SIRIA (XXXI, p. 885; App. I, p. 1006; II, 11, p. 835; III, 11, p. 753)
La S. risultava popolata al censimento del settembre 1970 da 6.304.685 ab., con una densità media di 34 ab/km2, e con oltre un milione di persone in più rispetto al 1960 (v. tabella). Ancora più incisivo è comunque l'aumento verificatosi negli anni 1970-77, che ha portato la popolazione a 7.845.000 ab. (secondo una stima del giugno 1977), grazie soprattutto al progressivo innalzamento (per le migliorate condizioni igienico-sanitarie e alimentari, ecc.) del coefficiente di accrescimento annuo, che ha raggiunto di recente la punta del 3,3% contro la media del 2,9% del periodo 1950-60. Un tale tasso è tra i più alti del mondo, inferiore a quello della Giordania (3,4%), ma superiore a quelli della Thailandia (3,1%), del Perù (3,2%) e del Marocco (3,0%).
L'aumento così ingente della popolazione può ulteriormente ritardare la ristrutturazione economica che la S. va perseguendo da qualche anno, anche perché esso interessa in prevalenza le aree d'insediamento tradizionale (stretta fascia pianeggiante costiera, valle dell'Eufrate), lasciando pressoché spopolate vaste aree dell'interno e le regioni desertiche, che peraltro occupano circa la metà della superficie territoriale. Bisogna inoltre notare che, in seguito ai recenti eventi bellici israelo-egiziani che hanno minacciato non poco l'assetto politico di gran parte degli stati del vicino Oriente, sono in leggero aumento i profughi palestinesi (1972: 193.420).
La popolazione è in netta prevalenza musulmana, con minoranze cristiane (cattolici, greci ortodossi, cattolici-armeni, ecc.) alauite e druse. Le comunità dei drusi (100.000 individui in tutto) si sono stabilite nelle regioni di confine con la Giordania e l'Iraq e professano ancora una religione che è un miscuglio di paganesimo, giudaismo, islamismo e cristianesimo, a testimonianza della lunga e complessa storia di dominazioni e di lotte che hanno in ogni tempo sconvolto il paese.
Gli ultimi anni, accanto alla stazionarietà dei nomadi (140.000), hanno segnato una marcata tendenza all'inurbamento della popolazione siriana (nel 1970 la popolazione urbana era il 49% del totale), con la cospicua crescita di alcune città (Damasco, Aleppo, ecc.) che in certi casi hanno visto raddoppiarsi in meno di 10 anni la loro popolazione.
Condizioni economiche. - La S. è stata per lungo tempo soggetta a diversi dominatori stranieri che ben poco si sono preoccupati del suo progresso economico e sociale e, una volta raggiunta la sua indipendenza, si è trovata di fronte a molteplici difficoltà, dovute non solo all'assenza d'industrie ma anche all'arretratezza arcaica della sua agricoltura. Quest'ultima ha comunque sempre rappresentato l'unica risorsa del paese, nonostante l'aridità del clima e la presenza di un'area montuosa poco utilizzabile ai fini agricoli. Nel 1962 veniva coltivato il 34,5% della superficie territoriale, e risultavano irrigati appena 558.000 ha di terreno. Nonostante ciò fino al 1966 oltre il 70% della popolazione attiva era occupata nel settore primario. Oggi il quadro generale risulta completamente diverso (arativo 27,7%, colture arborescenti 1,9%, foreste 2,4%, incolto e improduttivo 21 ,4%) e l'attività agricola va modernizzandosi, come testimoniano sia l'aumento della superficie irrigua (650.000 ha nel 1965, quasi 800.000 ha nel 1971) sia quello delle rese unitarie, sia la diminuzione degli attivi in agricoltura (pari nel 1970 a 768.000 unità, cioè al 49% della popolazione attiva), insieme con un discreto incremento dell'uso dei concimi, dei fertilizzanti e delle macchine agricole.
