In antropologia culturale, la prospettiva più importante per lo studio delle società e delle culture umane prima che si diffondesse nel corso del Novecento il paradigma funzionalista e il relativismo: in base a essa un processo graduale di sviluppo riguarda non solo la biologia, ma anche le forme di vita e di organizzazione sociale. L’e. iniziò ad affermarsi in Gran Bretagna nella seconda metà dell’Ottocento; l’idea, peraltro, era già avallata in discipline umanistiche, come per es., l’archeologia (teoria delle tre età: della pietra, del bronzo e del ferro). L’antropologo J. Steward (Theory of culture change: the methodology of multilinear evolution, 1955) ha proposto una specifica terminologia per classificare le varie forme di e. impostesi in antropologia: e. unilineare, e. universale, e. multilineare.
L’ e. unilineare riteneva che esistesse un’unica linea di sviluppo percorsa in tempi differenti da tutte le società umane e culminata nella società europea del tempo (di fine Ottocento): rispetto a questa le altre società si sarebbero trovate ‘attardate’ su stadi evolutivi inferiori. Il confronto teorico sviluppatosi in base a tale paradigma vide come protagonisti studiosi di formazione politico-giuridica: H. Maine, J. Lubbock, J. McLennan e L.H. Morgan. Questi studiosi si confrontarono intorno alle tematiche dell’evoluzione dei sistemi di parentela e delle forme di famiglia, scontrandosi, in particolare, su differenti ipotesi di evoluzione delle forme di discendenza (matrilineare, patrilineare). Morgan fu uno dei pochi studiosi di fine Ottocento a condurre ricerche sul campo (fra gli Irochesi dello Stato di New York) e produsse elaborate analisi comparative sui sistemi di parentela di tutto il mondo. Un altro ambito di interesse degli evoluzionisti unilineari fu l’origine e lo sviluppo delle idee religiose. Al riguardo, E. Tylor e J.G. Frazer rappresentano le due più autorevoli voci; fu Tylor a formulare per la prima volta (1871) il concetto di cultura (così come grossomodo la intesero gli antropologi del Novecento) e fu Frazer a scrivere uno dei più influenti testi della nascente antropologia (The golden bough, 1890).
Quando, nei primi decenni del Novecento, le nuove metodologie di indagine etnografiche introdotte da F. Boas e B. Malinowski confutarono la pretesa esistenza di un’unica linea di sviluppo delle società umane, alcuni studiosi (fra tutti, l’archeologo V.G. Childe e l’antropologo L. White) provarono a contrapporre al funzionalismo e al relativismo imperanti una forma attenuata di e. denominata e. universale per il fatto di postulare grandi fasi universali di sviluppo determinate soprattutto da innovazioni materiali. Anche in questo caso, la problematicità della teoria era dovuta all’assenza di possibili verifiche empiriche. Tuttavia soltanto con la formulazione di J. Steward (1955) di un e. multilineare, capace di render conto dell’esistenza di differenti linee di evoluzione culturale determinate principalmente da fattori ecologici, l’e. fu in grado di acquistare credibilità etnografica ed empirica.
La riflessione antropologica sull’evoluzione si è spostata, negli ultimi decenni, sulla dicotomia natura-cultura con alcune proposte di sintesi volte a costruire un discorso unitario che comprendesse la biologia e l’antropologia. Se la proposta della ‘sociobiologia’ di E.O. Wilson (1975) – secondo cui la cultura è un’appendice della natura animale dell’uomo – ha avuto poco seguito, più promettente si presenta la sintesi e la visione continuista fra natura e cultura di T. Ingold (The appropriation of nature: essays in human ecology and social relations, 1986) secondo il quale l’essere umano è un organismo che evolve in un ambiente socialmente e culturalmente determinato che retroagisce sulla dotazione biologica e genetica dello stesso. Questo stretto legame problematizza ogni netta dicotomia fra natura e cultura e fra animali e genere umano.
Dottrina filosofica e naturalistica del secolo 19°, principalmente elaborata e difesa da H. Spencer, la quale, mirando a escludere ogni creazionismo religioso e in genere ogni intervento metafisico nel processo di formazione e di sviluppo dell’universo, concepì questo processo come un continuo passaggio della materia da stati di maggiore omogeneità e indeterminatezza a stati di sempre maggiore eterogeneità e definitezza, onde dalla nebulosa primitiva si sarebbero successivamente generate tutte le forme della realtà, prima inorganica e poi organica. Analoga a quella di Spencer fu in Italia la concezione evoluzionistica di R. Ardigò.