germania) e arabi, che coinvolgono circa 1,2 milioni di lavoratori. È discreto il reddito pro capite (12.700 dollari annui, a parità di potere d’acquisto), con un’inflazione da alcuni anni sotto controllo benché elevata (ca. 8% su base annua nel 2008).
La rete viaria (350.000 km, di cui 95.000 asfaltati) e quella ferroviaria (8700 km) si vanno adeguando alle esigenze del Paese, ma non sono abbastanza articolate, privilegiando le regioni occidentali e l’area della capitale. I principali aeroporti sono a İstanbul, Ankara, Smirne, Adana, Diyarbakır, Bursa e Samsun. La bilancia commerciale è passiva, anche se il deficit tende a ridursi; i principali corrispondenti sono Germania, Russia, Italia, Cina.
Dopo la disfatta dell’Impero ottomano nella Prima guerra mondiale e il distacco di tutti i territori arabi (➔ ottomano, Impero), le potenze dell’Intesa posero İstanbul sotto la propria tutela, occupando alcune parti di territorio propriamente turco. La ribellione di settori dell’esercito si rafforzò dopo l’invasione greca di Smirne (maggio 1919), mentre il sultano accettava le dure condizioni del trattato di Sèvres (➔). Guidati da Muṣṭafà Kemāl (➔ Atatürk, Kemāl) i nazionalisti turchi, dopo due anni di guerra, respinsero le forze occupanti dall’Anatolia e dalla Tracia orientale e ottennero più favorevoli condizioni di pace con il trattato di Losanna (➔). Nell’aprile 1920 fu eletta un’Assemblea nazionale, che si proclamò sovrana e costituì un Consiglio dei ministri presieduto da Kemāl; nel 1922 fu abolito il sultanato. Nel 1923 fu proclamata la Repubblica di Turchia e Kemāl fu eletto presidente. La carica di presidente del Consiglio venne assunta da İ. Inönü, vicepresidente del Partito repubblicano del popolo (PRP) che, presieduto da Kemāl fino al 1938, fu di fatto partito unico fino al 1946. Kemāl sottopose la Turchia a un programma di radicali riforme di laicizzazione e modernizzazione. Una rigida politica repressiva venne perseguita nei confronti delle minoranze, in particolare dei Curdi (➔). Ammessa nella Società delle Nazioni (1932), la Turchia aderì nel 1934 all’Intesa balcanica e nel 1935 firmò un accordo di neutralità e amicizia con l’URSS.
Il rafforzamento delle relazioni con la Gran Bretagna fu proseguito, dopo la morte di Kemāl (1938), da Inönü. Neutrale durante la Seconda guerra mondiale, solo nel febbraio 1945 la Turchia dichiarò guerra alla Germania e in seguito partecipò alla costituzione dell’ONU. Durante la guerra fredda si collocò nel campo occidentale, ottenendo importanti aiuti economici e militari dagli USA. All’interno, la politica autoritaria provocò un crescente malcontento, che spinse Inönü ad avviare una limitata liberalizzazione del regime e a introdurre il multipartitismo. Il Partito democratico (PD), formato da dissidenti del PRP, vinse le elezioni del 1950 e C. Bayar e A. Menderes assunsero rispettivamente la presidenza della Repubblica e quella del Consiglio dei ministri. Confermato l’orientamento filo-occidentale, la Turchia partecipò alla guerra di Corea (1950), aderì alla NATO (1952) e al patto di Baghdad (1955).
A partire dal 1955 le crescenti difficoltà produssero un forte malcontento; il governo fu rovesciato nel 1960 da un colpo di Stato guidato dal generale C. Gürsel, che lanciò un piano di austerità. Dopo il varo di una nuova Costituzione, Gürsel fu eletto presidente della Repubblica, mentre Inönü, alla guida di successivi governi di coalizione fra il PRP e forze minori, tentò il rilancio dell’economia. Dalla fine degli anni 1960 la situazione interna fu caratterizzata dal rafforzarsi delle tensioni sociali, dal diffondersi della violenza politica e dall’emergere di tensioni interetniche e religiose nelle province sud-orientali. Sul piano internazionale, l’intervento delle forze armate turche a sostegno della comunità turcofona a Cipro portò a un grave deterioramento delle relazioni con la Grecia.
