Stato continentale dell’Asia di SO. Confina con il Turkmenistan, l’Uzbekistan, e il Tagikistan a N, con la Cina per un breve tratto a NE (l’appendice che s’incunea fra il Pamir e l’Hindukush), con il Pakistan a E e a S, con l’Iran a O.
L’esplorazione dell’Afghanistan iniziò con le varie spedizioni compiute da Alessandro il Macedone (330-327 a.C.). Altre traversate del paese si ebbero nel sec. 14° a opera di Ibn Baṭṭūṭa, e nel 1602-03 per merito del padre B. de Goes. Importanti ricognizioni furono effettuate agli inizi del sec. 19°, ma la prima vera esplorazione scientifica fu quella (1826-38) dell’americano C. Masson, cui seguirono i viaggi di J.S. Broadfoot (1839), di J.P. Ferrier (1845-54), del maggiore Lumsden (1857-1858); la guerra del 1878 e le operazioni militari del 1881 nel Wāzīrīstān diedero occasione a estesi lavori topografici e cartografici, cui seguirono sistematici rilievi topografici nell’ambito del rilevamento, a scopi politici, di tutta quella regione dell’Asia (1884-86, 1894-96); tra il 1914 e il 1916 fu effettuata una missione tedesca. Con il riconoscimento dell’indipendenza politica (1919) l’Afghanistan allacciò rapporti diretti con vari Stati ed ebbe inizio così l’esplorazione dettagliata (specialmente per le regioni di NO e NE).
Il territorio afghano, che costituisce la porzione nord-orientale dell’altopiano iranico, ha un carattere spiccatamente montagnoso: infatti, oltre il 49% del territorio supera i 2000 m e l’altezza media dell’Hindukush è di 4500 m. In questa esasperata fisionomia plastica si possono individuare tre zone morfologiche: una centrale di vere e proprie montagne, di età alpina, bastione divisorio fra le altre due meno elevate, situate a N e a S. Dall’Hari, a O, si estende verso E prima la catena del Paropamiso (alto in media 2000 m; max 3594 m), affiancato poi da altre catene che, elevandosi oltre i 3000 m, si restringono presso l’imponente massiccio del Kūh-i Bābā (5143 m), ben irrorato (come dimostra lo spesso manto nevoso sulla sommità), a sua volta accompagnato a N da una larga fascia di ‘prealpi’. A Oriente il rilievo si allarga di nuovo nell’Hindukush propriamente detto, un insieme di catene parallele con prevalenza di rocce granitiche e metamorfiche, le cui parti culminali assumono forme orizzontali, consunte, in evidente contrasto con la marcata ripidità delle gole che l’attraversano. All’estremità orientale le montagne, abbassandosi, s’incurvano poco a poco verso il Pamir: le valli che vi si interpongono si mantengono a notevole altitudine, cosicché modesto è il dislivello rispetto alle cime stesse.
La zona settentrionale dell’Afghanistan, l’antica Battriana, è costituita da una fascia pedemontana, lentamente digradante in un tavolato di calcari mesozoici, i cui limiti scendono a picco sulla pianura dell’Amudar´ja, verso la quale defluiscono i corsi d’acqua: questa risulta formata da estese coltri alluvionali ed eoliche, inclinate verso il gran fiume, con zone sovente coperte da dune mobili, testimoni di un ambiente desertico; tuttavia, nelle vallate e in direzione del pedemonte diventa fertile, con oasi agricole, che la trasformano in una delle regioni più produttive del paese.
La terza zona morfologica si identifica con la parte meridionale dell’Afghanistan: essa è dapprima un coacervo di catene che dal sistema dell’Hindukush, con orientamento NE-SO, vengono a morire nella vasta area tabulare e desertica divisa in due sezioni dal fiume Helmand. Questo, scorrendo incassato, dopo aver raccolto le acque dell’immenso anfiteatro montano, va a sfociare negli specchi d’acqua di Hāmūn-i-Sabari e di Gaud-i-Zirih, che occupano la conca di sprofondamento del Sistan.
