Stato dell’Asia sud-occidentale, nel Vicino Oriente; il territorio confina a N con la Siria, a NE con l’Iraq, a SE e a S con l’Arabia Saudita, a O con Israele. Fino al 1967 comprendeva la Transgiordania (a E del fiume Giordano) e la Cisgiordania, passata poi sotto il controllo di Israele; dal 1988 il governo giordano ha interrotto i residui legami giuridici e amministrativi con la Cisgiordania, pur senza arrivare a un’abrogazione formale dell’atto di annessione (aprile 1950) di questo territorio, il cui futuro status giuridico dipenderà dall’evoluzione del conflitto arabo-israeliano e più specificamente dalla questione palestinese.
Il vastissimo tavolato della Transgiordania è parte integrante della regione desertica e subdesertica siro-arabica. Tali distese tabulari sono separate dalle alte terre occidentali dalla depressione tettonica palestinese, la sezione della Great Rift Valley che va dal Lago di Tiberiade al Golfo di Aqabah, comprendendo la valle del Giordano e il Mar Morto.
Il clima è subtropicale, caldo e secco con scarse precipitazioni, concentrate nel periodo invernale e che diminuiscono procedendo verso E e verso S: mentre sui rilievi della Cisgiordania cadono 600 mm di pioggia, e 400 ad Amman, nelle estreme regioni orientali e meridionali si hanno condizioni di quasi assoluta siccità. Asse della poverissima idrografia è il Giordano che prima di gettarsi nel Mar Morto, riceve, tra gli altri, lo Yarmuk e l’az-Zarqa; il suo regime è molto variabile, con sensibili piene invernali e forti magre estive. La vegetazione è prevalentemente steppica, a eccezione delle aree più umide dove alligna la macchia mediterranea.
La struttura demografica della G. ha pesantemente risentito della difficile situazione politica creatasi, a partire dal secondo dopoguerra, nel Vicino Oriente. Si calcola che la popolazione ammontasse a 200.000 ab. nel 1920, a 300.000 nel 1938 e a 450.000 nel 1947. Con le successive ondate immigratorie di profughi arabi, dopo la costituzione dello Stato di Israele e la guerra arabo-israeliana e, poi, in seguito all’occupazione israeliana della Cisgiordania, la popolazione si è andata moltiplicando a dismisura (1,3 milioni di ab. nel 1952, passati a 1,7 dieci anni dopo e a più di 4 milioni nella sola Transgiordania al censimento del 1994), fino a oltrepassare i 6 milioni nel primo decennio del Duemila. Escludendo le aree desertiche, circa l’80% della superficie territoriale, la densità è elevatissima e in alcuni governatorati supera i 300 ab./km2. La popolazione urbana ha registrato una crescita accelerata e disordinata, legata soprattutto all’alta concentrazione nelle città di abitanti di origine palestinese. È poi in atto un’intensa sedentarizzazione della popolazione nomade, favorita negli ultimi decenni dall’intervento governativo. Principali città sono, oltre alla capitale, az-Zarqa e Irbid. Gli altri centri sono in pratica solo villaggi rurali.
Per quanto riguarda la lingua ➔ Arabi.
L’economia giordana ha a lungo dovuto far fronte alle conseguenze della difficile situazione politica medio-orientale: da un lato il territorio e le scarse risorse presenti hanno subito per molti anni la forte pressione demografica dei numerosissimi rifugiati palestinesi; dall’altro il paese è stato fortemente penalizzato dall’embargo decretato dalle Nazioni Unite contro l’Iraq, che ha ridotto drasticamente il commercio di transito, componente fondamentale dell’economia. Negli ultimi anni del 20° sec. la G. ha tuttavia registrato importanti progressi economici, grazie all’avvio di piani di modernizzazione che hanno portato il paese a integrarsi efficacemente nel commercio mondiale (ingresso nella WTO nel 2000) e agli ingenti finanziamenti assicurati dagli aiuti stranieri.
Poiché tra i settori produttivi un posto di rilievo è occupato dal primario, buona parte delle risorse disponibili è stata indirizzata al potenziamento della produttività agricola, con l’intento di diminuire le importazioni alimentari. I principali prodotti coltivati sono frumento e orzo e, in misura più limitata, sorgo e mais; seguono lenticchie, pomodori, agrumi, vite, olivo, banane e datteri. Diffuso l’allevamento ovino, praticato tradizionalmente dalle tribù beduine, che offre un prezioso contributo all’alimentazione della popolazione.
