SIRIA.
– Demografia e geografia economica. Storia. Bibliografia. Letteratura. Bibliografia. Cinema. Bibliografia.
Demografia e geografia economica di Matteo Marconi. – Stato dell’Asia sud-occidentale. Dal 2011 il Paese è sconvolto dalla guerra civile e ogni analisi della situazione sociale, economica e geografica della Siria è estremamente ardua, anche in considerazione del fatto che il controllo del territorio è frammentato tra più attori in lotta tra loro. Un discorso unitario è quindi impossibile da fare, sebbene si possa tentare un quadro indicativo. Anche sulla popolazione possono solo farsi delle stime, dato che l’ultimo censimento ufficiale risale al 1994. Nel 2012 gli abitanti erano 21.117.690, mentre per il 2014 UNDESA (United Nations Department of Economic and Social Affairs) stimava una popolazione di 21.986.615 individui. A causa del crescente numero dei rifugiati e dei decessi dovuti alla guerra, nuove stime collocano la popolazione complessiva sui 18 milioni di persone. Il tasso di fertilità è diminuito durante la guerra di quasi un punto, attestandosi su medie di poco superiori a quelle dei Paesi occidentali (2,68 nel 2014). La piramide delle età mostra che la popolazione è ancora largamente giovane, nonostante un significativo vuoto nella fascia tra i 20 e i 35 anni. In totale, metà della popolazione ha meno di 25 anni. La questione dei rifugiati è gravosa sia a causa del conflitto interno, sia per via delle numerose guerre susseguitesi nell’area dalla fine della Seconda guerra mondiale.
Persiste in Siria una forte comunità palestinese, composta di ben 517.255 rifugiati, in larga parte priva dei diritti di cittadinanza. La concessione della cittadinanza, che comporta anche l’accesso ai servizi sociali, è stata uno strumento di pressione politica da parte del governo siriano per decenni. Ne sono esempio i curdi (il 7,3% della popolazione totale), privati della cittadinanza nel 1962 e reintegrati poi nel 2011 allo scoppio della guerra civile, nel tentativo del regime di attirare consenso. Si segnala anche la presenza di rifugiati iracheni, circa 146.200. La guerra civile ha poi determinato oltre 4.000.000 di rifugiati siriani (dato ottobre 2014), sparpagliati principalmente nei Paesi dell’area, ossia Libano, Turchia, Giordania, ῾Irāq ed Egitto. Tra i problemi più gravi per la popolazione c’è la carenza abitativa: si stima che almeno 6.500.000 persone siano rimaste senza casa per via dei danni dovuti alla guerra. Completano il quadro demografico le Alture del Golan, che permangono saldamente in mano a Israele dal 1967, con 41 insediamenti a uso misto civile e militare e quasi 20.000 coloni. Prima dello scoppio della guerra i servizi essenziali in S. erano garantiti quasi universalmente, sebbene il tasso di disoccupazione fosse piuttosto elevato (20% nel 2010, compresi i rifugiati; 8,6%, riferito ai cittadini siriani).
