Rapporto socialmente riconosciuto fra individui legati da consanguineità reale o fittizia.
In quanto oggetto di analisi antropologica la p. ha complessi rapporti di continuità e di rottura con i fatti riproduttivi e biologici. Da un lato essa si fonda su alcuni dati biologici: la necessaria compresenza dei due sessi nel processo di riproduzione e di procreazione; l’esclusione di alcuni individui dal novero dei partner sessuali (divieto dell’incesto). Dall’altro, nelle società umane aspetti biologici e culturali, sessualità e matrimonio, procreazione e maternità (o paternità), l’essere generati e i vincoli di filiazione non costituiscono mai realtà perfettamente sovrapponibili. Le molteplici soluzioni e possibilità di combinazione di tali elementi adottate dalle società umane ribadiscono infatti il carattere culturale della p. e la sua distanza dai vincoli ‘naturali’.
A partire dalle riflessioni di A. Van Gennep, e attraverso la scuola sociologica durkheimiana, la distinzione tra p. biologica e p. sociale, pur continuando a porre importanti problemi di natura teorica, è entrata a far parte del bagaglio dell’analisi antropologica, che ha fatto dello studio delle diverse dimensioni della p. uno dei settori di maggiore complessità della disciplina.
Gli antropologi hanno di volta in volta privilegiato l’analisi di aspetti diversi della parentela. In generale, le relazioni di p. sono state considerate come inscritte in sistemi di azioni (comportamenti) o come parte di sistemi di pensiero (rappresentazioni). In entrambi i casi, le relazioni di p. sono state colte nelle loro valenze normative, simboliche, affettive, strategiche, politiche, economiche ecc.
Il progetto di individuare delle corrispondenze strutturali tra i diversi aspetti della p. ha origine dal lavoro di L.H. Morgan (Systems of consanguinity and affinity of the human family, 1871), a ragione considerato il fondatore degli studi antropologici sulla parentela. Morgan, attraverso un lavoro comparativo di vasta scala, aveva individuato due diversi tipi di terminologie di p.: da un lato, quei sistemi in cui ogni rapporto di p. era indicato da un termine specifico, organizzati sulla combinazione di un piccolo numero di termini elementari (sistemi descrittivi); dall’altro, quei sistemi in cui i consanguinei sono ripartiti in classi di individui indicate da uno stesso termine (sistemi classificatori) e in cui, soprattutto, un medesimo termine poteva essere adoperato per indicare un consanguineo lineare e uno collaterale (per es., mio padre e il fratello di mio padre).
La contrapposizione elaborata da Morgan fu criticata nei decenni successivi e, fin dal 1909, A.L. Kroeber riusciva a dimostrare come anche termini per noi descrittivi, quale per es. l’inglese cousin, indicano, in realtà, un’ampia classe di parenti (un mio cugino e una mia cugina, da parte di padre e da parte di madre, di grado diverso). Se però le assunzioni evoluzionistiche di Morgan sono state rapidamente superate, il suo progetto di una comparazione strutturale delle diverse terminologie di p., e di individuazione di principi in grado di render conto di tali regolarità, ha continuato a rappresentare un elemento centrale della teoria antropologica della parentela. Le teorie di Morgan e di altri studiosi a lui contemporanei, interessate a ricostruire l’origine delle istituzioni familiari e delle forme di p. presenti nelle società europee contemporanee, pur assunte attraverso F. Engels nella tradizione marxiana, furono abbandonate nel corso del dibattito che, nei primi decenni del 20° sec., contrappose le posizioni evoluzionistiche a quelle della scuola di F. Boas e a quelle funzionalistiche.
Dimostrata, grazie ai lavori di B. Malinowski e A.R. Radcliffe-Brown, l’importanza, nella maggior parte delle società umane, della famiglia coniugale monogamica, l’antropologia della p. ha elaborato nei decenni successivi le proprie principali costruzioni concettuali. Tra gli anni 1930 e i 1970 il quadro degli studi antropologici sulla p. è stato dominato dalla contrapposizione di due diversi approcci: da un lato il punto di vista della filiazione e della discendenza, sistematizzato da Radcliffe-Brown e adottato da due generazioni di antropologi britannici, dall’altro l’approccio dell’‘allean;za’, elaborato da C. Levi-Strauss e condiviso da gran parte degli studiosi francesi, oltre che da alcuni antropologi anglosassoni (E. Leach, R. Needham).