La G. è un paese relativamente dotato di fosfati (circa 5,7 milioni di t estratte nel 2007) e di sali potassici (1.100.000 t), che insieme costituiscono buona parte delle esportazioni. È segnalata la presenza di petrolio, rame, manganese, minerali di ferro, non ancora sfruttati. La carenza di fonti energetiche rappresenta uno dei maggiori limiti per lo sviluppo industriale. Fino alla guerra del 2003, l’Iraq assicurava il soddisfacimento della quasi totalità della sua domanda petrolifera a una tariffa privilegiata; oggi, per produrre energia termica destinata al consumo interno, la G. utilizza parte del greggio che, dall’Arabia Saudita, viene convogliato alle coste del Mediterraneo mediante un oleodotto. Il settore manifatturiero, che partecipa con poco meno del 15% alla formazione del reddito nazionale, è basato su piccoli impianti chimici per la produzione del cemento e la lavorazione di prodotti agricoli, nonché su alcune imprese tessili di carattere artigianale.
Annualmente la G. viene visitata da oltre 2.013.000 turisti, attirati soprattutto dalle antichissime città storiche di Petra e di Gerasa e dalle risorse balneari della costa sul Mar Rosso.
Scarse le vie di comunicazione, il cui tracciato segue in gran parte le antiche carovaniere. Complessivamente la rete stradale conta 7601 km (2005), mentre l’operatività della rete ferroviaria, che è rappresentata da un’unica linea che attraversa longitudinalmente il paese collegandolo alla Siria, è ridotta al minimo (293 km nel 2005).
L’emirato di Transgiordania fu fondato nel 1921, e riconosciuto ufficialmente nel 1923, sotto ‛Abd Allāh, hashimita, figlio del re Ḥusain del Ḥigiāz. Affidato in mandato alla Gran Bretagna fino al 1946, quando l’emiro assunse il titolo di re, il paese mantenne stretti legami con Londra anche dopo l’indipendenza. In seguito all’occupazione (1a guerra arabo-israeliana, 1948-49) e alla successiva annessione della Cisgiordania (con la città vecchia di Gerusalemme), il regno assunse il nome di Giordania. Ad ‛Abd Allāh, ucciso in un attentato nel 1951, successero il figlio Ṭalāl e, quando questi fu deposto per infermità mentale, il nipote Ḥusain (1953). La G., membro della Lega araba dal 1945, stabilì allora più strette relazioni con gli Stati arabi; nel 1956 l’inglese Glubb Pascià fu allontanato dal comando delle forze armate giordane e nel 1957 furono ritirate le ultime truppe britanniche.
La rinnovata solidarietà araba non impedì a Ḥusain di sentire la creazione della Repubblica Araba Unita, sorta dall’unione di Egitto e Siria (1958), come una larvata minaccia contro l’indipendenza giordana; promosse quindi, nel febbraio 1958, l’effimera Unione Araba a base dinastica tra G. e Iraq, crollata col colpo di Stato iracheno del luglio successivo. La prospettiva di uno scontro imminente con Israele fu alla base (maggio 1967) della convenzione comune di difesa, firmata al Cairo da Nasser e da Ḥusain: nel conflitto (5-10 giugno) la G. perse la parte araba di Gerusalemme (che Israele annetté di fatto) con il territorio più fertile e irriguo, quello della Cisgiordania, caricandosi di un ulteriore e cospicuo numero di profughi, in aggiunta a quelli già accolti nel 1948, provenienti dai territori allora conquistati da Israele.