Posizione geografica, altimetria e disposizione dei rilievi giocano un ruolo determinante sul clima dell’Afghanistan, che ha quasi ovunque caratteristiche continentali. Le precipitazioni si concentrano nei periodi invernale e primaverile e sono in genere scarse: dai 50-150 mm delle basseterre, ivi comprese le aree subdesertiche e desertiche meridionali e settentrionali, si passa ai valori anche superiori a 500 mm annui dei rilievi nord-orientali (Nūristān), marginalmente influenzati dal monsone di mare. Un clima subtropicale, temperato, che consente colture mediterranee, interessa le porzioni meridionali e orientali del paese. Tra i venti va ricordato quello ‘dei 120 giorni’, che spira costantemente e con particolare violenza nel Sistan e nel Khorasan da giugno a settembre.
In conseguenza della sua struttura morfologica, gran parte del territorio afghano è privo di deflusso al mare: ciò vale per i fiumi che dagli opposti versanti delle alteterre centrali tributano a N e a S, rispettivamente all’Amudar´ja (e quindi al Lago d’Aral) e alle depressioni endoreiche del Sistan, oppure si consumano nelle aree steppiche che attraversano. Fa eccezione una ristretta zona di NE che, mediante il Kabul e pochi altri fiumi, manda le sue acque all’Indo. Dal Kūh-i Bābā, il principale nodo idrografico dell’Afghanistan, irradiano altre maggiori arterie: tali il Surkhāb, l’Hari, l’Helmand con l’Arghand-āb e il ricordato Kabul. Le portate sono condizionate dal clima: meno irregolari quelle alimentate dallo scioglimento delle nevi e dei ghiacciai, decisamente torrentizie le altre. Il deserto dunoso del Rigestan rappresenta una estesa zona areica.
Il quadro etnico attuale è piuttosto composito, ospitando l’Afghanistan genti diverse che, insediatesi in regioni spesso inaccessibili, hanno potuto conservare caratteri somatici e generi di vita peculiari. La maggioranza della popolazione è formata da Pashtūn, agricoltori stanziali e allevatori nomadi e seminomadi; vengono poi i Tagiki, per lo più coltivatori diretti, sedentari delle regioni montuose del Centro e dell’Ovest; quindi gli Hazāra, seminomadi e lavoratori stagionali delle montagne nord-orientali, le più povere, che rappresentano la parte mongola della popolazione afghana, probabilmente entrati nel paese in seguito alle conquiste dei Mongoli (12°-15° sec.). Gli Uzbeki e i Turkmeni, discendenti dai Turchi penetrati nell’Afghanistan nel Medioevo, sono ottimi agricoltori e allevatori che vivono nel Nord, soprattutto nella provincia di Balkh. Gruppi minori sono quelli dei Chirghisi, dei Cafiri, dei Beluci, dei Sikhs e dei Karakalpaki. Tranne gli Hazāra che sono sciiti, il resto della popolazione professa la religione musulmana di rito sunnita. Lingue ufficiali sono il dari e il pashtō, quest’ultimo più diffuso; linguaggi minori sono propri di altre etnie.
È difficile valutare la reale consistenza demografica dell’Afghanistan, in quanto l’invasione sovietica prima, l’intensa guerriglia poi e infine il conflitto apertosi con gli Stati Uniti nell’ottobre 2001 hanno in gran parte condizionato il quadro demografico, causando, oltre a centinaia di migliaia di vittime, spostamenti di abitanti, sia all’interno del paese sia verso i paesi contermini (secondo l’UNHCR, nel 2009 erano ancora 1,7 milioni gli afghani in Pakistan e 935.000 quelli in Iran). Il calcolo della popolazione totale è affidato a stime, risalendo l’ultimo censimento ufficiale al 1979. Le Nazioni Unite quantificavano la popolazione nel 2010 in 31,4 milioni di abitanti, in notevole aumento rispetto al dato del 1979 (15,5 milioni di abitanti). Tale incremento è conseguenza di un tasso di natalità elevatissimo, in assoluto uno dei maggiori del mondo (44‰ nel 2010), ancorché in parte bilanciato dalla mortalità, anch’essa notevolmente elevata (16,8‰ nel quinquennio 2005-2010). Il tasso di crescita annuo è stato del 2,8%, a cui si aggiungono cospicui rientri degli emigrati (dal 2002 al 2009 sono rientrati in patria oltre 5,6 milioni di afghani). Il tasso di mortalità infantile è andato progressivamente diminuendo, pur rimanendo ancora alto (101‰ nel 2011, ma 136‰ nel 2000), mentre la speranza di vita alla nascita è di 47.2 anni per gli uomini e di 47.5 anni per le donne.
