Stato dell’Africa settentrionale. Affacciato sul Mediterraneo, confina a E con Tunisia e Libia, a S con Niger e Mali, a SO con la Mauritania, a O con il Marocco (in parte con il Sahara Occidentale, di fatto incorporato nel Marocco, ma autoproclamatosi indipendente).
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Il territorio algerino consta di due parti radicalmente diverse per dimensioni e aspetti fisici: all’estremo N l’Algeria propriamente detta, ampia non più di 1/10 della superficie totale, appartenente alla regione fisica e storica del Maghrib, montuosa e climaticamente influenzata dal vicino Mediterraneo; a S un vastissimo lembo del Sahara, immensa distesa desertica, interrotta dal massiccio antico dell’Hoggar che culmina a 2918 m e in corrispondenza del quale affiora estesamente lo zoccolo continentale africano. I rilievi dell’Algeria maghrebina fanno parte del sistema terziario dell’Atlante: quelli più settentrionali (Atlante Telliano) risalgono alla fase più recente (pliocenica) dell’orogenesi alpina, hanno forme assai tormentate e sono costituiti da catene costiere, orientate da O-SO a E-NE, e da catene interne, le une e le altre discontinue. Quelle costiere culminano nei monti Ouarsenis (1983 m) e Djurdjura (2308 m), determinando la morfologia del litorale, accidentato da diversi promontori rocciosi tra cui s’interpongono falcature sabbiose; pianure relativamente più ampie si hanno in corrispondenza di depressioni tettoniche (come la piana alle spalle di Algeri, e quelle di Annaba e di Orano) e di valli fluviali (valle del Chéliff). Gli altopiani interni, una successione di pianure mosse da lunghe creste collinari, di altezza variabile tra i 600 e i 1200 m, hanno la loro massima estensione a O, verso il confine marocchino, mentre a E finiscono per confondersi con la catena del Tell, proseguendo in territorio tunisino. Assai aridi e coperti da steppe, sono occupati, nelle parti più depresse, da vasti laghi salati, i chott (tra i maggiori lo Chott el-Hodna). L’orlo meridionale degli altopiani è costituito dall’Atlante Sahariano che, essendo di origine più antica, ha subito più a lungo l’azione erosiva e pertanto ha cime meno elevate, fuorché a E, dove si erge l’imponente massiccio dell’Aurès (2328 m); alcuni punti più depressi costituiscono vie d’accesso alla regione sahariana, come la ‘porta del deserto’ tra Batna e Biskra. Più a S, nella vastissima distesa sahariana, lo zoccolo archeozoico, formato da rocce per lo più metamorfiche, è stato interessato da movimenti orogenici paleozoici, seguiti da una serie di abbassamenti dell’intera piattaforma, con ripetute ingressioni marine e conseguente copertura delle rocce più antiche con strati sedimentari calcarei, arenacei e argillosi; soltanto a occidente, in corrispondenza del massiccio dell’Hoggar lo zoccolo riemerge, coperto in parte da lave basaltiche. Allineato lungo il contatto tra le due placche tettoniche eurasiatica e africana, l’Atlante è area sismica, come provano i frequenti terremoti che colpiscono l’Algeria maghrebina. Tra i sismi del quarantennio successivo al conseguimento dell’indipendenza, sono stati particolarmente violenti quelli del 1980 e 2003, il primo nella zona della città di al-Asnam, il secondo non lontano dalla periferia orientale di Algeri.
L’Algeria settentrionale ha clima mediterraneo, con inverni miti e piovosi ed estati secche nel Tell, e notevoli escursioni tra la lunga e calda estate e gli inverni freddi negli altopiani. La piovosità è di 600-800 mm annui sul litorale, dove cresce da O a E, e alquanto più bassa nel Tell interno (550-650 mm); si aggira sui 400 mm negli altopiani e di nuovo intorno ai 600 mm nel versante settentrionale dell’Atlante Sahariano, mentre scende a 250-300 mm in quello meridionale. A S domina un clima arido, con precipitazioni quasi nulle (vi si verificano solo piogge sporadiche, a volte assai violente) e fortissime escursioni termiche, specie tra il giorno e la notte, quando la temperatura può scendere anche al di sotto di 0 °C. Tuttavia, durante l’era quaternaria, si sono certamente succedute fasi alterne di siccità e di relativa umidità, come testimoniano i letti fluviali fossili degli uidian (➔ uadi), che tuttavia non hanno mai raggiunto uno sbocco al mare.