I problemi ambientali della Siria sono gli stessi tipici dei Paesi arabi popolosi: scarsità d’acqua, erosione del suolo dovuta all’eccessivo sfruttamento, inquinamento delle falde acquifere legato all’estrazione del petrolio e deforestazione. Nel tentativo di rendere il Paese quanto più indipendente possibile dall’estero, per i bisogni alimentari primari è stato fatto un largo consumo delle riserve d’acqua. Le attività economiche sono fortemente compromesse a causa del conflitto. Per sostenere l’emergenza, il governo è stato costretto a ricorrere a un forte deficit di bilancio e all’erosione delle riserve in oro, mentre le importazioni superano di cinque volte le esportazioni e determinano una bilancia commerciale fortemente negativa. Nel 2011 le attività di import-export avevano generato un volume d’affari pari a 27 miliardi di dollari, nel 2013 lo stesso valore si attesta a meno della metà. Sul forte decremento hanno pesato anche le sanzioni imposte dalla comunità internazionale, con il conseguente indebolimento dell’autorità governativa, ma anche della popolazione civile. Le attività estrattive nel comparto degli idrocarburi sono state oggetto del confronto militare con l’IS (v.), che ha portato quest’ultimo a controllare alcune stazioni di produzione. Per valutarne l’importanza relativa, si consideri che la produzione petrolifera siriana rappresentava nel 2010 quasi la metà del valore delle esportazioni. La crisi umanitaria determinata dalla guerra richiede sempre più l’intervento di sovvenzioni dall’estero per garantire i bisogni primari della popolazione, dalla nutrizione all’aspetto sanitario. Si stima che il 56% della popolazione viva in povertà e quasi la metà dei ragazzi in età scolare non possa frequentare la scuola, dato che gli edifici scolastici sono stati riutilizzati per sopperire alla gravissima carenza abitativa dei rifugiati. La situazione economica è resa oltremodo gravosa dal fatto che oltre il 60% della forza lavoro prima del conflitto era impiegata nel settore dei servizi e solamente il 20% nell’agricoltura. Nel settore dei servizi, il turismo era un comparto determinante, che ancora nel 2011 segnava circa 5.000.000 di ingressi e oggi è invece completamente inattivo. Il collasso del sistema infrastrutturale ha portato alcune attività economiche a trasferirsi nei Paesi limitrofi per salvare la produzione. Infine, la forte riduzione nel controllo del territorio ha causato un aumento consistente dei traffici illegali, soprattutto droga e denaro sporco.
Storia di Stefano Maria Torelli. – Nel 2000, con la morte di Ḥāfiẓ al-Asad, divenne nuovo presidente della Siria il figlio secondogenito Baššār. Il successore sarebbe dovuto essere il fratello maggiore di Baššār, Bāsil, ma quest’ultimo era scomparso prematuramente in un incidente stradale nel 1994. Al momento della morte del padre, Baššār al-Asad aveva soltanto 34 anni e, secondo quanto previsto dalla Costituzione siriana, non avrebbe potuto diventare il nuovo capo di Stato, in quanto la Carta costituzionale stabiliva un limite minimo di età di 40 anni. Grazie a un tempestivo emendamento, tale limite fu abbassato a 34 anni e Baššār fu eletto presidente, grazie a un referendum popolare svoltosi il 10 luglio 2000 e a cui il 99,7% dei siriani rispose in maniera positiva. A fronte di tale mandato plebiscitario, inizialmente la Siria sembrò essersi incamminata verso un processo di effettiva liberalizzazione politica e di democratizzazione. La giovane età del nuovo presidente e la sua formazione di stampo occidentale – aveva studiato medicina a Londra, prima di tornare in Siria in seguito alla morte del fratello – sembravano inoltre favorire un’evoluzione del regime sotto il profilo del rispetto dei diritti politici e civili. Questa prima fase di governo durò all’incirca un anno, tra l’estate del 2000 e quella del 2001. In questo periodo, che sarebbe poi stato ribattezzato la ‘primavera di Damasco’, Asad permise la creazione e la diffusione di circoli intellettuali, in cui artisti, scrittori, oppositori politici e attivisti per i diritti umani si incontravano per discutere delle riforme necessarie per il Paese. Fu da queste attività che, nel settembre del 2000, vide la luce il cosiddetto Manifesto dei 99, in cui si chiedevano maggiore libertà di espressione, la fine dello stato di emergenza e la liberazione di alcuni prigionieri politici. L’appello sarebbe poi stato accolto da Asad, che liberò circa 600 prigionieri. Il periodo di ‘distensione’ interna fu accompagnato anche dalla speranza di poter ricollocare la Siria in una posizione più centrale dal punto di vista delle relazioni internazionali. In tal senso, la visita di papa Giovanni Paolo II, compiuta a Damasco nel maggio del 2001, segnò un momento storico. Tuttavia, già dall’autunno del 2001 il governo di Asad tornò a reprimere le forme di dissenso interno.