Dopo il colpo di Stato militare del 1971, i governi che si susseguirono durante il decennio tentarono di far fronte alla crisi ricorrendo a una politica duramente autoritaria. Nel settembre 1980 un nuovo colpo di Stato portò al potere il generale K. Evren che, alla guida di un Consiglio di sicurezza nazionale (CSN), impose la legge marziale, sciolse l’Assemblea nazionale e bandì i partiti politici.
Dopo la legalizzazione di alcuni partiti, le elezioni del novembre 1983 videro la vittoria del Partito della madrepatria (PM), di orientamento conservatore, il cui leader T. Özal assunse la guida del governo, portando avanti un programma economico liberista e sviluppando una politica fortemente repressiva nei confronti delle forze di sinistra e della minoranza curda, verso la quale negli anni seguenti la repressione assunse le proporzioni di una vera e propria guerra, con decine di migliaia di vittime. Nel 1989 Özal fu eletto presidente della Repubblica e nominò Y. Akbulut alla guida del governo. La situazione economica rimase difficile e il Paese continuò a essere interessato da forti tensioni politiche e sociali.
Negli anni 1990, a seguito della ridefinizione dell’assetto internazionale conseguente al crollo del blocco sovietico, la Turchia, punto di incontro geografico, politico e culturale tra Est e Ovest, si trovò nella necessità di riformulare la sua collocazione nelle relazioni con l’Occidente e con i Paesi islamici, ridefinendo allo stesso tempo lo scenario politico interno, nel quale l’affermazione di partiti di ispirazione islamica introduceva elementi di turbativa del quadro istituzionale. Nelle elezioni anticipate del dicembre 1995, provocate dalle dimissioni del governo della signora T. Çiller, la principale formazione di ispirazione islamica, il Partito della Prosperità, con il 21,4%, dei voti conquistò la maggioranza relativa. Il suo leader, N. Erbakan, dopo una lunga fase di difficili trattative, costituì nel luglio 1996 un esecutivo di coalizione. La formazione di un governo a guida islamica, accompagnata da un rafforzamento dei rapporti con l’Iran, alimentò, in particolare negli USA, il timore di una svolta nella collocazione internazionale della Turchia, nonostante la conferma dell’orientamento filo-occidentale. All’interno, dove il governo favorì l’avvio di un processo di islamizzazione dei settori dell’educazione e della giustizia, la sua azione fu ostacolata dai vertici militari, le cui crescenti pressioni nel giugno 1997 costrinsero Erbakan alle dimissioni; pochi mesi più tardi, nel gennaio 1998, una sentenza della Corte costituzionale, sfidando la condanna delle organizzazioni per i diritti umani, metteva fuori legge il Partito della Prosperità. Mentre i reduci della formazione islamica venivano in larga parte accolti nel Partito della Virtù, all’indomani delle elezioni legislative dell’aprile del 1999 il premier uscente B. Ecevit, leader del Partito democratico di sinistra che aveva ottenuto la maggioranza relativa, si poneva a capo di un’eterogenea coalizione a tre, alleandosi al Partito nazionalista d’azione (i cosiddetti Lupi grigi), di estrema destra, e al Partito della Madrepatria. Un profondo nazionalismo appariva l’unico cemento in grado di tenere insieme la vecchia classe politica, che trascinò la Turchia in una grave crisi economica e che non seppe opporre alcuna efficace resistenza al ritorno sulla scena degli eredi di Erbakan. Dopo l’ennesima misura anti-islamica emessa dai militari anche nei confronti del Partito della Virtù, il fronte islamico si ricompattò nel 2001 nelle file del più moderato Partito della giustizia e dello sviluppo guidato da R.T. Erdoğan. Intanto nel 1999 la Turchia aveva ottenuto lo status formale di Paese candidato all’adesione all’Unione Europea, che richiedeva sostanziali riforme in materia di diritti umani, per equiparare la Turchia agli standard comunitari.