L’idrografia esoreica attuale dell’Algeria è costituita da fiumi che di solito nascono nell’altopiano, spesso attraversano le catene in gole profonde (famose quelle del Rummel a Costantina) e nel tronco inferiore corrono in valli longitudinali fra le catene dell’Atlante Telliano: i maggiori sono, da O a E, gli uidian Tafna, Chéliff, Soummam, el-Kebir.
La vegetazione del Tell è tipicamente mediterranea a basse altitudini, dove è stata largamente modificata dall’azione umana, che ha spesso sostituito la macchia con colture di olivo, vite, alberi da frutto, cereali. Gli altopiani hanno steppe ad artemisia, con predominio dell’alfa (erba perenne delle Graminacee), e qua e là boscaglie. Nell’Atlante Sahariano solo le zone più elevate e meglio irrorate dalle piogge (Aurès) conservano un rivestimento di boschi.
Gli abitanti originari erano Berberi. Questi nell’antichità subirono l’influsso fenicio, poi, più profondamente, quello romano. La conquista araba (7° sec.) in un primo tempo non alterò molto la compagine etnica; soltanto nel 12° sec. l’elemento arabo respinse i Berberi nelle parti meno accessibili (Cabilia, Aurès) dove tuttora sopravvivono.
L’insediamento europeo risale al 19° sec. (nel 1830 la popolazione locale si aggirava intorno ai 3.000.000 di ab.). La popolazione è rapidamente cresciuta dopo la conquista francese: 5.260.000 ab. nel 1921; 8.681.800 nel 1948 e 10.197.000 nel 1960, poco prima della proclamazione dell’indipendenza. Nel 1998 furono censiti 29.272.343 abitanti. L’incremento demografico ha registrato valori molto elevati nell’arco della seconda metà del 20° sec., con punte massime del 3,3% medio annuo (1980-83); valori dovuti a un tasso di natalità tra i più elevati del mondo, nettamente superiore al 40‰. Solo a partire dagli ultimi anni del Novecento si è registrata un’inversione di tendenza: durante il periodo 1998-2003 il tasso di accrescimento medio è stato infatti dell’1,6% annuo. Il tasso di natalità si è ridotto progressivamente (17,1‰ nel 2006, a fronte del 31‰ nel 1999) e il tasso di mortalità (4,6‰ nel 2003) denota la tendenza a convergere verso quello dei paesi demograficamente maturi.
La maggior parte della popolazione vive nelle pianure costiere urbanizzate e nelle adiacenti vallate montane, mentre la densità di popolazione decresce bruscamente verso l’interno; le regioni desertiche dell’Algeria sahariana sono di fatto disabitate, se si eccettuano isolate comunità nomadi e sedentarie e le ‘città pioniere’ sorte per l’estrazione del petrolio, tra le quali la prima e più nota è Hassi-Messaoud. Irrisoria risulta pertanto la densità media (poco più di 14 ab./km2) riferita all’intero territorio dello Stato. La colonizzazione ha lasciato all’Algeria una discreta rete urbana (le città arabe erano assai meno numerose e importanti che in Marocco e Tunisia), sovradimensionata rispetto alle possibilità economiche e alle esigenze del paese. Il genere di vita delle città si è andato degradando, anche se le agglomerazioni della capitale e degli altri centri maggiori (Orano, Costantina, Annaba) non hanno smesso di crescere, dando anzi luogo alla nascita di periferie caotiche e spesso precarie. Nel 2006 la capitale, Algeri, contava 1.513.570 abitanti; secondo una stima del medesimo anno, la popolazione dell’agglomerazione urbana della capitale era 4.150.000 abitanti. A quella stessa data il 59% della popolazione algerina era da considerarsi urbana. L’esodo degli Europei conseguente alla decolonizzazione ha avuto la sua punta massima nel 1962, con il rimpatrio di oltre mezzo milione di Francesi; attualmente il numero degli Europei è ridotto a meno dell’1% della popolazione algerina. La minoranza berbera (26% della popolazione) vive in buona parte nella regione montuosa della Cabilia, a E di Algeri; i Berberi, pur essendo musulmani, si identificano in un proprio retaggio culturale e rivendicano, a volte con violenza, l’autonomia. Il governo algerino si è finora mostrato contrario, ma ha cominciato a promuovere l’insegnamento della lingua berbera.