Formazioni di guerriglieri palestinesi stabilirono le loro basi in G., conducendo azioni armate contro Israele, che replicava con rappresaglie in territorio giordano. La tensione tra i guerriglieri e le autorità di Amman sfociò in guerra civile nel settembre 1970 (‘settembre nero’), conclusa nel 1971 con l’espulsione dei guerriglieri palestinesi, atto che lasciò la G. isolata nel mondo arabo. Nel tentativo di recuperare e reinserire nel proprio Stato la Cisgiordania, nel 1972 il re Ḥusain formulò un progetto di regno arabo unito in forma federale costituito da una regione giordana (con Amman capitale della federazione) e una palestinese (la Cisgiordania con capitale Gerusalemme), ma il piano fu respinto sia da Israele sia dai Palestinesi sia dai paesi arabi. Ḥusain rivendicò la sovranità sulla Cisgiordania fino al 1974, quando al vertice arabo di Rabat fu costretto a riconoscere l’OLP quale unico rappresentante legittimo del popolo palestinese e ad accettare implicitamente l’ipotesi della formazione di uno Stato palestinese indipendente in Cisgiordania. Ciò pose termine all’isolamento della G. nel mondo arabo, già ridottosi in seguito alla guerra del Kippūr (1973), che aveva visto la riconciliazione con Siria ed Egitto e un limitato intervento a fianco della Siria.
Per il timore di un ritorno all’isolamento la G. condannò la pace separata fra Egitto e Israele (1979), celebrando contemporaneamente una riconciliazione ufficiale con l’OLP, ma i rapporti con la Siria peggiorarono nuovamente per il sostegno militare giordano all’Iraq nella guerra contro l’Iran, appoggiato dalla Siria (1980-88). Dopo l’invasione israeliana del Libano (1982) il vecchio progetto di Ḥusain, volto a recuperare il controllo sulla Cisgiordania attraverso la nascita di una federazione giordano-palestinese, fu rilanciato dal cosiddetto piano Reagan, che prevedeva una forma di autogoverno palestinese in Cisgiordania e a Gaza in associazione con la Giordania. In questa prospettiva il sovrano hashimita avviò da un lato negoziati con l’OLP e dall’altro cercò di ricostituire una rappresentanza palestinese all’interno delle istituzioni giordane; in questa occasione fu per la prima volta riconosciuto il diritto di voto alle donne. I negoziati con l’OLP si tradussero nell’accordo (1985) con ‛Arafāt per un’iniziativa di pace in Medio Oriente, presto rotto e seguito da un nuovo deterioramento dei rapporti. Maggiore successo ebbe la politica a favore del rientro dell’Egitto nella Lega araba: nel 1985 la G. fu il primo Stato arabo a ristabilire le relazioni diplomatiche con il Cairo (interrotte dal 1979).
Fallito l’accordo con ‛Arafāt, Ḥusain tentò di promuovere una nuova leadership palestinese moderata e filogiordana, cercando anche di accrescere la propria influenza nei territori occupati; il progetto (che si espresse tra l’altro in un piano di sviluppo per la Cisgiordania e Gaza, varato nel 1986 con l’appoggio israeliano) fu radicalmente rimesso in discussione dall’esplosione dell’intifada nel 1987, che sottolineò il carattere di soggetto autonomo dei Palestinesi e il loro ampio sostegno all’OLP. Dopo il vertice di Algeri (1988), che ribadì l’appoggio della Lega araba alla nascita di uno Stato palestinese indipendente, la G. pose termine ai legami giuridici e amministrativi mantenuti dopo il 1967 con la Cisgiordania (fu anche annullato il piano di sviluppo del 1986).
Nel 1989 si tennero le prime elezioni generali dal 1967, per una Camera dei deputati composta solo di rappresentanti della Transgiordania. Persistendo il bando per i partiti politici dal 1957, solo la Fratellanza musulmana poté presentarsi alle elezioni, come organizzazione di carattere assistenziale, mentre le altre candidature erano tutte indipendenti: la vittoria andò ai moderati, più o meno favorevoli alla tradizionale politica di Ḥusain. La Carta nazionale varata nel 1991 riaffermò il ruolo dell’Islam tra i fondamenti della legislazione e dell’identità nazionale e revocò il bando per i partiti, purché dichiarassero fedeltà alla monarchia. L’evoluzione interna rimase comunque condizionata dalla situazione regionale.
