Siria
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Geografia umana ed economica
di Luigi Stanzione
Stato dell'Asia sud-occidentale. La popolazione siriana stimata al 2006 ammonta a circa 18,9 milioni di ab., per una densità pari a 101,9 ab./ km2, fra le più elevate del Medio Oriente. La distribuzione della popolazione è, tuttavia, irregolare, con una forte concentrazione nelle aree urbane della capitale Damasco (circa 1,6 milioni di ab. nel 2005) e di Aleppo (circa 1,5 milioni di ab. nello stesso anno), nonché nella fascia costiera e lungo la valle dell'Eufrate. Il tasso di urbanizzazione supera il 50%. Le tendenze demografiche hanno fatto segnare un rallentamento, attestandosi su tassi compresi fra il 2 e il 2,5% annui. La stima della consistenza demografica complessiva è resa più difficile dalla presenza di una cospicua comunità di rifugiati palestinesi, ai quali si è recentemente aggiunto un flusso di immigrati provenienti dall'Irāq.
L'avvio della seconda guerra del Golfo, nel 2003, ha ulteriormente complicato la posizione siriana sul piano internazionale. Il Paese è stato oggetto di sanzioni economiche da parte degli Stati Uniti per non aver contrastato sufficientemente il passaggio attraverso le sue frontiere di combattenti diretti in ̔Irāq. Inoltre, alcune risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU hanno richiesto il ritiro delle truppe siriane presenti in Libano. Nel contempo, le riforme avviate nel 2000, quando il trentaquattrenne Baššar al-Asad è succeduto al padre Ḥāfiẓ alla presidenza del Paese, hanno subito un rallentamento sia in campo economico sia in quello del rispetto dei diritti civili. I risultati positivi raggiunti sotto il profilo della crescita del PIL nei primi anni del 21° sec. (3,6% nel 2004 secondo fonti ufficiali siriane) sono da ricondurre a elementi congiunturali (tra cui la crescita del prezzo del petrolio e la ripresa della produzione agricola) piuttosto che a fattori strutturali. La disoccupazione resta uno dei principali problemi della S., mentre fra gli altri indicatori sociali quelli relativi sia all'istruzione sia alla speranza di vita alla nascita si rivelano decisamente migliori rispetto ad altri Paesi del Medio Oriente. A partire dal 2005 sono state programmate riforme nella legislazione nazionale che dovrebbero creare condizioni più favorevoli per gli investimenti esteri e per lo sviluppo dei servizi (tra cui banche e assicurazioni). Nell'economia nazionale gioca un ruolo di rilievo l'agricoltura, che contribuisce per poco meno di un quarto alla formazione del prodotto nazionale, occupando un'analoga percentuale di forza lavoro, che si è sviluppata anche grazie alla proprietà privata di gran parte dei terreni coltivabili e al sostegno pubblico all'irrigazione. Fra i prodotti principali figurano grano, orzo e barbabietola da zucchero, ma è la produzione di cotone ad assicurare la quota più ingente di esportazioni, oltre che a rappresentare la premessa per una sviluppata industria tessile. Per quanto riguarda il settore secondario, il comparto petrolifero è fonte del 70% delle esportazioni, ma, tenuto conto dell'entità delle riserve disponibili, è destinato a subire un ridimensionamento dell'attività produttiva. Rilevante è anche la produzione di energia elettrica, con una potenza installata di 7,6 GW. Gli altri comparti principali sono rappresentati dall'industria alimentare e del tabacco, da quella chimica e da quella estrattiva (soprattutto fosfati). Degno di nota appare lo sviluppo del turismo (circa 3 milioni di visitatori nel 2004), che può contare su un rilevante patrimonio archeologico e culturale, suscettibile di ulteriore valorizzazione.
I trasporti interni si avvalgono di una rete viaria estesa (circa 50.000 km) e relativamente in buone condizioni, usata da un numero crescente di veicoli privati. La rete ferroviaria è in fase di ammodernamento ed è utilizzata anche per il trasporto delle merci. Adeguata risulta anche la dotazione portuale, con scali specializzati nel trasporto di petrolio e in quello di fosfati. Sul piano delle telecomunicazioni, si è assistito allo sviluppo della rete telefonica (2 milioni le linee attivate), sia pure in misura inferiore rispetto alle attese governative.