Ancora nel corso della transizione da un’economia centralizzata e pianificata a un’economia liberista guidata dal mercato, l’Algeria ha fatto registrare una significativa inversione di tendenza dopo la metà degli anni 1990. Nel periodo 1990-2003 il PIL in termini reali è aumentato in media del 2,3% annuo; l’inflazione è scesa da una punta massima del 20% nel 1992 all’1,9% (stima del 2005), e le riserve valutarie (43,5 miliardi di dollari nel 2004, a fronte di 12 miliardi alla fine del 2000) hanno raggiunto il livello più elevato registrato dopo la conquista dell’indipendenza (1962).
Le principali sfide che l’Algeria si trova ad affrontare sulla via dello sviluppo sono essenzialmente: utilizzare i proventi del gas e del petrolio a beneficio del popolo algerino a lungo termine; creare crescita e impiego in settori economici diversi da quelli legati allo sfruttamento degli idrocarburi per trarre vantaggio dall’aumento della forza-lavoro e per evitare le tensioni sociali provocate dalla disoccupazione; fornire migliori servizi pubblici in modo da coinvolgere tutti gli algerini nell’economia di mercato del 21° secolo.
La disoccupazione, uno dei segni più visibili del malessere dell’Algeria, è in via di lenta, graduale diminuzione (17,1% della popolazione attiva nel 2005). Tende a migliorare anche il dato dell’indice di sviluppo umano, indicatore composito particolarmente significativo del livello di sviluppo sociale ed economico, che combina i dati relativi alla speranza di vita alla nascita (71,1 anni nel 2003), il tasso di alfabetizzazione (69,8%) e il reddito pro capite corretto in base alla capacità di potere d’acquisto (6107 dollari statunitensi). Ma, nonostante il vistoso miglioramento del reddito pro capite (0,5% annuo in termini reali nel periodo 1990-2003), si calcola che ancora un quarto della popolazione viva al di sotto della soglia di povertà, un fenomeno prevalentemente rurale, esacerbato dalla mancanza di lavoro e dalle limitazioni nell’accesso a servizi sociali, sanitari e scolastici.
L’Algeria è tradizionalmente un paese produttore di cereali (grano, orzo), a cui è adibita circa la metà della superficie coltivata, e di vino, largamente esportato (la viticoltura, ampiamente praticata in epoca romana e del tutto scomparsa dopo la conquista arabo-islamica, è tornata a svolgere un ruolo di rilievo con la colonizzazione francese). La produzione delle olive, rinomata nell’età romana e araba e poi trascurata, è stata nuovamente sviluppata dai Francesi. Altri prodotti sono gli agrumi, in località favorite della costa, gli ortaggi e i legumi, in parte esportati come primizie. Tra le piante industriali primeggiano il tabacco e il cotone. Prodotto pregiato delle oasi sahariane (Biskra, el-Oued, Ghardaïa e Ouargla) è il dattero. Dalle foreste si ricava sughero, in parte esportato.
Il patrimonio zootecnico comprende bovini (1,6 milioni di capi nel 2003), che trovano in alcune aziende moderne del Tell le condizioni favorevoli per una buona resa di carne e di latte; ovini (18,7 milioni) e caprini (3,2 milioni) restano gli animali più frequentemente allevati nelle regioni steppiche e predesertiche. Le produzioni alimentari sono insufficienti e il paese deve importare la metà circa del fabbisogno interno di grano. Il governo persegue piani che dovrebbero creare 500.000 posti di lavoro ampliando le terre coltivabili di 700.000 ha e investendo in opere di irrigazione e macchinari. Lo sviluppo dell’agricoltura deve peraltro fronteggiare condizioni meteo-climatiche spesso avverse, con periodi di siccità prolungati, come quello cominciato alla fine del 1999, o di piogge torrenziali e inondazioni (autunno 2001), che determinano forti scostamenti dei raccolti di cereali dai valori medi a lungo termine.
