Serbia (serb. Srbija) Stato balcanico privo di sbocco al mare. Confina a N con l’Ungheria, a NE con la Romania, a E con la Bulgaria, a S con la Repubblica della Macedonia del Nord, a SO con il Kosovo (proclamatosi indipendente dalla S. il 17 febbraio 2008), a O con Montenegro e Bosnia ed Erzegovina, a NO con la Croazia.
Il territorio serbo è contrassegnato dalla difformità delle sue tre unità morfologiche fondamentali: una vasta regione pianeggiante, a N; una collinare centrale; una montuosa meridionale. La parte settentrionale del paese è occupata dall’estremo lembo della pianura pannonica ed è attraversata dal Tibisco, dal Danubio e dalla Sava. Il Tibisco, che la percorre nel senso dei meridiani, separa la regione del Banato (a E) da quelle della Bačka (a O), prima di confluire nel Danubio. La ricchezza idrografica della regione ha permesso la realizzazione di numerosi canali, che accrescono il valore economico e l’importanza dei tre fiumi, tutti navigabili. L’unica fascia di rilievi presente nella sezione settentrionale della S. è ubicata nella regione di Sirmio (Fruška Gora, 539 m). Queste formazioni collinari digradano verso S, dove il paesaggio, in corrispondenza della confluenza della Drina nella Sava, riacquista un carattere pianeggiante che si mantiene immutato lungo tutta la riva settentrionale della Sava e del Danubio. L’omogeneità morfologica della regione settentrionale si contrappone all’eterogeneità che caratterizza i territori di quella centrale e meridionale. A S del Danubio, nella sezione centro-orientale del paese, il rilievo delle Homoljske Planine (940 m) si raccorda con le Alpi Transilvane, in una zona ricca di giacimenti minerari. Più a S, si innalza il Midžor (2168 m), appartenente al massiccio dei Balcani Occidentali. Al centro del territorio si estende la Šumadija, cuore dell’antica S., compresa tra la Drina (a O), la Sava e il Danubio (a N), il medio e basso corso della Morava (a E) e la Morava Occidentale (a S). La vetta più elevata si trova nel massiccio centrale dei Monti Rudnik (1132 m), dai quali si irradiano numerosi corsi d’acqua dal profilo irregolare. Nella parte sud-occidentale del territorio serbo le montagne tornano a raggiungere i 2000 m (Kopaonik, 2017 m; Golija, 1833 m).
Il clima della S. è tipicamente continentale, con estati umide e afose e inverni piuttosto rigidi, segnati dal passaggio di correnti d’aria fredda provenienti per lo più da E. La temperatura media di Belgrado in gennaio è di −1,6 °C e in luglio di 22 °C. Le precipitazioni sono prevalentemente invernali a S ed estive a N. Il quadro idrografico si caratterizza, oltre che per la presenza dei numerosi fiumi, per la ricchezza di bacini lacustri naturali (Palić, Rusanda) e artificiali. Importanti sono anche le fonti di acqua termale di Vraniška Banja, Soko Banja e Niška Banja.
Con la secessione del Kosovo, il gruppo etnico serbo rappresenta, nella restante parte del paese, l’82,9% della popolazione. Seguono gli Ungheresi (3,9%, ma circa il 15% in Voivodina), i Bosniaci (1,8%), i Rom (1,4%), i Montenegrini (0,9%) e varie altre minoranze (Slovacchi, Croati, Rumeni, Ruteni ecc.) concentrate prevalentemente in Voivodina. Il tasso di accrescimento della popolazione è negativo (−0,4% nel 2009), con una natalità (9,1‰) decisamente bassa, cui si contrappone un tasso di mortalità assai elevato (13,8‰). La rete urbana comprende, oltre alla capitale (1.500.000 ab. nell’agglomerazione urbana), poche altre città di rilievo, tra le quali superano i 100.000 ab. Novi Sad (capoluogo della Voivodina), Niš, lungo il medio corso della Morava Meridionale, e Kragujevac, nella Šumadija.