Pesanti conseguenze per la G. ebbe nel 1990 la crisi seguita all’occupazione irachena del Kuwait: ai danni economici provocati dalle sanzioni nei confronti dell’Iraq si aggiunsero quelli politici derivanti dalla frattura fra la G. (contraria all’intervento armato contro l’Iraq) e i suoi tradizionali partner occidentali e arabi (Egitto, Arabia Saudita e monarchie del Golfo). Ḥusain cercò di rilanciare i rapporti con questi paesi aderendo nel 1991 alla conferenza di pace per il Medio Oriente promossa da G. Bush e M. Gorbačëv. Negli anni successivi, il governo si trovò di fronte alla difficoltà di conciliare le esigenze economiche del paese, che imponevano la ripresa delle relazioni con i partner occidentali e arabi e un’apertura nei confronti di Tel Aviv, con l’orientamento filoiracheno e anti-israeliano dell’opinione pubblica interna. Nel tentativo di recuperare un ruolo di mediazione, la monarchia intensificò le relazioni internazionali: migliorarono i rapporti con gli Stati Uniti e i paesi del Golfo; i negoziati con Israele sfociarono nel trattato di pace del 1994, che prevedeva tra l’altro il riconoscimento alla G. di un ruolo speciale nella tutela dei luoghi sacri di Gerusalemme e fu seguito dall’avvio di rapporti economici e commerciali. Il trattato con Israele compromise nuovamente i rapporti con l’Autorità nazionale palestinese, che tuttavia migliorarono nel 1995, con la firma di un accordo che ribadiva il riconoscimento da parte di Amman dei diritti palestinesi su Gerusalemme Est.
Sul piano interno proseguì la politica di cauta liberalizzazione. Nel 1993 si svolsero le prime elezioni multipartitiche, vinte dai candidati indipendenti legati al re, vincitori anche delle successive consultazioni nel 1997, 2003 e 2008 (nel 2001 la seconda intifada provocò un tale clima di tensione nel paese che la corona decise di rimandare le elezioni).
Morto Ḥusain nel febbraio 1999, salì al trono il figlio, ‛Abdallāh II, che promosse il riavvicinamento della G. alla Siria, al Kuwait e al Libano, pur rimanendo in stretti rapporti con gli Stati Uniti, i cui aiuti sono vitali per il paese. In politica interna, i piani riformatori del re per una crescente liberalizzazione politico-culturale e per lo sviluppo economico sono rimasti in gran parte sulla carta, a causa delle perduranti tensioni interne e internazionali. Dopo l’attività terroristica messa a segno da Al Qaeda ad Amman nel 2005, gli intenti di riforma sono stati ulteriormente bloccati, ciò portando alla nomina di vari primi ministri da parte del re, tra i quali vanno citati A. Ensour, nominato nel 2012 e riconfermato - per la prima volta nella storia del Paese - dal Parlamento formatosi in seguito alle elezioni del 2013, e Hani al-Mulki, incaricato nel 2016 da ‛Abdallāh II, dopo l'approvazione della nuova legge elettorale, di formare un nuovo governo. Nel periodo successivo l'aumento del debito pubblico ha costretto il nuovo esecutivo a varare una serie di riforme fiscali, sostenute dal Fondo monetario internazionale, e a introdurre imposte di vendita su beni primari, ciò generando gravi agitazioni di piazza che nel giugno 2018 hanno costretto al-Mulki a rassegnare le dimissioni, subentrandogli nella carica O. al-Razzaz.
Il territorio della G. conserva importanti testimonianze del periodo tardoantico, paleocristiano e bizantino, nonché quelle relative al lungo periodo islamico e ottomano: da ricordare gli importanti siti di Gerasa, Kerak, Madaba, Petra ecc. il cui studio ha preso avvio con le indagini archeologiche del 19° secolo.
Le origini di un’arte moderna in G. risentono anche della presenza di artisti stranieri nella prima metà del 20° sec. (i pittori O. Onsi, libanese; Z. Suleiman, turco; G. Alief, russo), oltre che della nascita di scuole e istituti culturali (l’italiano A. Bruno insegnò pittura in G. nel 1930-63), e trovano un notevole sviluppo dagli anni 1960 e 1970; frequente la formazione dei giovani artisti all’estero (Iraq, Siria, Turchia, Pakistan, Europa, USA, Russia). Tra i pittori, il pioniere M. Durra, che introdusse in G. cubismo e astrattismo; gli astrattisti F. Zeid, nata a İstanbul e trasferitasi in G. dal 1975, Wijdan, K. Khreis; tra gli scultori S. Tabbaa, K. Nimri. In campo architettonico, figura notevole è quella di F. Muhanna, autore di importanti edifici pubblici ad Amman.