Petrolio e gas naturale hanno rappresentato le forze trainanti dell’economia algerina a partire dalla loro scoperta nel 1956, ed è prevedibile che manterranno tale ruolo anche in futuro. Nei primi anni del 21° sec. la produzione di idrocarburi ha contribuito per il 95% al valore delle esportazioni. Secondo stime del 2004, le riserve provate di petrolio ammontano a 12 miliardi di barili, per il 70% concentrate nei campi di Hassi-Messaoud, mentre le riserve di gas naturale ammontano a quasi 4800 miliardi di m3 (ma le risorse potenziali sono di gran lunga maggiori). L’Algeria è diventata uno dei maggiori fornitori di gas dei paesi dell’Unione Europea, specialmente Italia e Francia. Gran parte del gas è esportato attraverso una vasta rete di gasdotti che collegano il Maghrib all’Europa, i cui tronchi principali sono la linea transmediterranea (Transmed) per l’Italia e la nuova linea Maghrib-Europa (MEG) per la Spagna e il Portogallo. Il forte incremento dei redditi dalle esportazioni di idrocarburi di cui l’Algeria ha usufruito nel corso degli ultimi anni ha determinato un consistente aumento delle riserve valutarie, un’apprezzabile diminuzione del debito estero (22 milioni di dollari nel 2004) e un alleggerimento delle pressioni sulle finanze governative.
Oltre agli idrocarburi, l’Algeria possiede notevoli risorse minerarie (fosfati, minerali di ferro, e depositi locali di carbone, piombo, zinco, mercurio, rame, nonché di oro e diamanti). Recentemente il governo ha deciso di valorizzarne alcune facendo ricorso a moderne tecnologie estrattive ed emanando una legge che incoraggia imprese straniere a investire nello sfruttamento. La produzione di minerale di ferro è raddoppiata negli ultimi anni, raggiungendo i 3 milioni di t annue, e anche la produzione di acciaio è salita da 700.000 a 1,5 milioni di tonnellate.
Tra le industrie di trasformazione si segnala la petrolchimica, con impianti a Skikda e Arzew, che producono 284.000 t annue di metanolo, resine e materie plastiche. Un importante impianto per la produzione di fertilizzanti (800 t annue) è localizzato ad Arzew, un altro ad Annaba. Le industrie di questo settore sono interessate da progetti di espansione che prevedono nuovi complessi produttivi. Nel 1999 è stata completata la costruzione di un impianto per l’assemblaggio di autoveicoli, con una capacità di 300.000 vetture annue. Il processo di privatizzazione in corso in tutti i settori, inclusi quelli delle telecomunicazioni e dei trasporti, sta rapidamente integrando l’Algeria nell’economia globale del 21° secolo.
Il turismo, per quanto dotato di grandi potenzialità, è ancora poco sviluppato per le difficoltà e le restrizioni degli spostamenti nelle regioni interne, a causa della perdurante tensione tra le forze di sicurezza e i militanti islamici. Tuttavia il governo sta assumendo iniziative volte a sviluppare anche questo settore.
Le popolazioni che abitavano l’odierna Algeria furono coinvolte, dal 4° sec. a.C., in tutte le lotte dell’Africa nord-occidentale: in particolare i Numidi, implicati nelle guerre puniche del 3° sec., finirono col cadere tra il 46 e il 44 a.C. sotto il diretto dominio di Roma. Gli Arabi si affacciarono nella regione dopo il 660, prendendovi definitivamente piede al principio dell’8° secolo. La regione condivise a lungo le sorti della vicina Ifrīqiya (Tunisia); dopo il dominio di Aghlabiti (9° sec.) e Fatimidi (10° sec.) fiorì la dinastia dei Banū Ḥammād. Nell’11° sec., come tutta l’Africa settentrionale, l’Algeria fu invasa dai nomadi arabi Benī Hilāl. Assorbita fra 11° e 13° sec. negli imperi nord;africani degli Almoravidi e Almohadi, allo sfaldarsi di questi ultimi riebbe una dinastia locale con gli Abdalwaditi di Tilimsen. Nel 16° sec. cominciò il periodo degli Stati barbareschi; lo sforzo ispano-portoghese per occupare i centri del litorale (Orano, Bugia ecc.) si esaurì rapidamente e lo Stato barbaresco di Algeri, sotto l’alta sovranità della Porta, si mantenne fino al 