Storia
di Silvia Moretti
Il passaggio di secolo in S. coincise simbolicamente con la morte del presidente Ḥāfiẓ al-Asad (giugno 2000), dopo trent'anni ininterrotti al potere. In un clima di grande stabilità politica interna si verificò la successione alla carica di capo dello Stato del figlio Baššar al-Asad, che era atteso a difficili prove. Risultavano infatti ancora drammaticamente irrisolti tutti i problemi che affliggevano la regione: in primo luogo, la pace con Israele e la questione della restituzione alla S. delle Alture del Golan; in secondo luogo, il mantenimento dell'egemonia siriana sul Libano; infine, l'alleanza con l'Iran (fortemente voluta da Ḥ. al-Asad in funzione apertamente antiisraeliana) e i sempre più cordiali rapporti con l'Irāq (riapertura delle frontiere nel giugno 1997) e con la Turchia. Ma il problema di gran lunga prioritario in Medio Oriente restava quello palestinese, soprattutto dopo l'esplosione delle violenze a Gaza e in Cisgiordania a partire dalla fine del settembre 2000 con lo scoppio della seconda intifāḍa di al-Aqṣā. La S. finanziava generosamente la guerriglia palestinese, auspicando che la rivolta nei Territori occupati mettesse fine al lungo periodo di espansione da parte di Israele, anche in considerazione della crisi attraversata dalla politica statunitense in Medio Oriente con l'arenarsi dei negoziati tra S. e Israele (genn. 2000), in stallo anche dopo l'incontro del presidente B. Clinton con Ḥ. al-Asad (marzo 2000), e con il fallimento delle trattative tra israeliani e palestinesi a Camp David (luglio 2000), fortemente volute dall'amministrazione americana.
Nel passaggio dei poteri da Ḥāfiẓ a Baššar non subirono sostanziali mutamenti le linee direttrici della politica estera siriana: il nuovo presidente, dopo aver ribadito i suoi più stretti legami con l'Egitto e l'Arabia Saudita, riproponeva la priorità di un accordo di pace con Israele che ponesse al centro delle trattative il ritiro degli israeliani dai Territori occupati in cambio della sicurezza e della pace in tutto il Medio Oriente. Nuove prospettive interne, invece, sembrarono aprirsi con il suo avvento al potere. L'inadeguatezza delle strutture politiche ed economiche della S. spinse il nuovo presidente, consapevole del grande potenziale economico inespresso del Paese (per es., in campo turistico e agricolo), a lanciare un'imponente campagna per la modernizzazione: lotta alla corruzione, rinnovamento dei vertici del partito al-Ba̔ṯ, riforma dell'amministrazione e apertura del mercato siriano agli investitori esteri. Piccoli passi, spesso repentinamente smentiti, furono compiuti sulla via del pluralismo, mentre nel Paese, tra la società civile, si reclamavano apertamente la fine dello stato di emergenza e la garanzia di maggiori libertà politiche. Nel nuovo scenario internazionale seguito all'attentato terroristico al Pentagono e alle Twin Towers di New York (11 sett. 2001), la S. mostrava di collaborare con gli Stati Uniti nella ricerca dei terroristi di al-Qā̔ida, ma manteneva inalterato il suo appoggio ai palestinesi e all'organizzazione libanese di ḥezbollāh (Partito di Dio). Il precipitare degli avvenimenti, prima con la guerra in Afghānistān (ott. 2001), poi con l'attacco all'Irāq (marzo 2003), espose la S. alle minacce, ora esplicite, ora più velate, degli Stati Uniti che intendevano impedire qualsiasi margine di manovra nella regione. In realtà, le relazioni tra i due Stati apparivano più complesse: da parte dell'amministrazione di G.W. Bush si procedette con cautela nel varare sanzioni contro la S. e solo nel maggio 2004, e in forma poco più che simbolica, il presidente degli Stati Uniti approvò un pacchetto di sanzioni in preparazione già dal novembre 2002; da parte sua la S., che attraverso il suo presidente dichiarava illegale qualsiasi piano d'attacco all'Irāq, nel novembre 2002, in qualità di membro non permanente del Consiglio di sicurezza dell'ONU, scelse di votare a favore della risoluzione 1441, voluta dagli Stati Uniti, che imponeva all'Irāq il disarmo immediato.