Le colture più diffuse restano i cereali e quelle tipiche dell'ambiente mediterraneo. Per i cereali, troviamo ai primi posti il frumento (1.590.000 ha e 17.900.000 q nel 1976) e l'orzo (1.172.000 ha e 10.590.000 q nel 1976); seguono il mais, il riso, il miglio e l'avena. Le colture orticole sono invece in netto progresso, sia per quanto riguarda la superficie ad esse destinata, sia per la produzione, e lo stesso discorso può farsi per l'olivo (280.000 q di olio) e per le altre piante da olio (sesamo, arachidi), per gli alberi da frutta (agrumi, albicocche) e per le colture industriali (tabacco: 120.000 q, barbabietola da zucchero, cotone). In leggerissima contrazione, sia produttiva che areale, è la vite (82.000 ha, 2.800.000 q di uva di cui 70.000 q di uva secca, rinomata già nell'antichità).
L'allevamento resta una delle risorse tradizionali del paese, cui si dedica soprattutto la popolazione nomade; negli ultimi tempi è sensibilmente mutata la composizione del patrimonio zootecnico in quanto si è avuta una contrazione del numero degli ovini e dei caprini, nonché dei muli e dei cammelli a vantaggio di un aumento dei bovini, di specie Ba'ladi (nazionale), degli asini, dei bufali e dei volatili. Buono è l'allevamento dei cavalli arabi, discreto il quantitativo di prodotti dell'allevamento (burro, uova, formaggio, lana).
La pesca non è molto praticata; però sulle coste della S. vengono pescate molte spugne, una voce abbastanza importante dell'esportazione.
Dal punto di vista minerario, la S. è stata considerata sino al 1964 una nazione molto povera, la quale incentrava tutti i suoi sforzi sul potenziamento del settore elettrico, all'epoca basato esclusivamente sull'energia termica. Nel 1975 l'energia elettrica prodotta è stata di 1673 milioni di kWh con una potenza installata di 616.000 kW: a tali valori, molto superiori a quelli del 1960, si è pervenuti grazie anche a una diversificazione della produzione, in quanto l'energia elettrica non è più esclusivamente termica da quando è entrata in funzione la diga di Tabqa sull'Eufrate. Le ricerche minerarie sono iniziate tutte dopo il 1960 e hanno portato alla scoperta di giacimenti di asfalto naturale a Kafria (21.100 t nel 1972), di salgemma a Deir ez-Zor (40.000 t) e soprattutto di petrolio, che è stato ritrovato nel 1964 nella parte nord-orientale del paese: quivi, infatti, sono concentrati i principali pozzi (Karatchok, Suwaidiyah, Rumaila, Hamseh), che nel 1977 hanno prodotto 10.680.000 t di greggio, convogliati, attraverso un oleodotto di 650 km, fino alla raffineria di Ḥimṣ e al porto di Tortosa. Rilevante è la produzione dei fosfati (650.000 t) mentre in declino sono i giacimenti di ferro di Damasco, di cromo e manganese della regione di Alawit, di rame nei dintomi di Aleppo e di piombo e di zinco del M. Hermon.
Anche le industrie sono di recente formazione: le più importanti sono legate allo sviluppo della coltura del cotone, che ha favorito il sorgere d'impianti tessili a Damasco e Aleppo (116.000 fusi, 4546 telai) i quali hanno prodotto nel 1975-31.700 t di filati di cotone, 36.400 t di tessuti di cotone, e 1100 t di filati di lana. Discrete sono le industrie alimentari (oleifici di Ḥamān e Laodicea (Latakia), industria molitoria di Damasco e Aleppo, zuccherificio di Ḥimṣ, birrifici di Damasco), mentre in costante declino si presentano le industrie tradizionali della seta (Ḥamān) e della concia delle pelli, lavorate ancora con metodi arcaici, tranne che a Damasco e Aleppo. Al contrario, discrete prospettive di efficienza e modernità, almeno per il mondo orientale, offre la lavorazione del vetro. Oggi si sono molto diffusi i cementifici (Dummar, Aleppo, Ḥamān, Laodicea, Ḥimṣ).