19° secolo. Nel 1830 un’ingarbugliata questione commerciale indusse la Francia a occupare Algeri. L’occupazione fu estesa poi ai centri della costa, Orano e Bona. Vinta la resistenza di Abd el-Kader, che tentò di organizzare uno Stato musulmano con capitale Mascara, la Francia assunse il controllo di tutta l’Algeria, non senza stroncare nuove rivolte (1871 e 1881). Fin dal 1865 fu offerta agli Algerini la possibilità di diventare cittadini francesi, ma solo se avessero accettato il codice civile francese, cosa sgradita ai musulmani. Si poneva anche la questione della rappresentanza algerina nel Parlamento francese, in quanto la legge (modificata nel 1919, ma rimasta intatta nella sostanza) esigeva che i deputati avessero la cittadinanza francese. A tali problemi i movimenti nazionalistici algerini, nati verso la fine della Prima guerra mondiale, prospettarono soluzioni diverse, dividendosi tra quelli più estremisti, fautori di un’Algeria musulmana, quelli orientati alla piena collaborazione con i Francesi e quelli favorevoli alla collaborazione purché si riconoscessero pieni diritti politici ai musulmani. La disfatta francese del 1940 e la partecipazione degli Algerini allo sforzo bellico del Comitato francese di liberazione nazionale diedero un forte stimolo al movimento indipendentista. Nel 1943 Ferḥāt ’Abbās lanciò il Manifesto del popolo algerino, in cui chiedeva una costituzione che garantisse la libertà, l’eguaglianza e la partecipazione effettiva degli Algerini al governo dell’Algeria. Una prima insurrezione esplose nella Cabilia e nella zona di Costantina nel 1945: la repressione francese fu severa. L’atteggiamento di non collaborazione assunto dagli stessi moderati spinse il governo di Parigi a fare qualche concessione sul piano amministrativo, ma non su quello politico. L’Unione democratica di Ferḥāt ’Abbās perse ben presto terreno a favore dei gruppi più estremisti, che non volevano una Repubblica algerina federata alla Francia. Il 1° novembre 1954 una serie di attentati inaugurava l’insurrezione algerina, che si estese dapprima nella Cabilia, poi su tutto il territorio, sotto la direzione del Front de Libération Nationale (FLN), trasformatosi poi in Governo provvisorio della Repubblica Algerina, con sede nella vicina Tunisia. La Francia rispose con la repressione poliziesca e militare, rifiutando ogni trattativa; ma la durezza della repressione non ebbe ragione del moto insurrezionale, che proseguì nonostante la cattura di Ben Bellā. Dopo quasi 4 anni di guerriglia il governo francese mostrò l’intenzione di trattare; ma a quel punto si scatenò la violenta reazione dei Francesi d’Algeria, che il 13 maggio 1958, grazie anche alla connivenza dei militari, finì per travolgere la stessa Quarta Repubblica, con la chiamata al potere del generale De Gaulle quale difensore dell’‘Algeria francese’. Questi, però, si persuase ben presto dell’inevitabilità di una politica di concessioni e fin dal settembre 1958 prospettò una soluzione intermedia, che prevedeva prima l’autonomia poi l’indipendenza politica del territorio, salvaguardando i rapporti economici con la Francia (interessata soprattutto alla sorte del Sahara algerino, rivelatosi ricco di petrolio). Sentendosi traditi, militari e civili francesi moltiplicarono gli atti di insubordinazione: per due volte (gennaio 1960, aprile 1961) si cercò di ripetere, questa volta contro De Gaulle, l’insur;rezione del 1958, ma senza successo; poi dilagò il terrorismo antiarabo dei coloni, organizzato dall’OAS (Organisation de l’Armée Secrète). Intanto, le trattative tra il governo francese e il fronte di liberazione andavano in porto a Évian (marzo 1962). Il futuro assetto dell’Algeria fu demandato a un referendum popolare da tenersi il 1° luglio 1962; si stabilì un periodo quinquennale entro cui gli Europei d’Algeria avrebbero potuto optare per la nuova nazionalità algerina o la conservazione di quella francese; la Francia fu inoltre associata allo sfruttamento del Sahara.