Mentre la vita politica interna appariva segnata da un forte immobilismo a dispetto dei pronunciamenti espressi dal presidente all'inizio del suo mandato, le elezioni legislative del 2003 fecero registrare la consueta vittoria del Fronte nazionale progressista, una coalizione egemonizzata dal partito al-Ba̔ṯ. Nessuna riforma, intanto, aveva modificato l'assetto del Paese, e B. al-Asad appariva sempre più defilato in un panorama regionale che vedeva emergere nuovi protagonisti: fra tutti il presidente iraniano M. Ahmadinejad e il leader degli ḥezbollāh libanesi Ḥ. Naṣrallāh. Immutata appariva la forza repressiva del regime, come fu verificato in occasione della rivolta curda del marzo 2004, che dal Nord-Est della S. si estese rapidamente a tutta la provincia lambendo Damasco; ancora una volta fu confermata la violenta politica discriminatoria siriana verso i curdi, la minoranza non araba più numerosa del Paese (circa il 10%), da sempre considerata una minaccia per le sue aspirazioni autonomiste.
Tra la fine del 2003 e l'inizio del 2004 cresceva la pressione internazionale sulla Siria. I negoziati con Israele, mai ripresi dopo il 2000, rimanevano bloccati nonostante i tentativi di B. al-Asad, considerati da Israele artificiosi, di riaprire il tavolo delle trattative. Ma l'intransigenza del primo ministro israeliano A. Sharon, le ambiguità di Baššar e soprattutto la complessità dei nodi da sciogliere (il destino dei circa 8000 coloni israeliani, le questioni relative alla sicurezza militare e la disputa per l'accesso della S. alla riva nord-orientale del lago Tiberiade) rendevano sempre più inconciliabili le posizioni dei due interlocutori. Ancora più minacciosa appariva, ai confini orientali, la situazione in ̔Irāq: lo stato di caos che regnava nel Paese occupato e le manovre statunitensi nella regione per rompere l'asse tra Damasco e Teherān sembravano mettere a repentaglio la sopravvivenza stessa della dinastia alauita e di B. al-Asad. Ma era in Libano che la S. scontava un crescente isolamento internazionale. Dalla metà degli anni Settanta, all'epoca del suo intervento nella guerra civile libanese (1976), la S. aveva progressivamente aumentato la presenza in Libano arrivando a mantenere in territorio libanese circa 30.000 soldati (2000-01), ma soprattutto riuscendo a porre sotto il suo controllo numerosi traffici economici leciti e illeciti, sfruttando anche la capillare presenza dei suoi servizi segreti sul territorio. Nel giugno 2001 prendeva avvio un graduale ridispiegamento delle truppe siriane presenti in Libano, proseguito poi in tappe successive negli anni seguenti; nel settembre 2004 l'intervento del Consiglio di sicurezza dell'ONU nelle vicende libanesi (risoluzione 1559) sottolineava l'urgenza del ritiro siriano dal Libano, concorrendo a delineare un piano per uscire dalla crisi e dando manforte alle proteste antisiriane della società civile libanese. Nel febbraio 2005, l'assassinio del primo ministro libanese dimissionario R. al-Ḥarīrī, che si era schierato con l'opposizione nel condannare l'ingerenza siriana, fece dilagare la protesta nelle piazze libanesi, mentre gli ultimi soldati siriani lasciavano il Paese (aprile). Le indagini della commissione d'inchiesta dell'ONU sull'omicidio di al-Ḥarīrī evidenziarono un coinvolgimento dei vertici militari siriani e nell'aprile del 2006 lo stesso B. al-Asad fu ascoltato dagli investigatori riguardo una sua presunta nonché diretta responsabilità nell'omicidio, secondo le accuse mosse contro di lui dall'ex vicepresidente siriano̔Abd al Ḥalīm H̱addām.
bibliografia
L. Trombetta, Siria nel nuovo Medio Oriente, Roma 2004; F.L. Leverett, Inheriting Syria: Bashar's trial by fire, Washington 2005.