Le vie di comunicazione, ancora poco sviluppate, contribuiscono a ritardare il concreto decollo economico dello stato. Nel 1973 la rete ferroviaria risultava di 1333 km complessivi; quella stradale di 13.513 km, dei quali poco più di 5000 asfaltati. In S. esistono due oleodotti, di cui il principale è quello proveniente dall'Iraq, che passa per la raffineria di Ḥimṣ, dove si biforca nel ramo Ḥimṣ-Banyas e in quello Ḥimṣ-Tripoli. L'altro oleodotto collega Qatif a Sidone.
Nel campo commerciale le finanze statali hanno subito i contraccolpi delle recenti vicende politiche e militari: nel 1963 si sono nazionalizzate le banche in via definitiva, ma nonostante questa e altre misure adottate per ridurre il disavanzo, la bilancia del commercio estero si mantiene costantemente deficitaria, con le esportazioni stazionarie su valori solo di poco superiori alla metà delle importazioni. A parziale risanamento di questo cronico deficit sono da annoverare i pedaggi legati ai diritti di transito sul petrolio iracheno.
Storia. - Scioltasi nel settembre 1961 l'unione di S. ed Egitto, la sua storia nel quindicennio successivo è all'interno la vicenda del Partito al-Ba'th (fondato negli anni Quaranta dal siro cristiano M. ‛Aflaq, con indirizzo nazionalista arabo e programma di progressismo riformatore). Nel marzo 1963, con un colpo di mano militare, il Ba‛ith giungeva al potere, capeggiato dal suo leader Salāḥ Baiṭār, e iniziava una politica di sinistra (nazionalizzazioni, autogestione, riforma agraria); ma le resistenze dei ceti colpiti, e in seno al partito stesso i profondi contrasti di correnti, condussero a una nuova crisi nel febbraio 1966, che eliminò gli elementi più moderati del Bath, compreso il suo stesso teorico e fondatore, e insediò al governo la sua ala più radicale e socialisteggiante (Ṣalāḥ Giadīd, al-Atāsī, Ḥāgiẓ Asad). Da allora il Baīth virtualmente si scisse fra il vecchio gruppo moderato e i nuovi esponenti estremisti, onde si può parlare di un "neo-Ba‛th", più decisamente orientato in un corso socialista e filosovietico. Il contrasto fra le due ali del partito, sempre formalmente unico, travagliò gli anni fra il 1966 e il 1970, sommandosi ai problemi di politica estera (la guerra con Israele, per cui v. oltre). E questo travaglio sfociò nell'ennesimo colpo militare della storia moderna siriana, l'assunzione del potere nel novembre del 1970 da parte del gen. Ḥāfiẓ Asad, mantenutosi fino al giorno d'oggi (inverno 1979-80) al timone dello stato siriano.
Asad, proveniente per nascita dalla setta minoritaria musulmana degli ‛Alawiti o Nusairi, si era affacciato alla scena politica nel 1966, col gruppo progressista del neo-Ba‛th, dai cui principali esponenti lo divideva peraltro una concezione più accentuatamente nazionalistica e più cauta nell'appoggio allo stato-guida sovietico. Nel marzo 1971, la sua posizione si consolidò con l'elezione a capo dello Stato e nel 1973 fu varata per referendum popolare una nuova costituzione, modifica di quella del 1969; secondo la quale, il potere legislativo è esercitato da un Consiglio del popolo di 173 membri (di cui 87 ba‛thisti), restando al presidente, capo dell'esecutivo, il diritto di nomina e revoca del governo. Vivaci contrasti suscitò nel paese, in tale nuova costituzione, l'omissione della formula dichiarante l'Islàm religione ufficiale dello stato, indice di una tendenza alla laicizzazione che lo stesso gen. Asad ha poi cercato con altre manifestazioni di temperare. La politica dell'ultimo leader siriano e del suo gruppo (in larga parte di origine come lui ‛alawita, con malumore delle altre comunità musulmane), è di appoggiare ogni sforzo verso una superiore unità araba, onde si è avuta nel 1971 l'Unione delle repubbliche arabe (S., Egitto, Libia), unione rimasta peraltro sulla carta; ma insieme di promuovere in S. la formazione di una coscienza e struttura etnico-politica unitaria, superando quella molteplicità di confessioni religiose e particolarismi etnici della precedente storia ottomana e mandataria.