Per quanto riguarda la distribuzione territoriale (a parte il diffuso nomadismo), a una densità media di oltre 48 ab. per km2 si contrappongono vaste aree completamente disabitate o quasi (centro-occidentali e sud-occidentali) e altre, assai ristrette, fittamente popolate (conche e valli ben dotate di risorse idriche e con clima favorevole). Nell’incertezza della situazione politica e nella mancanza di dati statistici ufficiali e attendibili, si può comunque rilevare che, negli anni precedenti l’intervento degli Stati Uniti, la situazione si era lentamente evoluta e la popolazione urbana (30,2% del totale nel 2003), che nel 1995 rappresentava appena un quinto della popolazione complessiva, era successivamente cresciuta a un ritmo del 748% annuo, valore tra i più alti del mondo. Tale trend ha però subito un’inversione di tendenza, e nel 2010 la popolazione urbana era il 23,5% del totale. Le città principali, oltre alla capitale, sono Qandahār, Herat, Mazar-e Sharif, Jalalabad e Qonduz. Sotto il profilo amministrativo, il paese è diviso in 34 province (v. tab.).
L’economia dell’Afghanistan, già fra le più povere del mondo, ha subito ulteriori danni per le vicende politico-militari recenti. Gran parte della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e solo in piccola parte viene raggiunta dagli aiuti umanitari. La struttura portante dell’economia è costituita dall’agricoltura (oltre il 78% della forza lavoro), che contribuisce alla formazione di poco meno di 1/3 del prodotto interno. L’aridità del clima, la tormentata orografia e la povertà dei suoli restringono le aree coltivabili a poche zone lungo il corso dei fiumi, nelle valli ove sono presenti falde acquifere sfruttabili mediante canali sotterranei e in prossimità di sorgenti (12% del territorio nazionale): ma i terreni coltivabili risultano ulteriormente ridotti dalla presenza di numerosissime mine antiuomo non ancora rimosse. Un contributo notevole era derivato dalle grandi opere di sbarramento e canalizzazione realizzate sull’Helmand, sull’Arghand-āb, sull’Hari e sul Kabul, la cui efficienza è risultata peraltro compromessa dalle distruzioni avvenute nel periodo dell’occupazione sovietica. Si coltivano cereali, frutta, cotone e, soprattutto, papavero da oppio (3.600 t nel 2010). Questa risorsa ha costituito una fonte di finanziamento vitale per il governo dei talebani, che, pur dichiarando di volerne impedire la produzione, in realtà non ha fatto nulla per ostacolarla, malgrado le pressanti richieste delle Nazioni Unite. Rilevante resta il patrimonio zootecnico, peraltro anch’esso decimato: 9 milioni circa di ovini nel 2004 (erano 20 milioni negli anni 1970), comprese milioni di pecore karakul, le cui pelli sono largamente esportate; seguono caprini (7,5 milioni) e, a distanza, bovini (3,8 milioni), asini e cammelli.
L’Afghanistan dispone di buone risorse minerarie, in particolare: carbone (Karkar, Ishpusta e Dara-i-Soof), rame (Ainak), petrolio (Herat) e gas naturale (Mazar-e Sharif); un gasdotto lungo 120 km collega Mazar-e Sharif al confine uzbeko: la produzione di gas naturale era stimata a 30 milioni di m3 nel 2009 (erano 3 miliardi di m3 nel 1987). Le attività industriali riguardano i settori più tradizionali: tessile, cemento, ceramica e lavorazione di prodotti agricoli. A Mazar-e Sharif è attivo un impianto per la produzione di fertilizzanti azotati; un’acciaieria a Jangalak. Fra le attività artigianali (alle quali è dedita la maggioranza degli attivi dell’intero settore), tipiche sono la fabbricazione dei tappeti, che alimenta una redditizia corrente esportatrice, il cesello, l’oreficeria e la pelletteria.