Dal punto di vista internazionale, l’amministrazione statunitense guidata da George W. Bush inserì il regime siriano all’interno del cosiddetto asse del male (di cui facevano parte altri regimi come l’Irāq di Saddam Hussein, l’Irān e la Repubblica Democratica Popolare di Corea), accusando Damasco di essere in possesso di armi di distruzione di massa. In concomitanza con il nuovo clima di isolamento internazionale subito dal regime di Asad, quest’ultimo nel 2004 compì una storica visita ufficiale nella vicina Turchia, avviando quel processo di riavvicinamento tra i due Paesi (dopo che, nel 1998, erano stati sull’orlo di combattere una guerra per via del sostegno siriano al movimento curdo del PKK), che avrebbe costituito uno dei perni della nuova politica regionale della Siria. Grazie anche ai buoni rapporti con la Turchia, che a sua volta costituiva un alleato dell’Occidente in quanto membro della NATO, la Siria sarebbe gradualmente riuscita a inserirsi nuovamente all’interno della comunità internazionale. Nel 2005 le truppe siriane si ritirarono definitivamente dal Libano in seguito all’attentato contro l’ex primo ministro libanese Rafīq al-Harīrī a Beirut, avviando la normalizzazione delle relazioni bilaterali. Nel 2007, Baššār al-Asad fu nuovamente confermato presidente della Repubblica, con il 97,6% dei voti. In seguito, nel 2008, la Siria prese parte all’incontro svoltosi a Parigi e sponsorizzato dall’allora presidente francese Nicolas Sarkozy sull’Unione per il Mediterraneo, un progetto di creazione di un organismo regionale che comprendesse tutti i Paesi che si affacciavano sul Mediterraneo e quelli dell’Unione Europea. L’occasione sembrò segnare il definitivo reintegro della Siria nella comunità internazionale. Con l’elezione di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti, inoltre, anche Washington ristabilì un canale diretto con la Siria, inviando un proprio delegato speciale a Damasco. A chiudere il quadro delle nuove relazioni internazionali e regionali di Damasco, trapelò la notizia, poi confermata da fonti ufficiali, che la Siria stava negoziando con Israele (e con la mediazione della Turchia), circa un possibile accordo di pace.
Nonostante tali progressi dal punto di vista della diplomazia, sul fronte interno il Paese continuava ad avere un regime di tipo autoritario, caratterizzato dalla repressione del dissenso e dalla censura delle opinioni dissidenti. Nel marzo del 2011, a poche settimane dallo scoppio delle cosiddette primavere arabe, anche la Siria divenne teatro di proteste popolari. Inizialmente si trattava solo di casi isolati e circostanziati, legati all’arresto di alcuni adolescenti nella città di Dar῾ā e alla morte in circostanze sospette di uno di loro. Ciò nonostante, il regime fece immediatamente ricorso a misure repressive, acuendo il malcontento popolare. Quest’ultimo, con il passare dei mesi, sarebbe cresciuto progressivamente, fino ad assumere le caratteristiche di una vera e propria resistenza armata. In questo contesto, si colloca la guerra civile siriana. La dura risposta del regime causò una polarizzazione che, tra il 2011 e il 2012, portò alla nascita di formazioni armate contro le forze del regime e di una piattaforma politica di opposizione. Quest’ultima fu ospitata in Turchia, dopo che Ankara decise di abbandonare Asad per non aver accettato la sua mediazione nel conflitto che stava per generarsi. Tra il 2012 e il 2013 fu chiaro che la S. era ormai in una situazione di guerra civile, i cui attori principali erano il regime da un lato e, dall’altro, una serie di sigle di opposizione, a volte in contrasto tra loro (fazioni curde, gruppi islamisti, opposizione laica). Il continuo peggiorare della situazione sul campo fu inoltre determinato dall’intervento esterno di attori quali la Russia, l’Irān e le milizie sciite libanesi di ḥezbollāh a fianco di Asad – riconfermato presidente nel giugno 2014 in elezioni considerate illegittime dall’Occidente – e, dall’altro lato, dall’appoggio di potenze regionali come l’Arabia Saudita e la Turchia (e in parte gli Stati Uniti e alcuni Paesi europei) alle opposizioni. In particolare, il fronte del jihadismo trasse vantaggio