Elemento e quasi simbolo di tale perseguita unità nazionale, in seno alla riaffermata solidarietà panaraba, è la posizione d'inflessibile intransigenza assunta e mantenuta dalla S. nella lotta contro Israele, che ha condizionato questo stato arabo sin quasi dalla sua nascita all'indipendenza. In primo piano nelle attività militari, dalla guerra del 1948 a quella del 1967 e del 1973, come nell'azione diplomatica e politica, la S. ha sostenuto tenacemente ogni sacrificio per la causa araba e palestinese. Lo stillicidio delle ostilità siriane alla frontiera con Israele mosse quest'ultima, nella guerra dei sei giorni, a quell'attacco a fondo alle alture del Golān, che hanno costituito da allora il più conteso campo di battaglia fra i due eserciti. Fermata dall'armistizio del 1967 la guerra di movimento su quel fronte, che condusse gl'Israeliani a minacciare Damasco, la maggior ambizione strategica della S. nell'offensiva del 1973 fu di riassicurarsi il possesso di quelle vantaggiose posizioni perdute, poi parzialmente riconquistate e riperdute ancora nell'ultimo conflitto sino al faticoso disimpegno del 1974. Una nuova fase della politica estera siriana fu introdotta dalla guerra civile libanese, scoppiata nella primavera del 1975. La S., comprensibilmente, dichiarò in un primo tempo il suo appoggio alla fazione musulmana, progressista e filopalestinese; ma prolungandosi il conflitto, intervenne direttamente nel Libano (giugno 1976) con proprie forze armate (cui si sono aggiunti simbolicamente altri piccoli contingenti arabi), sotto il nome di "forza di dissuasione". Il peso militare di tale intervento si rivolse dapprima (1976-77) proprio contro i palestinesi e i libanesi di sinistra loro alleati, in apparente contraddizione con l'iniziale atteggiamento siriano; ma poi (1978) ha colpito nell'opposta direzione le forze cristiane di destra (le "falangi" indipendentiste), mostrando di mirare in realtà ad assicurarsi il controllo militare del paese, nei limiti consentiti dall'opposto intervento israeliano nel Libano meridionale. Nell'autunno del 1978, tale "forza di dissuasione" siriana era più o meno parzialmente sostituita da unità arabe saudiane; ma non risulta che quelle siriane siano state finora ritirate.
L'altro più recente fatto della politica estera di Asad, rieletto plebiscitariamente presidente l'8 febbraio 1978, è stato (autunno 1978) un inizio di ravvicinamento al Iràq, ove è al potere un altro ramo del comune Partito Ba‛ith, a lungo rivale del gruppo siriano. I due stati si erano sinora solo associati nella comune intransigenza verso Israele, e nel rifiuto della politica egiziana.