Estremamente carente è la rete delle comunicazioni: mancano quasi del tutto le ferrovie, anche se nel 2011 è stata inaugurata una linea ferroviaria lunga 75 km che collega la città afghana di Mazar-e Sharif a quella uzbeka di Hairatan; poche sono tuttora le strade asfaltate (12.350 km su un totale di 42.150 km; su di esse nel 2004 circolavano poco più di 400.000 autoveicoli); le antiche carovaniere hanno, specie in corrispondenza dei passi, pendenze sensibili; i fiumi, irregolari nelle portate e tormentati nel percorso, sono raramente utilizzabili. Le linee aeree, gestite dalla compagnia di bandiera Ariana, collegano Kabul con gli aeroporti nazionali e con quelli dell’Asia sudoccidentale e meridionale. I profondi mutamenti avvenuti nei paesi dell’Europa orientale e in quelli che costituivano l’Unione Sovietica, già principali partner commerciali, hanno portato a un radicale cambiamento del quadro degli scambi internazionali dell’Afghanistan, nel quale vanno inserendosi, con un ruolo di crescente importanza, alcuni Stati dell’Unione Europea. Il paese, comunque, difficilmente potrà ampliare le proprie esportazioni (gas naturale, frutta, pelli, lana, tappeti) e la sua bilancia commerciale è destinata a rimanere nettamente deficitaria.
Storicamente l’Afghanistan è stato un territorio di frontiera, esposto agli influssi culturali e alla dominazione dell’India da E, della civiltà iranica da O e dei popoli delle steppe da N. Gli insediamenti più antichi, di età paleolitica, si concentrano nel Nord del paese (Aq Kupruk, Kara Kamar); l’età del Bronzo si prolungò fino all’inizio del 1° millennio a.C. Con il 6° sec. a.C. tutte le regioni furono conquistate dalla dinastia persiana degli Achemenidi; un’iscrizione di Dario a Bistūn ricorda la Battriana e il Gandhāra tra le satrapie orientali dell’impero. Con la conquista di Alessandro Magno (329 a.C.) e poi sotto i Seleucidi, l’Afghanistan si aprì all’influsso culturale del Mediterraneo greco. Nel corso del 3° sec. a.C. le regioni orientali furono soggette all’impero indiano dei Maurya, mentre nella Battriana si costituì, a partire dal 250 a.C., uno stato greco indipendente, il regno greco-battriano, con capitale amministrativa Ai Khānum. Dal 150 a.C. i territori greci vennero invasi da popoli nomadi provenienti dal Turkestan cinese; si impose allora il buddhismo, che soppiantò il precedente zorohastrismo. L’islamismo si impiantò nel sec. 9° e fiorì sotto la dinastia dei Ghaznavidi (sec. 10°-12°), irradiandosi verso l’India. L’Afghanistan ebbe una nuova epoca di splendore sotto i Timūridi, turchi iranizzati (sec. 15°).
Tra il 1° sec. a.C. e il 1° sec. d.C. fiorì la cosiddetta arte greco-buddhistica del Gandhāra, che avrebbe influenzato profondamente l’arte buddhistica dell’Asia centrale (la più antica rappresentazione databile del Buddha, attribuita al 1° sec. a.C.-1° sec. d.C., proviene da Dalunta, presso Jalalabad). Tra il 5° e il 7° sec. fiorì il centro buddhista di Bāmiyān, con le sue decine di grotte artificiali e le due grandi statue del Buddha (distrutte nel marzo 2001 dal regime teocratico dei talebani). Con l’invasione araba del paese, insieme alle concezioni religiose, si imposero gli edifici (palazzi, moschee) e l’arte decorativa (bronzi cesellati, ceramica invetriata, stucchi modellati ad arabeschi) caratteristici dell’Islam.