La maggior parte delle società umane riconosce l’esistenza di vincoli di p. sia con il lato paterno sia con quello materno (p. bilaterale), centrati su un individuo e variamente delimitati (➔ parentado), e ammette quindi l’esistenza di rapporti di consanguineità e di affinità. Solo alcune società, invece, attribuiscono particolare importanza alla formazione di gruppi e categorie discreti a partire dal principio di filiazione, o all’insieme degli scambi matrimoniali che definiscono i rapporti tra simili gruppi o categorie. Ciononostante, la teoria della discendenza e quella dell’alleanza hanno a lungo guidato le analisi degli antropologi.
Teoria della discendenza. - Numerose società umane, a partire dal principio della filiazione, ritagliano nella rete dei vincoli di p. bilaterale categorie o gruppi di parenti di tipo discreto e chiaramente definito. Si appartiene al gruppo del padre o della madre, sulla base del principio della filiazione patrilinea o matrilinea. A partire da questo principio è poi possibile costituire dei gruppi di persone che si ritengono discendenti reali o fittizi da un antenato sulla base della comune filiazione. Si creano così i gruppi di discendenza (➔ lignaggio) che in alcuni contesti acquistano un carattere corporato. A partire da questa regola di appartenenza vengono definite delle identità collettive reciprocamente esclusive che determinano precisi codici di condotta, diritti, doveri, comportamenti e atteggiamenti reciproci tra i vari membri, differenziandoli da quelli che occorre adottare nei confronti di chi non appartiene al gruppo.
Teoria dell’alleanza.- Mette l’accento sulle relazioni che, a partire dallo scambio matrimoniale di donne, si creano tra classi, o tra gruppi di individui, e, in particolare, privilegia l’analisi delle forme in cui tale scambio si organizza. L’analisi di C. Levi-Strauss si sofferma sulle diverse modalità dello scambio di tipo elementare (quello in cui una regola prescrive il tipo di coniuge che occorre sposare): ego maschio deve sposare una donna che appartiene alla classe delle sue cugine incrociate bilaterali (scambio ristretto immediato); o la figlia della sorella del padre (scambio ristretto dilazionato); o ancora la figlia del fratello della madre (scambio generalizzato). Allo scambio elementare e ai sistemi elementari di p., la teoria dell’alleanza contrappone i sistemi di tipo complesso, nei quali la scelta del coniuge è in apparenza libera, o meglio è determinata da criteri esterni alla logica della parentela. Intermedi tra sistemi complessi e sistemi elementari, vi sono i sistemi semi-complessi, nei quali la p. interviene per stabilire alcune categorie di persone non sposabili, mentre resta libera la scelta del coniuge prescelto.
Critiche alle due teorie. - Benché entrambe le teorie abbiano mostrato di avere un notevole valore esplicativo in quei contesti (africani, per la teoria della discendenza; asiatici o amerindiani, per la teoria dell’alleanza) a partire dai quali erano state elaborate, esse sono tuttavia apparse in difficoltà di fronte a dati emersi nel corso di ricerche etnografiche effettuate negli anni 1950 e 1960. La teoria della discendenza, specie nelle sue versioni più rigide e strutturate, ha dovuto affrontare il problema delle società organizzate sul principio della discendenza cognatica o indifferenziata e, ancor più, quello posto dalle società in cui la filiazione, unilineare o cognatica che sia, non costituisce affatto un principio per il reclutamento di gruppi di parentela. In molte società, come per es. gran parte di quelle della Nuova Guinea, viene riconosciuta solo la p. bilaterale e i gruppi di p. sono sempre gruppi ego-centrati che, diversamente da quelli di discendenza, sono effimeri, destinati a scomparire alla morte dell’individuo che ne costituisce il perno.
Questo tipo di società pone problemi anche alla teoria dell’alleanza, in quanto le regole matrimoniali possono riguardare solo i singoli individui e non più gruppi o classi di persone, e si organizzano a partire non dalla prescrizione o dalla proscrizione di parenti, ma dal computo di gradi di p. all’esterno dei quali scegliere un coniuge. Nonostante le importanti analisi di F. Héritier (L’exercice de la parenté, 1981, trad. it. 1984), problemi analoghi sono posti alla teoria dell’alleanza dai sistemi semicomplessi, nei quali i modelli elaborati dagli antropologi per rendere conto delle regolarità degli scambi non sempre appaiono convincenti.