Letteratura (v. Siri, XXXI, p. 881). - Un bilancio di letteratura araba contemporanea, ripartito per paesi, non può non raggruppare insieme autori siri e libanesi, avendo formato S. e Libano, prima della loro spartizione politica, una letteraria unità: tanto che la cosiddetta "scuola siro-americana" degl'inizi del secolo si compose in buona parte di scrittori libanesi. Libanesi sono ancor oggi i maggiori poeti di questo gruppo, da Sa‛id ‛Aql (nato nel 1912) a Yüsuf al-Khāl (nato nel 1917) e a Ṣalāḥ Labakī (nato nel 1906), mentre siro di nascita è il più illustre caposcuola dell'odierna pleiade libanese, Adonis (nome d'arte di ‛Alī Aḥmad Sa‛īid, nato nel 1930). La S. propria dà al gruppo, come caposcuola, ‛Omar Abū Rīsha (nato nel 1908). Tutti questi poeti hanno fortemente vissuto l'esperienza simbolista e sono imbevuti di cultura francese, mentre gli antichi "siro americani" dell'inizio del secolo risentivano più la componente culturale anglosassone. La raffinatezza intellettuale si è unita in alcuni di essi come Sa‛īd ‛Aql allo sforzo di avvicinare la poesia alla vita, e nel caso specifico arabo a rendere intelligibile in profondità alla più vicina cerchia, il proprio messaggio poetico; donde il tentativo dell'‛Aql di poetare anche in volgare, adottando per rendere il dialetto una sua speciale grafia latinizzata (e quindi, paradossalmente, del tutto inaccessibile alle masse). Nonostante tali tentativi isolati, questa poesia siro-libanese s'inserisce nel filone generale della poesia araba moderna, cui ha dato alcuni dei suoi più prestigiosi gioielli. Ove si voglia poi aggregare al gruppo siro-libanese i poeti di Palestina e Giordania, s'impongono i nomi della poetessa Fadwa Ṭūqān (nata nel 1910) e degli altri giovani poeti della Resistenza (Maḥmūd Darwīsh, Samīḥ al-Qāsim, ecc.); ma è significativo e quasi simbolico che queste voci appassionate e dolenti siano ancora, politicamente, senza patria. Parallela alla produzione poetica, la provincia letteraria siro-libanese conta una cospicua messe narrativa, degna di affiancarsi a quella egiziana e irachena. Distingueremo anche qui i narratori e saggisti libanesi dai puri siriani. Primeggiano in questo campo i contributi di letteratura femminile, come le novelle di Samira ‛Azzām (morta nel 1967) e i romanzi della "Sagan libanese" Leila Ba‛labakkī (nata nel 1936), mentre tra gli scrittori s'impongono i nomi del veterano Mikhāil Nu‛aimā (nato nel 1889) e dell'assai più giovane Tawfīq ‛Awwād (nato nel 1911). Nu‛aimā rappresenta una figura d'eccezione nella letteratura neoaraba, per aver vissuto la triplice esperienza del mondo arabo, anglosassone e slavo, come egli stesso ha narrato in una sua importante autobiografia. Qui lo ricordiamo per la sua molteplice opera di poeta, narratore, drammaturgo e saggista, in cui confluiscono le varie "anime" dell'autore. Quanto a Tawfīq ‛Awwād, resosi già noto fra le due guerre col romanzo "La pagnotta" (ar-Raghīf), ispirato alla grande fame del Vicino Oriente nella prima guerra mondiale, dopo un lungo silenzio è tornato all'arte narrativa con l'altro romanzo "I mulini di Beirut" (Ṭawāḥīn Beirūt, 1972), brillante e amara pittura della nuova generazione nel Libaṅo contemporaneo, divisa tra gli alti ideali di sacrificio e azione (partecipazione alla Resistenza palestinese), e l'indolenza e la dissipazione nichilistica degli hippies. In questo forte libro, l'‛Awwād ha dato uno dei migliori saggi della narrativa araba contemporanea.
Anche in questo campo, la S. propria allinea alcuni valorosi rappresentanti. Tale per es. ‛Abd as-Salām al-‛Ugiailī (nato nel 1918), apprezzato autore di più volumi narrativi ("La figlia della strega", "Le lanterne di Siviglia", "Il traditore", "L'amore e l'anima"); e Fāris Zarzūr, kafkiano tessitore di trame bizzarre, dolorose e paradossali (notevole fra l'altro la raccolta "Fino all'ultima goccia"), che mostrano il talento di un dotato narratore, nutrito di larghe letture dei maestri occidentali.
A questo gruppo letterario siro-libanese può qui aggiungersi la più originale e per noi italiani interessante voce della vita letteraria giordana, l'italianizzante Isa Na‛ūrī (nato nel 1918): ottimo conoscitore e traduttore della letteratura italiana, specie moderna (Leopardi, Pascoli, Quasimodo, Tomasi di Lampedusa), Na‛ūrī è poeta, narratore e drammaturgo in proprio, riecheggiante le passioni e i dolori dell'arabismo nella sua odierna contesa con Israele; mentre un fitto volume sulla "letteratura dell'emigrazione" (Adab al-Mahgiar) lo mostra bene informato storico di questo movimento, parte integrante specie nel passato ma anche nel presente della letteratura patria siro-libanese. La quale, come è apparso da questo sommario resoconto, si può scindere in più sezioni secondo la nazionalità e la fede religosa dei suoi vari autori (la maggior parte dei Libanesi è cristiana), serbando sempre una certa fisionomia unitaria entro il vasto complesso della letteratura moderna araba.