Tra il 2000 e il 2001 andarono ulteriormente aggravandosi i fattori di crisi: la corruzione, la mancanza di democrazia e una fortissima inflazione minacciavano alle basi tutto il sistema di potere, che uscì sconfitto nelle elezioni del 2002, vinte dal Partito della giustizia e dello sviluppo. Una condanna per incitamento all’odio religioso impedì a Erdoğan di assumere la guida del governo fino all’approvazione di un emendamento costituzionale che nel 2003 gli restituì l’elettorato attivo e passivo, consentendogli di subentrare nella carica di primo ministro al compagno di partito A. Gül. Nel 2007 la candidatura di quest’ultimo alla presidenza della Repubblica fu fortemente avversata dalle Forze Armate, che si fecero paladine delle tradizioni laiche del paese. Le imponenti manifestazioni di piazza di sostenitori di ambedue i fronti crearono un acceso clima di tensione, inducendo il governo a indire elezioni anticipate. La netta vittoria del Partito della giustizia e dello sviluppo consentì la nomina di Gül alla presidenza e rafforzò la leadership di Erdoğan, che poté riprendere il cammino di riforme necessarie all’ingresso della Turchia nell’Unione Europea e procedere al varo di una Costituzione, limitativa del potere dei militari (2010). Alle elezioni legislative del giugno 2011, per la terza volta consecutiva dal 2002 Erdoğan e il Partito della giustizia e dello sviluppo si sono riconfermati alla guida della Turchia, conquistando però un numero minore di seggi (325 rispetto ai 341 delle consultazioni precedenti), insufficiente a permettere al presidente di indire l'annunciato referendum per la riforma della Costituzione.
Il processo di trasformazione avviato da Erdoğan - che ha imposto il primato del potere civile su quello militare ma ha infranto le norme dell’antico ordine laico ed esasperato la polarizzazione tra cultura rurale e cultura urbana -, associato all’assenza di un partito di opposizione in grado di incanalare in forme istituzionali il dissenso, ha prodotto un crescente scontento che ha generato forme di protesta quali quelle esplose nel maggio 2013 a Istanbul contro la costruzione di un centro commerciale in piazza Taksim, nel luogo in cui attualmente sorge il parco Gezi; manifestazioni di denuncia contro la deriva islamista e autoritaria avviata dal premier, di cui sono state chieste le dimissioni, si sono estese in molte altre città del Paese fino a interessare anche la capitale. Nonostante il vasto movimento di protesta si sia andato rafforzando nei mesi successivi a seguito di forti limitazioni della libertà di espressione imposte da Erdoğan e del suo coinvolgimento in una serie di scandali, alle consultazioni amministrative tenutesi nel marzo 2014 il Partito della giustizia e dello sviluppo del premier si è confermato primo ottenendo il 45,6% dei consensi, con un calo di soli tre punti rispetto al risultato delle politiche del 2011, mentre al Partito popolare repubblicano, prima forza dell'opposizione, è andato il 28,4% delle preferenze. Erdoğan è stato eletto presidente della Turchia, ricevendo il 53% delle preferenze, al primo turno delle consultazioni tenutesi nell'agosto 2014, le prime a suffragio universale diretto nella storia del Paese; nello stesso mese ha nominato il ministro degli Esteri A. Davutoğlu suo successore alla guida del governo e del Partito della giustizia e dello sviluppo. Alle elezioni parlamentari tenutesi nel giugno 2015 il Partito della giustizia e dello sviluppo di Erdoğan, pur confermandosi prima formazione politica del Paese, ha perso la maggioranza assoluta, ottenendo poco più del 40% dei voti e 258 seggi, mentre il Partito popolare repubblicano si è aggiudicato circa il 25% dei suffragi (131 rappresentanti) e il partito di sinistra filocurdo dell'HDP, formatosi nel 2014 e alla prima prova elettorale, ha registrato il 13% circa dei consensi, superando la soglia del 10% e garantendosi l'accesso in Parlamento. Fallite le trattative per la formazione di una coalizione di governo, nell'agosto 2015 sono state annunciate nuove consultazioni, da tenersi nel mese di novembre, mentre Erdoğan ha incaricato il premier uscente Davutoğlu di formare un esecutivo ad interim. Alle elezioni, tenutesi nel mese di novembre, il partito del presidente ha nuovamente conquistato la maggioranza assoluta ricevendo il 49,4% dei voti (risultato ottenuto nonostante il partito filocurdo HDP sia riuscito ad entrare in Parlamento aggiudicandosi 59 