Per quanto profondamente diverse e a lungo contrapposte, la teoria dell’alleanza e quella della discendenza si fondano su alcuni assunti comuni. Se per la prima le relazioni che si instaurano tra le diverse unità sociali precedono il costituirsi di tali unità, per la seconda l’elemento che assume valore esplicativo è, invece, la formazione dei gruppi di p. e il loro perpetuarsi nel tempo. Al di là di questo, però, per entrambe le teorie i rapporti di p. sono inseriti in sistemi, essenziali nell’organizzazione sociale di ogni comunità umana, la cui coerenza e organizzazione è necessario spiegare. Di questi sistemi fanno parte tanto un insieme di atteggiamenti e di comportamenti, quanto un insieme di rappresentazioni e di simboli. In questo senso, tanto la teoria della discendenza quanto quella dell’alleanza continuano a inscriversi nel progetto teorico elaborato da Morgan: rendere conto delle coerenze e delle corrispondenze percepibili all’interno dei sistemi di rappresentazione e di azione legati alla parentela. In tale prospettiva, la teoria dell’alleanza e quella della discendenza hanno elaborato spiegazioni divergenti delle diverse assimilazioni terminologiche operate in ciascun sistema. Mentre per la prima le terminologie della p. esprimono le logiche e i meccanismi dello scambio matrimoniale, per l’altra la terminologia indica lo strutturarsi e la trasmissione dei reciproci diritti e doveri. Anche in questo caso, però, nel corso degli anni le interpretazioni fornite dalle due teorie hanno mostrato limiti notevoli. Da un lato si è constatato che i tipi elaborati quasi mai riescono a rendere conto delle complessità dei modi di indicare e di chiamare i parenti, mentre dall’altro si è constatato che, all’interno di ciascun sistema terminologico, solo alcuni tratti si lasciano ricondurre alle logiche della successione o a quelle dell’alleanza matrimoniale. Simili constatazioni hanno condotto a un progressivo disinteresse verso il problema dei rapporti tra terminologie di p. e comportamenti e alla nascita di approcci formali interessati, piuttosto, alla comprensione della coerenza interna di ogni sistema terminologico, o alla ricerca di matrici logico-matematiche in grado di rendere conto della molteplicità di combinazioni terminologiche possibili (F.G. Lonsbury).
Studiata dal punto di vista delle rappresentazioni (terminologie) o da quello delle azioni (comportamenti), la p. si inscriveva fino agli anni 1960 all’interno di sistemi (di alleanza, di discendenza o terminologici) di carattere normativo e, spesso, ideale. Insieme alle teorie della discendenza e dell’alleanza, e a un’analisi rigidamente strutturale delle terminologie di p., negli anni 1970, viene messo in discussione proprio un simile approccio normativo e formalizzante. Alcuni studiosi anglosassoni e francesi (R. Needham, J.A. Barnes, L. Dumont) contestano la possibilità stessa di individuare sistemi di p. nei quali, come vorrebbe la teoria dell’alleanza di Levi-Strauss, si stabilisce con precisione il tipo di coniuge.
Parallelamente altri antropologi mutano il punto di vista attraverso il quale guardare all’interazione sociale tra parenti. In alcune società la p. non sembra assumere affatto il carattere di relazione normativa tra gruppi di discendenza; in altre, pur in presenza di un sistema di gruppi di discendenza ideologicamente corporati, le pratiche della p. sembrano rispondere a logiche ed esigenze diverse da quelle dichiarate dall’ideologia della discendenza. Si mette allora in evidenza lo scarto tra piano normativo e uso reale delle relazioni di p., e soprattutto si pone al centro delle analisi della p. il singolo individuo, con le sue capacità di manipolare e di gestire una propria rete di parentela. Questi approcci transazionalisti alla p., sviluppati nello studio di società africane sottoposte a forti mutamenti (quelle dell’Africa meridionale analizzate dagli antropologi della scuola di Manchester), o di società estremamente dinamiche, come quelle melanesiane, della Nuova Guinea, del Medio Oriente o dell’Europa contemporanea, si sono gradualmente estesi anche ad altre realtà, proponendosi come un’alternativa teorica alle due precedenti prospettive.