dall’assenza di controllo istituzionale e dal clima di guerra civile per inserirsi nel conflitto e, tramite l’IS (v.), conquistare gran parte dell’Est del Paese, mentre il Nord-Est era sotto il controllo delle fazioni curde. La comunità internazionale, a fronte di un conflitto che al settembre 2015 aveva causato almeno 250.000 vittime, non è stata in grado di intervenire in maniera efficace, essendo divisa tra il fronte anti-Asad e quello pro-Asad, quest’ultimo capeggiato da Mosca che a fine settembre effettuò i suoi primi raid aerei nel Paese. La Russia specificava che il suo coinvolgimento in operazioni definite di ‘antiterrorismo’ contro le postazioni dell’IS avveniva nel rispetto del diritto internazionale e su richiesta del presidente siriano; l’Occidente accusava tuttavia Mosca di avere attaccato postazioni di ribelli sostenuti dagli Stati Uniti e di essere innanzitutto interessata a rafforzare il potere di Asad. La polarizzazione delle posizioni determinò una situazione di stallo sul campo, rendendo ancora più complicate le prospettive di una soluzione del conflitto in tempi brevi e contribuendo al sempre più accentuato svuotamento della Siria, con masse di migranti costrette ad abbandonare il Paese per cercare rifugio negli Stati limitrofi o a premere sui confini dell’Unione Europea, in uno dei più drammatici esodi dalla fine della Seconda guerra mondiale.
Bibliografia
M. Galletti, Storia della Siria contemporanea, Milano 2006, 2013; L. Trombetta, Siria. Dagli ottomani agli Asad. E oltre, Milano 2013.
Letteratura di Monica Ruocco. – Per decenni la letteratura siriana si è piegata alla censura e alla repressione del regime. Gli eventi del 2011 hanno plasmato una nuova identità culturale del Paese e quello che molti autori, come la siroamericana Mohja Kahf (n. 1967), definivano il «silenzio della letteratura siriana», sembra ormai spezzato. Data chiave il 27 settembre del 2000 quando novantanove intellettuali diffusero sul quotidiano libanese «al-Ḥayāt» («La vita») una petizione (Bayānal-99, Manifesto dei 99) chiedendo al governo la fine dello stato di emergenza istituito nel 1963, la liberazione dei detenuti politici, il rientro degli esuli, la libertà di espressione e il rispetto dei diritti umani. Un movimento per la società civile si formò attraverso gruppi di discussione informali, Muntadayāt al-muǧtama῾ al-madanī (Forum della società civile), organizzati nelle case di intellettuali e artisti. Nel gennaio 2001, mille tra intellettuali ed esponenti della società civile firmarono una seconda petizione (Bayān al1000, Manifesto dei 1000) più ambiziosa e dettagliata. Se il governo sembrò accogliere in un primo momento alcune delle istanze degli intellettuali, a partire dal febbraio 2001 la pressione sulla società civile, attraverso restrizioni e arresti, si fece sempre più forte.
Dal 2011 gli intellettuali si sono trovati stretti tra la morsa del regime e le fazioni armate sostenitrici di un estremismo religioso. Anche Adonis (῾Alī Aḥmad Sa῾īd Isbir, n. 1930), uno dei maggiori autori arabi, fu tra i firmatari del primo manifesto, insieme ai poeti Šawqī Baġdādī (n. 1928), ῾Alī al-Ǧundī (1928-2009), Mamdūḥ ῾Udwān (1941-2004), Nazīḥ Abū ῾Afaš (n. 1946), Ḥāzim al῾Aẓamah (n. 1946). Negli anni più recenti è emersa una nuova generazione di poeti fortemente impegnata nell’esprimere il proprio dissenso che comprende ῾Ābid Ismā῾īl (n. 1963), i cui versi cupi si concentrano sul dolore umano; Nihād Sayyid ῾Īsà (n. 1966), che vive in Arabia Saudita; al-Ǧūlān Ḥāǧī (n. 1977), di origine curda, ma arabofono in esilio a Parigi; il siropalestinese Ġiyāṯ al-Madhūn (n. 1979), residente in Svezia. Molte le voci femminili che comprendono Marām al-Maṣrī (n. 1962), residente in Francia, autrice di una poesia intimista dallo stile essenziale che emerge nelle raccolte Karazah ḥamrā᾽ ῾alà balāṭ abyaḍ (1997; trad. it. Ciliegia rossa su piastrelle bianche, 2005) e Anẓur ilayk (2000; trad. it. Ti guardo, 2009); Līnā al-Ṭībī (n. 1963), autrice della raccolta Nisā᾽ (2011, Donne) e residente al Cairo come Rašā ῾Umrān (n. 1964) che concilia la sua attività di scrittrice con quella di avvocato; e la siropalestinese Dīmā Yūsuf (n. 1986).