seggi, seppur perdendo un milione di voti rispetto a giugno), ciò che gli ha consentito la formazione di un governo monocolore con 316 seggi in Parlamento su 550 guidato da Davutoğlu. La linea moderata del premier e la sua crescente autonomia nell'ambito delle relazioni con l'Unione europea hanno però nei mesi successivi aperto un profondo contrasto con il presidente Erdoğan, ciò comportando nell'aprile 2016 la decisione di Davutoğlu di rassegnare le dimissioni; nel mese di maggio Erdoğan ha conferito l'incarico di formare un nuovo governo all'ex ministro dei Trasporti B. Yildirim. Nel luglio successivo è stato sventato un colpo di stato organizzato dai militari, e nel corso degli scontri di piazza hanno perso la vita centinaia di persone. A pochi giorni dal golpe e con l'approvazione del Parlamento, l'uomo politico ha dichiarato lo stato di emergenza per tre mesi, decidendo inoltre di non applicare in via temporanea la Convenzione Europea per i diritti umani; in ragione di ciò nello stesso mese il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione per interrrompere le trattative di adesione della Turchia all'Unione europea. Nel gennaio 2017 il Parlamento turco ha inoltre approvato con 339 voti favorevoli su 550 gli emendamenti alla Costituzione contenuti in un pacchetto di 18 articoli, che limitano il potere giudiziario e accentrano i poteri governativi nelle mani del presidente, abolendo la carica di premier; non avendo raggiunto l'approvazione dei due terzi del Parlamento, nel mese di aprile le modifiche costituzionali, che di fatto trasformano il Paese in una repubblica presidenziale, sono state sottoposte a un referendum popolare e approvate con il 51,4% dei pareri favorevoli. Nell'aprile 2018 il presidente Erdoğan ha deciso di anticipare al giugno successivo le elezioni presidenziali e legislative previste per il novembre 2019, con le quali è stato sancito il passaggio al sistema presidenziale approvato dal referendum: prevedibilmente, l'uomo politico è stato riconfermato a larga maggioranza nella carica al primo turno, ottenendo il 52,5% dei consensi, mentre nelle elezioni amministrative tenutesi nel marzo 2019 la coalizione Alleanza popolare comprendente l'AKP e il Partito del movimento nazionalista (MHP, Milliyetçi Hareket Partisi), pur avendo ottenuto la maggioranza su base nazionale (51,7%) superando nettamente la coalizione di opposizione Alleanza nazionale (37,6%) e riscuotendo consensi soprattutto nelle aree rurali, ha perso il controllo di grandi aree metropolitane quali Istanbul, Ankara, Smirne e Antalya.
In politica estera, nel contesto geopolitico profondamente alterato dall’esplosione nel febbraio 2022 del conflitto bellico russo-ucraino, il disallineamento del Paese – fautore di una politica autoritaria e revisionista - rispetto alle democrazie liberali degli Stati membri dell’Unione europea e dell'Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico è stato almeno parzialmente superato dall’interesse strategico a condurre azioni comuni coerenti ed efficaci. In questo quadro va interpretato il memorandum di intesa trilaterale sulle esportazioni di armi e la lotta al terrorismo firmato nel giugno 2022 per la rimozione del veto posto dal Paese alla richiesta formale di adesione alla NATO presentata nel mese precedente da Finlandia e Svezia, rinviando però nel gennaio 2023 a tempo indeterminato il dialogo trilaterale, sebbene la procedura di ratifica degli accordi da parte dei parlamenti dei Paesi membri fosse già stata avviata; nel marzo 2023 Erdoğan ha dato il via libera per la ratifica da parte del Parlamento di Ankara della domanda di ingresso presentata da Helsinki all’Alleanza atlantica, togliendo nel luglio successivo quello posto alla Svezia. Alle presidenziali tenutesi nel maggio 2023 il presidente uscente ha ottenuto il 49,3% dei consensi nel confronto con il candidato dell'opposizione K. Kılıçdaroğlu, che ha sconfitto al ballottaggio con il 52% dei suffragi, ottenendo un nuovo mandato.
Nel febbraio 2023 il settore sud-orientale del Paese è stato interessato da serie di eventi sismici che hanno raggiunto magnitudo 7.8, con epicentro la regione di Gaziantep, provocando oltre 40.000 vittime e ingentissimi danni a insediamenti e infrastrutture.
Lingua letteraria ufficiale della Turchia, comunemente designata con il nome di turco, è fondamentalmente l’osmanico, che dal 1928 ha abbandonato il sistema alfabetico arabo per adottare quello latino.