Di particolare importanza è l’attenzione che l’approccio transazionalista ha posto sul carattere pragmatico e strumentale dei vincoli di parentela. In tale prospettiva, la p. viene vista come un linguaggio nel quale si esprimono concreti interessi economici e politici; essa, dunque, viene gradualmente svuotata di contenuti propri (concettuali, simbolici, affettivi e normativi) per divenire modalità privilegiata di espressione di interessi diversi. L’operazione di svuotamento concettuale messa in atto dagli approcci transazionalisti si affianca al graduale abbandono della teoria della discendenza determinato dalle analisi di antropologi (L. Holy, A. Kuper, M. Verdon) che mostrano il carattere ‘inventato’ di gran parte dei gruppi corporati di discendenza descritti dagli studiosi delle generazioni precedenti. I lignaggi, secondo questi autori, sarebbero costruzioni ideologiche, schemi normativi elaborati, in determinati contesti e per fini ben definiti, da alcune società, che gli antropologi avrebbero poi reificato all’interno di una teoria della filiazione e della discendenza legata a modi occidentali di concettualizzare l’identità e l’appartenenza. Se in alcuni contesti gli individui possono effettivamente adoperare il linguaggio della discendenza per rappresentare una propria identità o per coordinare determinati comportamenti, in molti altri l’interazione tra parenti è guidata da principi diversi.
Ridotti a puri schemi ideologici quei gruppi corporati che la teoria della discendenza aveva trattato come concrete persone giuridiche, messa in discussione la pertinenza delle forme elementari di scambio matrimoniale elaborate dalla teoria dell’alleanza, individuato nella p. un linguaggio nel quale si esprimono interessi di diversa natura, il campo degli studi antropologici della p. appare oggi sottoposto a un processo di profonda revisione concettuale. Da un lato vi sono autori, come D. Schneider, che considerano la p. un insieme di simboli variabile da cultura a cultura e le diverse teorie antropologiche della p. un’‘invenzione’ del discorso scientifico; dall’altro, autori come E. Gellner (o in Italia A.M. Cirese) che ritengono possibile individuare un linguaggio ‘naturale’ comune ai diversi sistemi di p. tale da fondare le nostre possibilità di comprensione del loro funzionamento. Altri studiosi sono invece maggiormente interessati alle valenze politiche o economiche del codice parentale; altri ancora privilegiano l’analisi dei mutamenti storici dei rapporti e dei sistemi di parentela. Inoltre, problemi di particolare interesse per l’analisi antropologica della p. sono posti dallo sviluppo di nuove tecnologie riproduttive che, secondo alcuni antropologi francesi e statunitensi, sembrano determinare un graduale mutamento di alcuni di quei principi ‘biologici’ elementari che ancora costituiscono un elemento di congiunzione tra p. sociale e p. biologica.
Il codice civile (art. 74) definisce la p. come un vincolo caratterizzato iure sanguinis. La p. produce particolari effetti giuridici, disciplinati dal diritto di famiglia, concernenti l’attribuzione di diritti e doveri in materia di potestà dei genitori, rapporti patrimoniali, successioni ecc. Si distingue la p. in linea retta, per la quale una persona discende dall’altra (il figlio dal padre e dal nonno, che sono detti ascendenti), e quella in linea collaterale, per la quale le persone hanno un ascendente comune, ma non discendono l’una dall’altra, come i fratelli, i cugini, lo zio e il nipote ecc. (art. 75 c.c.). Si dice p. unilaterale quella in cui i parenti hanno in comune un solo ascendente; bilaterale se hanno in comune due ascendenti: tale è il caso dei fratelli germani (che hanno in comune il padre e la madre); i fratelli che hanno in comune solo un genitore sono pertanto unilaterali e precisamente si dicono consanguinei se hanno in comune solo il padre e uterini se hanno in comune solo la madre. Ha rilevanza pratica l’appartenenza all’uno o all’altro tipo di p., retta o collaterale, derivandone importanti differenze in materia di impedimenti matrimoniali, di riconoscimento di figlio naturale, di obbligazioni alimentari (art. 87, 251, 433 c.c.). È detta comunemente p. naturale quella derivante dal vincolo di sangue, indipendentemente dal sussistere di un vincolo legale, dalla cui presenza deriva invece la p. civile.