La nuova Algeria, proclamata indipendente il 31 luglio 1962, nasceva comunque sotto il segno di forti contrasti tra le componenti del fronte di liberazione: Ben Khedda, nominato capo del governo provvisorio nel 1961, fu rovesciato da un’alleanza che nel 1962 elesse Ferḥāt ’Abbās presidente della Repubblica e Ben Bellā capo del governo. Nel 1963, con approvazione referendaria, nacque la Repubblica democratica e popolare d’Algeria, con una costituzione che stabiliva un regime presidenzialista e monopartitico; Ben Bellā divenne capo dello Stato e comandante delle forze armate, conservando altresì la carica di primo ministro. In questa prima fase, risultarono rilevanti l’appoggio politico-economico dell’URSS e un credito della Banca mondiale. Il primo congresso del FLN (1964) pose, con la Carta d’Algeri, le basi del socialismo nazionale, fondato sull’autogestione e orientato verso il movimento dei paesi non allineati e tale tendenza fu confermata dal colpo di Stato di H. Boumedienne. Nel 1970 fu varato il primo piano quadriennale, incentrato su nazionalizzazione in campo petrolifero (che riaccese le tensioni con la Francia), scolarizzazione, arabizzazione e riforma agraria. Mentre si attuava il secondo piano quadriennale, con la riforma del settore commerciale e il rilancio l’agricoltura, la costituzione repubblicana del 1976 sancì la supremazia del FLN e di Boumedienne che nel dicembre successivo fu eletto presidente della Repubblica. Alla sua morte (1978), il congresso straordinario del FLN elesse S. Ben Giadīd (1979), che riaffermò la continuità con il predecessore, ma non accentrò il potere, dando rilevanza alla figura del primo ministro (‘Abd al-Ghanī), e promosse la completa arabizzazione del paese, come richiesto dagli studenti. Rieletto presidente nel 1984 e nel 1988, Ben Giadīd dovette scontrarsi con gravi difficoltà economiche e con la vittoria del FIS (Front Islamique du Salut) alle elezioni amministrative del 1990, che segnalava l’emergere di un’opposizione integralista. La situazione politica divenne oltremodo incerta dopo il primo turno delle elezioni politiche (1992), che vide prevalere nettamente il FIS sul FLN. Si formò allora un Haut comité d’état, appoggiato dai militari e guidato da M. Būḍyāf (già fondatore del FLN e richiamato dall’esilio), che formò un governo provvisorio, represse duramente il movimento islamista e proclamò lo stato d’assedio per un anno. Di contro, l’AIS (Armée Islamique du Salut), braccio armato del FIS, e il GIA (Groupe Islamique Armé), fazione più estremista dell’integralismo algerino, avviarono una violenta campagna terroristica contro il regime. La crisi precipitò con l’assassinio di Būḍyāf (1992), impegnato a combattere il terrorismo e la corruzione politico-finanziaria. Nel 1994 fu nominato capo dello Stato, per un periodo di 3 anni, il generale L. Zeroual, ministro della Difesa ormai in pensione, il cui regime, influenzato dai vertici militari, cercò dapprima un dialogo con gli islamisti, ma si rese poi responsabile di numerose violazioni dei diritti umani. Zeroual fu comunque confermato alle presidenziali del 1995, svoltesi sotto la minaccia di violenze e attentati, e due anni dopo rafforzò i propri poteri grazie a un referendum, boicottato da tutte le forze di opposizione (con l’eccezione del FLN che tornò ad allearsi con il governo). In una situazione segnata da continui massacri ai danni della popolazione (il terribile bilancio era arrivato a circa 100.000 morti), ma anche dalla favorevole congiuntura economica (rialzo del prezzo del petrolio e ridefinizione dei tempi di pagamento del debito estero), si svolsero le elezioni legislative del 1997, che registrarono la vittoria del partito del presidente, il Rassemblement national démocratique, l’affermazione del Mouvement de la société pour la paix, partito islamista fondato nel 1990, e la sconfitta delle forze democratiche impegnate a combattere l’oltranzismo fondamentalista. Le dimissioni improvvise di Zeroual (1998), che pure aveva ottenuto significativi successi contro il terrorismo del GIA, portarono a nuove elezioni presidenziali (1999), il cui vero protagonista sembrò essere ancora una volta l’esercito, rappresentato dal candidato ‘Abd al-‘Azīz Bouteflika (Bū Taflīqa), già