Anche la narrativa mette al centro delle sue preoccupazioni la situazione del Paese. Zakariyā Tāmir (n. 1931), in esilio volontario a Londra dal 1980, ha creato su Facebook nel 2012 la pagina al-Miḥmāz (Il pungolo) su cui pubblica riflessioni e racconti sulla realtà siriana. I romanzieri più noti sono Fawwāz Ḥaddād (n. 1947); Nihād Sīrīs (n. 1950), fuggito dalla Siria nel 2012, autore di al-Ṣamt wa al-ṣaḫab (2004; trad. it. Il silenzio e il tumulto, 2014); Muṣṭafà Ḫalīfah (n. 1948), autore di al-Qawqa῾ah (2008; trad. it. La conchiglia, 2014), sul periodo trascorso in prigione; Ḫālid Ḫālifah (n. 1964), autore di Madiḥ al-karāhiyyah (2006; trad. it. Elogio dell’odio, 2011), sugli scontri tra governo siriano e Fratelli musulmani negli anni Ottanta, e Lā sakākīn fī maṭābiḫ haḏihi al-madīnah (2013, Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città); oltre a Fādī ῾Azzām (n. 1973), esiliato a Dubai, autore di Sarmadah (2010), dal nome della città drusa sulle alture del Paese, e alle scrittrici Samar Yazbak (n. 1970), rifugiata in Francia e autrice di Ṭiflat al-samā᾽ (2005; trad. it. Il profumo della cannella, 2010) e Lahā marāyā (2011; trad. it. Lo specchio del mio segreto, 2011); Salwà al-Nu῾aymī (n. 1950), Mahā Ḥasan (n. 1966), Līnā Huwiyān al-Ḥasan (n. 1975), Dīmah Wannūs (n. 1982).
L’impatto devastante dell’IS da un lato e la tenacia della dittatura al potere dall’altro, con la conseguente ondata di migrazione senza precedenti che ha coinvolto il Paese, hanno suscitato numerose reazioni tra gli attivisti e gli intellettuali siriani, molti dei quali vivono ormai fuori dalla Siria. Primo fra tutti Yāsīn al-Ḥāǧ Ṣāliḥ (n. 1961), imprigionato dal regime siriano tra il 1980 e il 1996 per la sua appartenenza al Partito comunista e in esilio a İstanbul. Definito «la coscienza della rivoluzione siriana» e apprezzato per la sua indipendenza intellettuale e la difesa dei valori universali di giustizia e libertà, al-Ḥāǧ Ṣāliḥ, del quale fratello e moglie sono stati rapiti da fazioni islamiste, ha ricevuto nel 2012 il Prince Claus award. A İstanbul ha fondato, insieme ad altri intellettuali, Hamisch.org, uno spazio virtuale in esilio per stimolare un dibattito critico sulla situazione siriana, oltre allo scambio di esperienze e pratiche per una cultura indipendente.
Bibliografia
E. Vauthier, La création romanesque contemporaine en Syrie de 1967 à nos jours, Damas 2007; Syria speaks. Art and culture from the frontline, ed. M. Halasa, Z. Omareen, N. Mahfoud, London 2014.
Cinema di Giuseppe Gariazzo. – La cinematografia siriana, tra le più rappresentative del Medio Oriente, nata contemporaneamente a quella egiziana nei primi decenni del Novecento, ma costretta a uno sviluppo ben più limitato per via delle continue restrizioni finanziarie, ha saputo reagire alla scarsezza delle risorse produttive con la fantasia e il racconto poetico di cineasti capaci di costruire opere e filmografie sorprendenti. Tale percorso creativo è stato confermato negli anni più recenti e reso più rilevante dalla presenza, accanto ai testi di finzione per il cinema e alle serie televisive chiamate musalsalat e diffuse soprattutto nel periodo del Ramadan, di una cospicua produzione documentaria, indipendente e coraggiosa, testimone della guerra iniziata nel 2011.
