Dispersione in varie parti del mondo di un popolo costretto ad abbandonare la sua sede di origine. In particolare, la dispersione degli Ebrei nel mondo antico, dopo le deportazioni in Assiria (721 a.C.) e a Babilonia (586 a.C.), è legata soprattutto alla fine di un’entità politica ebraica in Palestina con la duplice distruzione di Gerusalemme da parte dei Romani nel 70 e nel 135 d.C. Dopo la d. provocata dai Romani, il tema del ritorno in Palestina degli Ebrei dispersi divenne uno dei più comuni della letteratura apocalittica e delle aspettative messianiche del giudaismo.
Il termine d. è stato ripreso, in età contemporanea, per indicare la dispersione di membri di una comunità in paesi dove la maggioranza degli abitanti segue una fede diversa o in relazione a vicende politiche che hanno portato alla dispersione di gran parte di alcune popolazioni.
Per analogia gli indoeuropeisti indicano come d. la frantumazione della originaria unità linguistica indoeuropea, cioè la ramificazione e successiva differenziazione del nucleo di dialetti da cui si svilupparono le varie lingue storiche oggi assegnate alla famiglia indoeuropea, in conseguenza degli spostamenti dei popoli che, dall’area molto più ristretta dove in origine tali dialetti erano parlati, si diffusero (a partire dalla fine del 3° millennio a.C.) nell’Europa centrale e poi occidentale, in Asia Minore e in India.