braccio destro di Boumedienne, mentre gli altri sei candidati si erano ritirati in segno di protesta per le irregolarità registrate già prima del voto. A pochi mesi dal suo insediamento Bouteflika varò un piano di pace (legge sulla concordia civile) e poco dopo raggiunse un accordo con l’AIS, escludendo però il FIS dalle trattative. Una nuova escalation del terrorismo sancì il fallimento del tentativo di riconciliazione di Bouteflika, che nel 2001 dovette anche affrontare una forte ondata di proteste per le mancate riforme socioeconomiche e le mobilitazioni della popolazione della Cabilia, che denunciava la repressione e il mancato riconoscimento della lingua e della cultura berbere. Tale riconoscimento fu comunque confermato, assieme ad altre concessioni, dal presidente Bouteflika nel 2002. Nello stesso anno il FLN vinse le elezioni generali, caratterizzate da una bassa affluenza alle urne e turbate da nuove violenze e dal boicottaggio di una serie di partiti, due dei quali rappresentavano i Berberi. Nel 2004 Bouteflika ottenne il secondo mandato presidenziale con una vittoria schiacciante. Nel corso del 2005 si raggiunsero nuovi accordi tra il governo e la comunità berbera e con referendum fu approvata la Carta per la riconciliazione nazionale, che offriva l’amnistia ai ribelli in prigione, ai latitanti e ai combattenti ancora attivi, esclusi i responsabili di uccisioni di massa e di attentati in luoghi pubblici. Rieletto nel 2004, Bouteflika guidò l'Algeria nella transizione dalla guerra civile degli anni Novanta verso una relativa pacificazione interna e il ristabilimento dei rapporti internazionali, entrambi ottenuti al prezzo di una forte censura sull'informazione e sui movimenti politici indipendenti. Nel 2009 l'uomo politico è stato riconfermato presidente con il 90% dei voti, dopo che l'anno precedente il Parlamento aveva approvato un emendamento per abolire il numero limite ai mandati presidenziali. Alle consultazioni legislative tenutesi nel maggio 2012 il FLN ha ottenuto 220 seggi su 462, mentre l'Alleanza verde degli islamici moderati si è aggiudicata solo 48 seggi; il risultato elettorale, che ha indotto a sospettare pesanti brogli, sembrerebbe contraddire la perdita di consensi del partito al governo, che pure - sull'onda dei movimenti di rivolta che l'anno precedente avevano investito il Paese e altri regimi arabi - è stato fatto oggetto di aspre contestazioni popolari. Una flessione dei consensi si è registrata anche alle elezioni parlamentari svoltesi nel maggio 2017, alle quali il FNL si è comunque confermato primo partito, conquistando 164 seggi su 462, seguito con 97 seggi dall'alleato Rassemblement National Democratique (RND). Violente proteste sono esplose nel Paese nel marzo 2019 contro la ricandidatura di Bouteflika alle presidenziali previste per il mese successivo: l'uomo politico è stato costretto a ritirarsi, rimandando le consultazioni e nominando come nuovo premier del Paese N. Bedoui, che è subentrato al dimissionario A. Ouyahia, in carica dall'agosto 2017. Nell'aprile 2019, a seguito della richiesta di impeachment avanzata dall'esercito e proseguendo le proteste popolari contro la sua persona, Bouteflika ha rassegnato le dimissioni, subentrandogli ad interim A. Bensalah; le elezioni presidenziali svoltesi nel mese di dicembre hanno assegnato la vittoria al primo turno all'ex premier A. Tebboune, che ha ottenuto il 58,1% delle preferenze. Alle consultazioni legislative del giugno 2021 (alle quali il tasso di astensione ha raggiunto il 23%) il FNL del presidente Tebboune - pur arretrando rispetto alle tornate elettorali precedenti - si è aggiudicato 105 seggi su 407.
Il territorio della moderna Algeria ha visto l’avvicendarsi di diverse civiltà e culture. Della civiltà degli antichi abitatori berberi (Numidi, Mauri e Getuli) restano documenti nelle iscrizioni, per lo più funerarie, in parte di età romana. Quanto alle costruzioni, è spesso difficile riconoscere quello che è peculiare dei Berberi e quello che appartiene ad altri popoli o risente degli influssi della loro civiltà. Tra le costruzioni che paiono schiettamente indigene sono le cosiddette tombe ‘a ciuffo’ (shūshah) a foggia cilindrica, alte circa 2 m e di 5 m di diametro.