Mohammad Malas ha ribadito il suo sguardo realista e onirico in Bab al makam (2005, noto con il titolo Passion), su una famiglia conservatrice che ad Aleppo ostacola la passione per la musica di una donna, e in Soullam ila Dimashk (2013, noto con il titolo Ladder to Damascus), dove la guerra è vista attraverso le storie di personaggi che abitano in uno stesso palazzo. La lavorazione di Soullam ila Dimashk è descritta nel documentario autobiografico antimilitarista Al-Rakib al-Khaled (2014, noto con il titolo The immortal sergeant) di Ziad Kalthoum, che fu assistente di Malas e, nello stesso periodo, sergente nell’esercito di Baššār al-Asad. Omar Amiralay (scomparso nel 2011) con Déluge au pays du Baas (2005) è tornato nel luogo del suo documentario Nuhawwilu sad al-Furat (1970, Film saggio sulla diga dell’Eufrate) per osservare come il socialismo arabo abbia tradito il suo popolo; Usama Muhammad, dopo anni di silenzio, ha firmato, con la filmmaker curdo-siriana di Homs Wiam Bedirxan, il capolavoro Ma᾽a al-fidda (2014, noto con il titolo Eau argentée, Syrie auto-portrait), saggio per immagini sull’esilio e sul vivere in una città assediata.
Un cinema d’autore e popolare è stato ben rappresentato dal regista e attore Abdu al-Latif Abdu al-Hamid; tra i suoi film diretti e interpretati, Kharej al-Taghtiya (2007, noto con il titolo Out of coverage), commedia girata a Damasco con un uomo diviso fra due donne nell’epoca del cellulare, e September rain (2010), sulle disavventure sentimentali di una famiglia di musicisti. Ha recitato nei lavori di Joud Said Once again (2010), storia d’amore e di guerra, e My last friend (2012), opera corale attorno a un caso di suicidio. L’emergente Meyar al-Roumi, figlio del regista e direttore della fotografia Muhamad al-Roumi, ha realizzato Sit kosas adyyah (2006, noto con il titolo Six ordinary stories), in cui la società siriana affiora dalle storie dei taxisti di Damasco, e Round trip (2012), in cui narra con originalità la relazione di una coppia che, per trovare spazi di intimità, compie un viaggio in treno da Damasco a Ṭeherān.
Nel documentario diversi registi hanno trovato il genere per indagare la realtà politica, sociale, religiosa del loro Paese. Hala Abdallah è stata in primo piano nel far sentire la sua voce militante e sperimentale con Ana alati tahmol azouhour ila qabriha (diretto con Amma El Beik, 2006, noto con il titolo I am the one who brings flowers to her grave), ritratto di tre donne siriane; Hey! La tensi el kamoun (2008, noto con il titolo Hey! Don’t forget the cumin), viaggio nella coscienza collettiva di artisti e scrittori; As if we were catching a cobra (2012, firmato come Hala Alabdalla Yakoub), riflessione sulla libertà di espressione attraverso il lavoro dei fumettisti in Medio Oriente e le primavere arabe. La lotta alla dittatura è stata descritta con humour in Syria inside (2013) di Tamer Al Awam e del tedesco Jan Heilig. Al Tawam è stato ucciso ad Aleppo nel 2012 mentre stava filmando.
Bibliografia
T. Chikhaoui, G. Gariazzo, Mohammad Malas, in Infinity festival. Alba 9-16 aprile 2005, Cantalupa 2005, pp. 173-97; R. Salti, Insights into Syrian cinema. Essays & conversations with contemporary filmmakers, New York 2006. Si veda inoltre: K. Dickinson, Syrian cinema: out of time?, 2012, http://www. screeningthepast.com/2012/08/ syrian-cinema-out-of-time/ (13 sett. 2015).