Nel sec. 16° iniziò l’espansione degli Afghani (fino allora il paese era conosciuto nella cultura islamica come parte del Khorāsān). Fondatore dello Stato afghano si può considerare Aḥmed Khān, il capo degli Afghani Abdālī che, alla morte di Nādir Shāh di Persia (1747), si proclamò re a Qandahār, assumendo l’epiteto di Durr-i Durrān (‘perla delle perle’), onde la sua tribù prese il nome di Durrānī. Ai suoi discendenti immediati, che trasferirono la capitale a Kabul, successe nel 1826, con Dōst Muḥammad, la famiglia dei Bārakzā’ī. Per la sua posizione strategica, l’Afghanistan interessò grandemente la Gran Bretagna. Nel 1809 fu stipulato il primo trattato anglo-afghano, volto a impedire un’eventuale invasione francese o persiana dell’India. Il successivo estendersi dell’influenza della Russia, cui i governanti afghani si appoggiavano per controbilanciare l’influenza britannica, provocò la prima e la seconda guerra afghana (1839-42 e 1878-79), che confermarono, non senza difficoltà e gravi perdite, l’influenza inglese. Il più notevole sovrano afghano del sec. 19° fu ´Abd ur-Raḥmān Khān, che spezzò la potenza feudale dei capi tribù e avviò il paese sulla via della modernizzazione. Egli e il suo successore Ḥabīb Ullāh si mantennero fedeli al trattato con il quale nel 1880 si era conclusa la seconda guerra afghana: l’Afghanistan godeva piena indipendenza interna e riceveva sussidi dal governo dell’India, ma era vincolato alla Gran Bretagna nella politica estera.
Nel 1919 Ḥabīb Ullāh fu assassinato e il fratello Nașr Ullāh, capo della fazione anti-inglese, fu proclamato sovrano. Contro di lui si pose un altro fratello, Amān Ullāh, che, assunto il potere, proclamò la guerra santa contro la Gran Bretagna; ebbe così inizio la terza guerra afghana, che si concluse (1919) con il trattato di Rawalpindi e il riconoscimento dell’indipendenza dell’Afghanistan da parte della Gran Bretagna, pur vittoriosa. Si ebbe quindi un deciso riavvicinamento alla Russia (trattato del 1921), volto a controbilanciare la sempre forte influenza britannica. Amān Ullāh iniziò un’affrettata opera di occidentalizzazione, ma le sue riforme, specialmente quelle nel campo dell’istruzione, urtarono gli ambienti conservatori, sicché nel 1928 ebbe inizio una rivolta di tribù, guidata da Ḥabīb Ullāh Ghazī, che nel 1929 riuscì a salire sul trono, iniziando un governo di terrore, ma fu presto scalzato da Muḥammad Nādir Khān, un discendente di Dōst Muḥammad. Questi fu proclamato re (1929) e governò fino al 1933, quando venne a sua volta ucciso. Gli successe il figlio Muḥammad Zāhīr, che promosse un’ulteriore, cauta modernizzazione interna, e tutelò la propria indipendenza durante la seconda guerra mondiale, entrando poi a far parte delle Nazioni Unite.
Nel secondo dopoguerra, perseguendo una politica di prudente equidistanza tra i due blocchi, Zāhīr cercò di risolvere la questione delle frontiere (accordo con l’URSS del 1948 e con la Cina del 1963), in particolare di quelle meridionali, dove la nascita del Pakistan causava continue tensioni (rottura delle relazioni diplomatiche nel 1961-63). Sul piano della politica interna, la Costituzione del 1964 avrebbe dovuto istituire la democrazia parlamentare, ma i contrasti tra le forze tradizionali ne impedirono l’applicazione. Il cambio di regime che si ebbe a partire dal colpo di Stato (1973) del gen. M. Daūd, ispirato a esigenze di modernizzazione e di riforma del paese, non portò risultati apprezzabili, nonostante gli aiuti economici sovietici, cinesi e degli Stati islamici, né la Costituzione istitutiva della Repubblica (1977), che conferiva ampi poteri al presidente, riuscì ad arginare i contrasti interni. Un nuovo colpo di Stato (1978) portò al potere il segretario del Partito democratico popolare (comunista) N.M. Taraki, il quale si trovò contro i ceti islamici tradizionalisti e la guerriglia di massa, da essi alimentata. Si arrivò così all’intervento militare dell’URSS (1979), in seguito al quale fu nominato primo ministro B. Karmal. Ciò finì per rinsaldare l’uni;tà tra le molte organizzazioni della guerriglia, i mugiāhidīn, inquadrati su base etnica e territoriale e sostenuti dal Pakistan. L’isolamento internazionale nel quale venne a trovarsi l’URSS, unitamente all’ascesa di M. Gorbačëv (1985), determinarono un graduale disimpegno sovietico, che si concluse il 15 febbraio 1989. Nel frattempo Karmal era stato sostituito (1986) da M. Najibullah, che tentò vanamente una politica di riconciliazione nazionale. Pur confinata nelle zone rurali e divisa in formazioni tra loro ostili per motivi etnici e religiosi (sempre però di ambito islamico), la guerriglia dei mugiāhidīn conquistò Kabul (1992), costrinse Najibullah alla fuga e proclamò lo Stato islamico.