La maggior parte delle città di epoca romana sorse lungo la costa (Saldae, Rusuccuru, Iomnium, Portus Magnus); tra le più importanti e di più antica urbanizzazione Iol-Caesarea (od. Cherchell), dotata di mura, teatro e forse di un anfiteatro, e Tipasa, municipio latino al tempo di Claudio. Tra il 2° e il 3° sec. d.C. i ricorrenti attacchi di tribù maure resero necessaria l’erezione nei centri costieri di numerose cinte murarie; a partire dal 3° sec. d.C. comparvero castella nella piana di Sitifis (od. Setif), città che visse il suo momento di massimo splendore in età dioclezianea, quando divenne (288 d.C.) capitale della nuova provincia di Mauretania Sitifensis.
Oltre alle consistenti testimonianze della dominazione romana (aree archeologiche di Cherchell, Annaba, Djemila, Timgad), sono notevoli quelle relative ai periodi paleocristiano e bizantino (Tebessa); l’introduzione della cultura islamica nel 7° sec. ha connotato fortemente l’architettura (tra le realizzazioni di particolare interesse gli edifici di Tlemcen e il sito di Qal`at Banī Ḥammād), come la successiva dominazione ottomana.
La colonizzazione francese nel 19° sec. introdusse in Algeria l’arte occidentale, ma l’origine di un’arte propriamente algerina si associa al rinnovamento della miniatura a opera di M. Racim (1896-1974). All’inizio del 20° sec., A. Mammari (1890-1954), A. Hemche (1908-1979) e M. Temmam (1915-1988) si appropriano di elementi dell’arte occidentale, fondando un linguaggio proprio; coesistono personalità originali come Baya (1931-1998), artista autodidatta (espone i suoi dipinti onirici alla galleria Maeght di Parigi nel 1947). Negli anni 1950 giovani artisti rivendicano un’estetica che sintetizza calligrafia araba e modi astratti occidentali: M. Khadda (1930-1991) e M. Issiakhem (1928-1985) segnano un percorso che dopo l’indipendenza, in opposizione all’Union Nationales des arts plastiques (1963) vicina al realismo socialista, è seguito dal gruppo Aouchem («Tatuaggio»; 1967-71), di cui fanno parte C. Mesli (n. 1930) e D. Martinez (n. 1941). Anche nelle accademie (istituite dagli anni 1920 ad Algeri, Orano, Costantina) si manifestano tentativi di rottura nei confronti di contenuti e supporti tradizionali. La scena dell’arte è animata da figure come R. Koraïchi (n. 1947), che nei vari media (pittura, ceramica, tessitura, metallo, incisione, installazioni) esprime un profondo nesso con l’eredità sufi; S. Benyahia (n. 1949), autrice d’installazioni, che con grafici, disegni, foto, oggetti, dipinti, analizza antagonismi (tradizione e modernità, pace e guerra, femminile e maschile); R. Khimoune (n. 1953) che da dipinti integrati con frammenti di scrittura è passato alla scultura; H. Zoubir (n. 1952) che, dopo i drammatici anni 1990, firma il manifesto del gruppo Essebaghine («Artisti»; 2000), che contesta la sudditanza al pensiero vigente e rivendica il ruolo sociale dell’artista-artigiano; ne fanno anche parte N. Ferroukhi (n. 1959), A. Bouras (n. 1964), J. Gassouma (n. 1966), M. Ait el-Hara (n. 1967), K. Sergoua (n. 1960), K. Slimani (n. 1959), A. Djeffal (n. 1961).
Uno stile neomoresco ha improntato le nuove costruzioni dell’occupazione coloniale nel 19° sec. e parte del 20°. Dopo il 1950 il panorama dell’architettura in Algeria è stato segnato dalla presenza di F. Pouillon (1912-86), di scuola funzionalista, autore di complessi residenziali, universitari e turistici (Complesso per 800 alloggi e scuola, Diar es Saada, Algeri, 1954), e di A. Ravéreau (n. 1919) che, architetto capo dei monumenti storici (1965-71), ha studiato in particolare le città della valle del Mzab (Ghardaïa, Beni Isguen, el-Ateuf, Melika, Bou Noura), splendidi esempi della forma urbana e architettonica vernacolare algerina, ai quali si è ispirato anche nei suoi nuovi interventi.
Per la letteratura dell’Algeria nell’ambito delle letterature maghrebine ➔ al-Maghrib.
Al Qal'a di Beni Hammad (1980); Djémila (1982); valle del M'Zab (1982); Tassili n'Ajjer (1982); Timgad (1982); Tipasa (1982); Casba di Algeri (1992).