La legge determina i criteri per computare i gradi (o le generazioni) della p.: nella linea retta il computo tra ascendente e discendente viene eseguito calcolando il numero delle generazioni che li separa (per es., tra padre e figlio la p. è di primo grado, fra nonno e nipote ex filio, di secondo grado); nella linea collaterale il computo si esegue contando il numero delle persone con il risalire da uno dei due parenti (di cui si vuole stabilire il grado di p.) sino all’ascendente comune e col discendere da questo sino all’altro parente escludendo l’ascendente comune (per es., tra zio e nipote vi è una p. di terzo grado, fra cugini una p. di quarto grado). La legge attribuisce effetti giuridici alla p., ai fini della successione legittima, solo fino al sesto grado. L’ordinamento italiano non attribuisce rilevanza giuridica alla p. spirituale quale era prevista invece dal diritto giustinianeo e dal vecchio codice di diritto canonico.
Nella società romana la p. non è alla base della famiglia, che è organismo patriarcale a carattere politico, dipendente dalla nascita per via maschile o dall’aggregazione di estranei (adrogatio, adoptio, conventio in manum). Agnazione è il vincolo che lega tutti coloro che sono soggetti alla stessa potestas o manus o che vi sarebbero soggetti se il comune paterfamilias non fosse morto, anche anteriormente alla loro nascita. Contrapposta all’agnazione (p. di ius civile) è la p. del sangue o cognazione (p. di ius naturale) fra le persone provenienti dallo stesso capostipite senza riguardo alla derivazione in linea maschile o femminile. Tale relazione è, in origine, del tutto irrilevante giuridicamente: solo per opera del pretore e più tardi di senatoconsulti e di costituzioni imperiali, questo rapporto acquista sempre maggiore importanza, anche per influsso della religione cristiana. Lo sviluppo è completato nel diritto giustinianeo. Tale rapporto, quando sia fondato su giuste nozze, diviene base della successione legittima e necessaria, della tutela legittima, misura del diritto agli alimenti, norma per gli impedimenti matrimoniali; in caso diverso ha solo l’effetto di produrre impedimenti al matrimonio entro certi gradi e limitati diritti di successione e di alimenti. Nella cognazione si distinguono l’origine della generazione (unilaterale o bilaterale), la linea (retta o collaterale), il grado (tot sunt gradus quot sunt generationes). La p., in tempo più tardo, non ha rilevanza giuridica oltre il settimo grado: da questo grado in poi i parenti si denominano genericamente maiores (ascendenti) e posteri (discendenti).
La Chiesa occidentale (a differenza di quelle orientali) abbandonò, nel computo dei gradi di p., il sistema romano e adottò quello germanico, secondo il quale, nel computo della linea collaterale, vige la regola che nella linea collaterale uguale, cioè equidistante dal capostipite, si calcola il numero delle generazioni che passano tra i due consanguinei rispetto al comune ascendente; nella linea collaterale disuguale si contano invece i gradi della linea che dista maggiormente dall’antenato. Il computo germanico, che attribuiva, rispetto al romano, ai collaterali un grado più prossimo di parentela, e veniva di conseguenza a estenderla, fu adottato dalla Chiesa, perché più rigoroso per gli impedimenti matrimoniali e più corrispondente alle prescrizioni mosaiche. Nell’Alto Medioevo la Chiesa estese il riconoscimento della p. fino al settimo grado, considerandola entro questo limite come impedimento al matrimonio: il limite però dal quarto Concilio Lateranense del 1215 fu ristretto al quarto grado. Secondo il nuovo Codex iuris canonici, che è ritornato al sistema romano, l’impedimento alle nozze nella linea retta è all’infinito, nella collaterale si limita al quarto grado (can. 1091). Oltre alla p. naturale, esiste anche una p. legale, che nasce dall’adozione e che comporta un impedimento matrimoniale (can. 1094), nella linea retta in qualsiasi grado, nella linea collaterale nel secondo grado.
P. linguistica Il rapporto che intercorre fra due o più lingue che rappresentano diversi svolgimenti di una stessa lingua (per es., la p. delle lingue neolatine che continuano tutte, in modo diverso, il latino); la p. linguistica è quindi distinta sia dall’affinità elementare e culturale, sia dalla discendenza genealogica (per es., tra latino e italiano, vale a dire tra lingua madre e lingua figlia).