L’accordo di Islāmabād del 1993, con il quale G. Hekmatyar (leader del partito dell’Islam) divenne primo ministro, non riuscì a stabilizzare la situazione. Nella condizione di stallo emerse un nuovo gruppo armato, conosciuto con il nome di Ṭālibān (dall’arabo ṭālib ‘studente’), formato da giovani afghani di origine pashtūn, provenienti dalle scuole islamiche del Pakistan, e da mugiāhidīn delusi dai loro comandanti. Dotati di armamenti sofisticati, grazie anche alla disponibilità di vaste risorse economiche provenienti dal traffico di oppiacei, i Talebani guadagnarono il controllo di vaste zone del paese e nel 1996, dopo mesi di pesanti bombardamenti, presero Kabul.
Il nuovo governo (subito riconosciuto formalmente da Pakistan, Arabia Saudita ed Emirati Arabi) impose misure radicali, basate su una dogmatica applicazione dei principi della sharī‘a. Le forze legate al precedente regime, unitesi nell’UIFSA (United Islamic Front for the Salvation of Afghānistān) si concentrarono invece nelle province settentrionali, riuscendo a mantenere la città di Mazar-e Sharif, importante nodo strategico del paese, fino all’8 agosto 1998. Il 20 agosto gli USA bombardarono alcuni campi di mugiāhidīn, come rappresaglia per gli attentati alle ambasciate statunitensi di Nairobi e di Dar es-Salam, attribuiti all’organizzazione terroristica di Osama Bin Laden, miliardario di origine saudita riparato in territorio afghano. Peggiorarono anche le relazioni diplomatiche con l’Arabia Saudita e con l’Iran.
L’insuccesso dei tentativi della diplomazia internazionale di riavviare il dialogo fra i Talebani e le forze dell’UIFSA e l’inasprimento delle sanzioni da parte dell’ONU per la mancata consegna di bin Laden (dicembre 2000) accentuarono l’intransigenza del governo talebano. La situazione interna precipitò nel settembre 2001; l’uccisione di Ahmad Shah Massud, capo militare e politico dell’opposizione ai Talebani, fu seguita dall’attacco terroristico contro le Twin Towers di New York e il Pentagono e dal nuovo rifiuto dei Talebani di consegnare Osama Bin Laden agli Stati Uniti. Completamente isolato sul piano diplomatico, l’Afghanistan fu sottoposto a pesanti bombardamenti da parte dell’aviazione angloamericana, mentre sul fronte interno riprendeva l’azione dell’UIFSA (spesso indicato durante il conflitto con l’espressione Alleanza del Nord).