La lingua parlata in S. appartiene al gruppo serbocroato (➔), coinvolto in un processo di differenziazione, in serbo da una parte e croato dall’altra, che prende corpo da differenze di alfabeto (il serbo è scritto in cirillico), di pronuncia e da fatti di natura lessicale.
La religione cristiano-ortodossa è quella professata dalla maggioranza serba, mentre in Voivodina è rilevante il numero dei cattolici; minoranze di musulmani e protestanti.
L’economia serba ha sempre rappresentato, insieme a quella croata e slovena, un elemento di forza all’interno della struttura economica della Repubblica Socialista Federale di Iugoslavia. Nel 1989 il `prodotto sociale globale’ della S. rappresentava il 36,2% di quello federale; nello stesso anno il reddito pro capite (valutato in 2350 dollari), pur essendo nettamente inferiore a quello della Slovenia (5870 dollari) e della Croazia (3550 dollari), risultava decisamente superiore rispetto alle altre repubbliche. Si trattava, però, di una condizione soltanto apparente, che si è rivelata in tutta la sua fragilità al momento della grave crisi politica, economica e militare che ha condotto alla dissoluzione della federazione iugoslava. L’apertura definitiva verso l’economia di mercato, che doveva sostituire completamente l’autogestione, ha caratterizzato la politica economica adottata dalla dirigenza serba ma, a differenza della Croazia e della Slovenia, la S. è stata costretta a scontrarsi con grosse difficoltà, causate anche dall’effetto combinato di variabili extraeconomiche, quali la guerra civile e le conseguenti sanzioni commerciali decretate dall’ONU nel 1992 e inasprite l’anno seguente. L’isolamento economico della S. è stato aggravato dalla sua esclusione dal GATT, nel giugno 1992, e dal FMI nel dicembre dello stesso anno. Nel 1993-94, a causa dell’effetto delle sanzioni economiche su un’economia già in crisi, si assisteva alla crescita inverosimile della spirale inflazionistica, con una punta massima tra il dicembre del 1993 e il gennaio del 1994, quando il tasso mensile d’inflazione raggiungeva un valore di 313.600.000%, costringendo a stampare banconote da 50 miliardi. Per sanare questa situazione, il 24 gennaio 1994 veniva creato un `nuovo dinaro’ (equivalente a 13 milioni di vecchi dinari), del quale si stabiliva la parità con il marco tedesco. Questa riforma monetaria riusciva nel suo intento di ridurre l’inflazione, che, nel gennaio 1995, scendeva al 12,4%, ma a prezzo di una rigida politica monetaria, causa di gravi difficoltà per la popolazione, accresciuta di migliaia di profughi serbi provenienti dalla Croazia e dalla Bosnia ed Erzegovina e costretta a confrontarsi con i gravi problemi della disoccupazione. L’attacco NATO della primavera 1999, sommandosi alla crisi economica e sociale già in atto, aggravò ulteriormente la situazione del paese. Il successivo crollo della fortuna politica del serbo S. Milošević, presidente della Repubblica Federale di Iugoslavia, il suo arresto e la sua estradizione su richiesta del Tribunale penale internazionale dell’Aia, hanno aperto nuove prospettive alla S., avvantaggiata dall’abrogazione delle sanzioni economiche che le erano state imposte e dalla ripresa degli aiuti internazionali.
La natura pianeggiante del territorio della Voivodina comporta una più elevata percentuale di terreno messo a coltura: ed è proprio in questa regione che si concentra la maggior parte della produzione di cereali e piante industriali (barbabietola da zucchero, tabacco, girasole, lino e canapa). Il prodotto principale, per quanto concerne i cereali, è il mais; seguono il frumento, l’orzo e l’avena. Diffuse anche le colture della patata e delle prugne, che vengono consumate fresche oppure distillate (slivoviz), essiccate o trasformate in conserve. L’allevamento riguarda soprattutto i suini, seguiti, per consistenza di capi, da ovini, bovini e animali da cortile.