La letteratura turca ottomana è, insieme a quella araba e persiana, fra le principali letterature islamiche. I suoi inizi si collocano in Anatolia, tra la fine del 13° sec. e gli inizi del 14°, quando si estingueva il sultanato dei Selgiuchidi di Konya e spuntava l’astro degli Osmanli. Tra le prime personalità emergono il poeta Yūnus Emre (m. 1310 ca.), il cui canzoniere mistico è di rara freschezza e intensità, e gli altri mistici Gülshehrī e ‛Āshiq Pascià. Alla spontaneità di questi inizi succede un periodo di arte cortigiana e artificiosa, strettamente influenzata da quella persiana, per argomenti, forme metriche, lingua e stile: è il periodo dei «canzonieri» (dīwān edebiyyāti; turco moderno dīvān edebiyātı), che va dal 15° sec. alle soglie del 19°, e accompagna l’ascesa e la decadenza dell’Impero ottomano. Tra i suoi poeti spiccano: nel Quattrocento Sheikhī, Aḥmed Pascià, Negiāti; nel Cinquecento Fuẓūlī (che poetò propriamente in lingua àzeri, lievemente diversa dall’osmanico) e Bāqī; nel Seicento Nef‛ī, Thābit e Nābī; nel primo Settecento Nādim; nel tardo Settecento Ghālib. L’opera di questi e innumerevoli altri artisti minori, spesso di squisita perfezione formale, insiste monotonamente sugli eterni temi dell’amore, del vino, della bellezza primaverile, solo qualche volta indulgendo al realismo della satira e dello sfogo personale. È una poesia in cifra, rigidamente stilizzata. Anche la prosa di questi secoli è pomposa e artificiosa. Accanto alla più nota letteratura aulica si era andato sviluppando il filone della «letteratura popolare» (halk edebiyātı), basato sulla quartina e sulla metrica turca nazionale, con poeti di alto valore, il più noto dei quali è Qaragiaoghlan (17° sec.).
Nel corso del 19° sec., sotto l’influsso europeo e durante la crisi dell’Impero, venne sviluppandosi la letteratura turca moderna, che si stacca dall’antica per la lingua, tendendo ad abbandonare gli eccessivi arabismi e persianismi per accostarsi alla parlata viva, per lo stile che si fa più semplice, per le forme letterarie e gli argomenti, affrontando, sul modello europeo, la novella, il romanzo, il teatro. È dapprima la letteratura del periodo delle riforme (tanẓīmāt edebiyātı), i cui corifei sono ‛Ākif Pascià, Ibrāhīm Shināsī, e soprattutto N. Kemāl, vero rinnovatore romantico e patriottico, autore, con il suo Vatan yahud Silistre («Patria ovvero Silistria», 1873), del primo dramma nazionale turco. Altro grande romantico fu ‛Abd ül-Ḥaqq Ḥāmid, lirico e drammatico assai acclamato negli ultimi decenni dell’Ottocento. Con l’aprirsi del 20° sec., e soprattutto con la caduta dell’Impero e la fondazione della Repubblica turca, ha inizio la fase della «letteratura nazionale» (milli edebiyātı). Emerge in essa, anteriormente alla rivoluzione kemalista, il novelliere Ö. Seyfeddin, mentre nel primo periodo della nuova Turchia repubblicana e laica si collocano i poeti M. ‛Ākif, Y. Kemal, considerato tra gli ultimi rappresentanti della poesia classica, e soprattutto N. Ḥikmet (➔), il più celebre all’estero, vissuto in esilio ma fedele alla lingua materna; i romanzieri H. Edip, Y.K. Karaosma;noğlu, R.H. Karay, e R.N. Güntekin. Tra i maggiori autori turchi del Novecento vi furono inoltre i poeti F. Hüsnu, C. Kulebi (Adamın biri, 1946; trad. it. Un uomo qualunque, 1986), il romanziere e poeta N. Cumali, autore di un romanzo sulla Bosnia, (Viran dağlar «Monti in rovina», 1996), F. Halici.
La transizione della Turchia, nel secondo dopoguerra, dal regime monopartitico alla democrazia pluralista, conclusasi nelle libere elezioni del 1950, e la rapida crescita del capitalismo determinarono importanti sviluppi nella letteratura turca moderna. Dagli anni 1950 l’approccio ottimistico alla rivoluzione nazionalista si spense definitivamente, lasciando il posto a una critica radicale delle contraddizioni sociali che si erano sviluppate nel mondo turco. Alle origini di questa critica si pone la poesia del citato Ḥikmet, la cui arte appare strettamente legata agli ideali della rivoluzione marxista. Esponente significativo della letteratura turca degli anni 1950, più volte candidato al premio Nobel, è Y. Kemal, autore del romanzo İnce Memed (1955; trad. it. Memed il falco, 1997).