Dopo la capitolazione di Kabul (13 novembre), in seguito agli accordi siglati a Bonn il 5 dicembre 2001 tra le varie fazioni interne, fu istituito un governo provvisorio formato dai rappresentanti delle diverse etnie del paese (principalmente Pashtūn, Tagiki, Hazāra, Uzbeki), guidato dal pashtūn Hamid Karzai e affiancato da una forza multinazionale delle Nazioni Unite, cui fu affidato il compito di ripristinare le condizioni per la ripresa della vita politica e sociale. Nel giugno 2002 si riunì la Loya Jirga, l’assemblea tradizionale dei capi dei clan, che confermò alla guida del governo Karzai, nominato anche presidente ad interim. Mentre i corpi speciali americani proseguivano la ricerca di Bin Laden e i rastrellamenti contro i guerriglieri talebani, la transizione politica conosceva fasi di grande tensione. Alla fine del 2003 una nuova riunione della Loya Jirga sanciva l’adozione di una carta costituzionale democratica, che introduceva un sistema di governo presidenziale e un parlamento bicamerale. Il 9 ottobre 2004 si tennero le prime elezioni nazionali dopo 35 anni, che assegnarono la vittoria a Karzai con il 55,4% dei suffragi, confermandolo nella carica di presidente. Successive elezioni parlamentari nel 2005 completarono il nuovo quadro politico. Accanto ai poteri delle nuove istituzioni si riproponevano tuttavia quelli tradizionali dei capi tribù e dei signori della guerra, che continuavano a finanziarsi con il traffico internazionale di droga, mentre la guerriglia talebana riprendeva a sferrare i suoi attacchi contro il contingente internazionale (ISAF, International Security Assistance Force a guida NATO) rimasto a presidiare il paese, riuscendo a stabilire basi permanenti in oltre il 70% del paese. Nonostante il potenziamento delle truppe NATO, l'attività terroristica è cresciuta nel 2009, in concomitanza con le elezioni presidenziali, vinte da Karzai ma viziate da ampie accuse di brogli. Nel giugno 2010 il presidente Karzai si è fatto promotore di una terza Jirga con l'intento di aprire negoziati di pace con i Talebani, che hanno tuttavia disertato l'incontro, minandone anzi lo svolgimento con nuovi atti di violenza. Colloqui diretti tra gli Stati Uniti e i Talebani per trovare una soluzione politica alla guerra sono stati intrapresi dopo l'uccisione di Osama Bin Laden, avvenuta il 1° maggio 2011 nel corso di un'operazione in cui le forze militari statunitensi ne hanno individuato il rifugio nei pressi di Islāmabād.
Al primo turno delle elezioni presidenziali tenutosi nell'aprile 2014 si sono imposti due ex ministri del presidente uscente Karzai: l'ex ministro degli Esteri A. Abdullah, avversario di Karzai alle presidenziali del 2009, che ha ottenuto il 44,9% dei voti contro il 31,5% dei consensi aggiudicatosi dal suo principale sfidante, l'ex ministro delle Finanze ed ex funzionario della Banca Mondiale A. Ghani. Pesanti accuse di brogli in merito allo scrutinio dei voti del secondo turno delle consultazioni hanno reso necessario un riconteggio delle schede, l'esito del quale ha assegnato la vittoria a Ghani, che nel settembre è subentrato a Karzai nella carica presidenziale. Terminata nel dicembre 2014 la missione ISAF, dopo il cui ritiro i talebani hanno guadagnato terreno, fomentati anche dall'avanzata dell'organizzazione terroristica IS, dal gennaio dell'anno successivo è stata operativa Resolute Support, missione Nato in sostegno delle forze di sicurezza afghane il cui rientro ha preso avvio per decisione di J. Biden nel maggio 2021 per concludersi nel mese di settembre; a seguito del progressivo ritiro delle truppe NATO, i fondamentalisti talebani hanno scatenato una nuova offensiva, arrivando a controllare nel mese di agosto il 65% del Paese e dei confini con l’Uzbekistan e il Tagikistan e conquistando numerose città capoluogo, quali Ghazni, Taloqan e Farah, fino alla presa di Kabul, posta sotto assedio dal gruppo fondamentalista e caduta nelle sue mani senza resistenze da parte dell'esercito governativo, ciò che ha costretto il presidente Ghani, riconfermato con il 50,6% dei voti nel febbraio dell'anno precedente con il 50,6% dei voti, ad abbandonare il Paese. Nel settembre successivo, dopo il ritiro definitivo delle truppe NATO e ottenuto il pieno controllo del Paese, i talebani hanno formato un esecutivo ad interim guidato dal terrorista M.H. Akhund.
Minareto e resti archeologici di Jam (2002); paesaggio culturale e resti archeologici della valle di Bamian (2003).