In genere, ogni metodo d’azione politica che, ripudiando sia i sistemi rivoluzionari sia il conservatorismo, riconosce la possibilità di modificare l’ordinamento politico sociale esistente solo attraverso l’attuazione di organiche, ma graduali riforme. Si dice anche, in senso spregiativo, di una politica, sostanzialmente conservatrice, che si limita a marginali riforme in un dato sistema sociale, senza modificare le fondamentali strutture del sistema stesso. Storicamente il r. è legato all’affermazione del sistema parlamentare e alla convinzione che sia possibile realizzare una trasformazione sociale attraverso lo strumento legislativo.
Il termine fu introdotto nel vocabolario politico in occasione della campagna condotta in Inghilterra, tra la fine del 18° e l’inizio del 19° sec., per l’allargamento del suffragio elettorale, culminata nel Great reform bill del 1832. Ripreso successivamente nell’ambito del movimento socialista, assunse un significato più specifico, con particolare riferimento alla contrapposizione tra riforme e rivoluzione, nella prospettiva del superamento dei rapporti capitalistici di produzione e del corrispondente assetto politico. La corrente riformista, ossia la tendenza favorevole a un’azione gradualistica che privilegiava l’azione legale e le rivendicazioni immediate dei lavoratori, fu alla base dello sviluppo del movimento sindacale e politico di vari paesi europei.
A partire dalla seconda metà del 20° sec., si definiscono riformisti i partiti socialdemocratici o socialisti che hanno abbandonato l’ideologia marxista e che si propongono quindi non di superare il capitalismo, ma di correggerne (attraverso vari strumenti) i difetti.