Negli anni 1960-70, insieme a una maggiore articolazione sociale, si introdussero nella letteratura nuovi approcci e temi, come l’emigrazione dalle zone rurali verso le metropoli europee e le grandi città e la denuncia della repressione, che caratterizzò in particolare la prosa politicamente schierata, con un’attenzione quasi ossessiva alle persecuzioni, alla prigionia e alla tortura subite dai militanti del movimento. Il colpo di Stato che aprì il decennio 1980 segnò la fine della politicizzazione precedente, portando al centro del dibattito i problemi di identità sociale e individuale, questioni mai risolte della modernizzazione turca e ora rilette al di là degli schemi ideologici. Così si affermarono le ricerche di nuove forme orientate al postmodernismo, con un uso del linguaggio che spaziava dal simbolico all’allusivo, al fantastico. Importante in questo contesto l’opera della scrittrice L. Tekin, arrivata alla notorietà, nel paese e all’estero, narrando la povertà e l’emarginazione secondo un’ottica nuova e personale in una trilogia (Sevgili Arsız ölüm, 1983, trad. it. Cara spudorata morte, 1988; Berci Kristin çöp masalları, 1983, trad. it. Fiabe dalle colline dei rifiuti, 1993; Buzdan Kılıçlar «Spade di ghiaccio», 1989). L’opera di Tekin è proseguita incentrandosi sulla funzione psicologica e sociale della lingua (Aşk işaretleri «Segni d’amore», 1995, e Ormanda ölüm yokmuş «Sembra nel bosco non ci sia la morte», 2001). O. Pamuk (➔), premio Nobel per la letteratura nel 2006, sfrutta le possibilità espressive della letteratura postmoderna, combinando le suggestioni provenienti dalle tradizioni letterarie occidentale e orientale. Si è inoltre diffusa una letteratura che mostra il timbro ideologico del movimento politico di stampo religioso, ed è significativa l’esaltazione, da parte degli scrittori del movimento musulmano, dei valori nazionalistici e morali contro il cosiddetto materialismo occidentale.
Da notare, in questo panorama, l’emergere di una letteratura della diaspora turca in Europa. Fiorita in particolare in Germania, essa è rappresentata da scrittori turchi appartenenti alla seconda o terza generazione di emigrati, oppure da quanti hanno scelto di stabilirsi in Germania in seguito all’intervento militare del 1980. Il fenomeno più emblematico di questa letteratura è il successo ottenuto da una generazione di scrittori turchi di lingua tedesca, come il poeta Z. Şenocak, la scrittrice A. Tekinay, il narratore J. Arjouni. Altri autori turchi all’estero sono N. Gursel, scrittore e turcologo che vive e insegna a Parigi, noto anche in Italia con Kadınlar kitabı (1983; trad. it. dal francese, La prima donna, 1989), e D. Özlü, residente in Svezia, noto per i suoi racconti esistenzialisti e surrealisti, incentrati sul problema dell’alienazione.
I più antichi prodotti dell’arte turca sono oreficerie e le guarnizioni di oro, già in uso prima dell’era cristiana presso le popolazioni delle regioni vicine agli Altai: esse sono generalmente dette scite (fibule ecc., a forma di animali stilizzati, lavorate a sbalzo). Raggiunse presto livello artistico anche l’arte tessile, sia nelle tele per la decorazione delle tende, sia nei tappeti. È in questi due campi che la Turchia ha recato il maggior contributo all’arte islamica, portandovi una forte tendenza alla decorazione fin dal 9° sec. e con maggior forza dall’11° (➔ islam). Nel periodo ottomano l’arte e l’architettura hanno saputo fondere le esperienze delle epoche precedenti esprimendosi in modi originali (➔ ottomano, Impero).