Archeologia. - Le attività archeologiche in S. dopo la ripresa delle relazioni politiche e diplomatiche in seguito alla proclamazione d'indipendenza della Repubblica araba-siriana, sono proseguite nei grandi cantieri tradizionali di Ras Shamrah-Ugarit (v.) e di Tell Hariri-Mari, oltre che in alcuni altri importanti siti di scavo, quali Tell Mardīkh (v.), Tell Khuwera nella Gezirah, Tell Rifa‛at-Arpad e ‛Ain Dara non lontano da Aleppo; una particolare concentrazione di ricerche si è verificata a partire dal 1965, nella media valle dell'Eufrate nella regione di eth-Thawra, per la necessità dello studio, del salvataggio e del restauro dei centri storici minacciati dalla formazione del lago Assad a seguito della costruzione della diga di Tabqa. L'esplorazione della media valle dell'Eufrate, con la scoperta di almeno due centri importanti, Tell Habuba Kebira e Gebel ‛Aruda, riferibili alla cultura di Uruk (circa 3300-2900 a.C.), ha rivelato una delle vie di espansione della civiltà paleosumerica, permettendo d'individuare delle colonie sumeriche che possono essere stati i modelli della diffusione della cultura urbana dal paese di Sumer verso occidente. Da questa irradiazione dal sud devono essere derivati durante il 3° millennio a. C. i primi importanti fenomeni urbani caratterizzati da elementi autonomi, tra i quali il più rilevante è certo, in ambiente khurrita, Tell Khuwera, non lontano da Ras el-‛Ain, la cui architettura, caratterizzata dalla tipologia ad ante emergenti dei templi e la cui scultura, dominata dalla visione geometrica-astratta propria dello stile di Mesilim, indicano una fioritura culturale protodinastica con aspetti originali collocabile tra il 2700 e il 2300 a. Cristo. Gli scavi italiani di Tell Mardīkh hanno permesso d'identificare in questo sito l'antica Ebla, il centro della grande cultura urbana protosiriana matura (circa 2400-2000 a. C.), al cui ambito si ricollegano testimonianze sempre più frequenti: ancora nella valle dell'Eufrate mostrano livelli di questa cultura Tell Selenkahiyya, Tell el-Abd e Tell Halawa. Sostanziali contributi alle conoscenze della regione di frontiera tra dominio hittita e dominio assiro, dal 1350 al 1190 a. C., hanno fornito Tell Mumbaqat e Tell Frai sulla riva sinistra e Meskene-Emar sulla riva destra dell'Eufrate: il primo è un grosso centro fortificato, di cui è soprattutto notevole un tempio a cella longitudinale; il secondo, distrutto forse intorno al 1270 a. C., nei suoi due templi e nel "palazzetto" rivela una cultura architettonica complessa in cui sono operanti elementi paleosiriani, assiri arcaici e anatolici. Emar, dove pure sono stati portati alla luce diversi templi a cella longitudinale e un edificio palatino, era un importante centro amministrativo dell'impero hittita, distrutto intorno al 1190 a. C., che ha fornito un gran numero di testi cuneiformi in maggioranza mediobabilonesi. La troppo breve esplorazione archeologica di Tell Rifa‛at non ha consentito che lo scavo di una delle porte di Arpad, la capitale dello stato aramaico di Bit Agushi. Molto più importante è il complesso di sculture neohittite venute alla luce sull'acropoli di ‛Ain Dara e databili tra il 900 e il 740 a. C.: esse appartengono in prevalenza a un complesso culturale di difficile interpretazione planimetrica, che sembra essere stato il nucleo architettonico della rocca di quella che può essere identificata con l'antica Kunaluwa, la capitale dello stato di Khattina.