L’apertura verso l’Occidente si avviò nel 19° sec. con lo sviluppo, in pittura, di generi inediti per la cultura turca (paesaggio, natura morta, studio della figura umana): da ricordare Ahmet Paşa e S. Seyyit e soprattutto O. Hamdi, direttore dal 1881 del Museo Imperiale Ottomano e dell’Accademia, fondata nel 1883 a İstanbul, città guida anche dopo la creazione della repubblica. L’Associazione dei pittori ottomani, dal 1917 Associazione dei pittori turchi, di cui fece parte N. Güran, con la rivista Naşir-i Efkâr («Promotore d’idee»), organizzò mostre, dal 1923, anche ad Ankara. Nel 1933 il gruppo D, fondato da N. Berk, fu punta dell’avanguardia in Turchia mentre un interessante progetto inviava artisti nelle varie province.
Oltre a eventi culturali come la Biennale Internazionale di İstanbul e la Biennale Asia-Europa di Ankara, un ruolo importante a sostegno dell’arte contemporanea in Turchia è stato svolto sia da gallerie private sia da istituzioni e centri espositivi come il Centro di Arte Contemporanea BM (1984) e il Museo di Arte Contemporanea (1992) di İstanbul. L’attenzione ai modi espressivi occidentali, dall’astrattismo alla pop art, dal minimalismo all’arte concettuale, e insieme un recupero della tradizione e l’esplorazione del confine tra Oriente e Occidente, hanno segnato la ricerca della seconda metà del 20° secolo. Influenti personalità sono A. Coker, A. Gürman. Hanno mantenuto un legame con la tradizione, attraverso l’arte della calligrafia, N. Okyay e H. Aytac, trasmessa ai più giovani A. Alpaslan e H. Çelebi. K. Önsoy lavora nell’ambito delle esperienze materico-gestuali; si riallacciano a ricerche concettuali A. Öktem, E. Aksel, S. Kiraz, mentre M. Morova si esprime attraverso pittura, collage e installazione. H. Tenger realizza impegnate installazioni, coinvolte nella realtà contemporanea; E. Ersen crea opere complesse, tra fotografia, video, installazione e azione. Lavora nell’ambito della videoarte Ö. Ali Kazma. Nell’uso delle tecnologie avanzate e della net art si ricordano G. Incirlioğlu, architetto e fotografo; xurban.net, sigla nata nel 2000 come iniziativa Internet, utilizza il world wide web per progetti artistici, ed è aperta a contributi esterni anonimi.
In architettura l’apertura al modernismo e ai linguaggi d’avanguardia, avviata anche dalla presenza di R. D’Aronco a İstanbul, si accentuò con la Repubblica turca attraverso l’attività di architetti come C. Holzmeister, H. Poelzig, B. Taut, P. Bonatz. Tra gli architetti turchi attivi a cavallo tra 19° e 20° sec., emerge S.H. Eldem che, pur influenzato dai modi occidentali, sentì l’esigenza di un linguaggio nazionale. Delle generazioni successive si ricordano T. Cansever e B. Cinici, mentre tra quelle più giovani si distinguono H. Tumertekin e Studio GAD.
La teoria musicale turca si basa su una scala articolata in modo profondamente diverso da quella europea, che individua all’interno 24 suoni (derivati dai 24 tasti del principale strumento turco, un liuto chiamato tanbur) e distingue su questa base un centinaio di modi. La musica colta profana è strettamente legata alla tradizione araba. La musica sacra si articola in tre generi fondamentali: Ilahi, gli inni per i vari mesi dell’anno musulmano, Tevchic (lodi del Profeta), Ayni Cherif, repertorio dei dervisci. Un aspetto singolare del rapporto tra la musica turca e quella europea è costituito dalla popolarità che ebbe in Europa verso la fine del 18° sec. la musica dei giannizzeri (le guardie del corpo dei sultani), con i suoi caratteristici strumenti a percussione (triangoli, tamburi, cimbali): detta alla turca, fu oggetto di imitazione o almeno di allusione da parte di numerosi compositori, tra cui W.A. Mozart e L. van Beethoven. La creazione di una scuola nazionale turca si deve soprattutto a una serie di compositori nati nel corso del primo decennio del 20° sec. e formatisi soprattutto a Parigi e a Vienna, quali D.R. Rey, U.D. Erkin, A.A. Saygun, N.K. Akses, F. Alnar. Più recentemente si sono imposti N. Kodalli, F. Tüzün, I. Baran, M. Su. Un conservatorio nazionale fu fondato a İstanbul nel 1915, cui si affiancarono poi alcune istituzioni musicali di grande impor;tanza come il Teatro Municipale di İstanbul e il Teatro di Stato di Ankara.