La S. è anche ricca di risorse minerarie, presenti, in particolare, nella regione delle Homoljske Planine. I principali giacimenti di carbone si trovano a Rtanj, Zaječar e Aleksinac; l’altro minerale di cui è ricca la regione montagnosa che si incunea fra Romania e Bulgaria è il rame, estratto a Bor e a Majdanpek, ma anche più a O, a Raška, tra i due massicci del Kopaonik e del Golija. Il petrolio invece, è presente soprattutto nella regione del Banato (Kikinda e Mokrin), il gas naturale in Voivodina. Le attività manifatturiere, specie quelle ubicate a Belgrado, hanno pesantemente risentito dell’isolamento economico e delle distruzioni belliche. In Voivodina, oltre alle numerose industrie di trasformazione, è attivo, a Pančevo, un impianto di raffinazione del petrolio. A Bor e a Majdanpek viene lavorato il rame estratto dalle vicine miniere. L’industria meccanica (autocarri, autovetture, macchine agricole) ha sede a Kragujevac, Kruševac, Rakovica, Subotica. L’industria chimica di base ha i suoi centri in Šabac e in Bor, quella tessile è diffusa nella zona meridionale del paese (Vranje, Leskovac, Pirot, Prokuplje). Niš è il principale centro dell’industria elettronica. La bilancia commerciale è in forte passivo, date le perdite ingenti subite dalle strutture produttive. Il paese importa soprattutto macchinari, apparecchiature elettriche, mezzi di trasporto e generi alimentari; esporta rame, acciaio, materie plastiche, abbigliamento, materiale elettrico, prodotti chimici. Principali partner commerciali sono Russia, Italia, Germania, Bosnia ed Erzegovina e Montenegro.
La rete stradale si estende per 38.810 km (2007), quella ferroviaria per 3089. Il sistema delle comunicazioni, legato alle diversità morfologiche del territorio, è maggiormente sviluppato nella parte centrale e settentrionale del paese. Dal nodo ferroviario e stradale di Belgrado si dipartono le direttrici di comunicazione verso Zagabria, Lubiana, Budapest, la Romania e Salonicco.
Popolazione slava, i Serbi apparvero nei Balcani fra 6° e 7° sec., spinti e dominati dagli Avari. La S., erede e continuatrice della Rascia, emerse nel 12° sec., quando il piccolo Stato di Stefano di Nemanja (1151-95) si espanse e si affiancò a Venezia contro Bisanzio. Dopo un periodo di crisi per le frequenti lotte dinastiche, Stefano Dušan (1331-55) pose le fondamenta della Grande S.; unto e incoronato «imperatore dei Serbi e dei Greci» (1346), conquistò l’Epiro e la Tessaglia. Nel 1389, a Kosovo i Turchi sconfissero i Serbi, che persero la loro autonomia nel 1459. Da allora sino alla formazione del Principato di S. (1830), il paese rimase soggetto ai Turchi. Tuttavia la società serba conservò la propria individualità nazionale, la religione ortodossa e, insieme, una struttura arcaica con persistenti sopravvivenze dell’antico ordinamento tribale. La ricostruzione poi del patriarcato serbo di Peć (Kosovo, 1557) a opera del gran visir Moḥammed Soqolli (serbo Sokolović) ebbe un profondo significato di conservazione nazionale.
Dai primi dell’Ottocento i Serbi si ribellarono all’autorità del sultano, sotto la guida alterna delle famiglie dei Karađorđević e degli Obrenović. Nel 1830 il paese ottenne una certa autonomia all’interno dell’Impero ottomano, e nel 1878 sotto Milan Obrenović divenne del tutto indipendente, acquistando una crescente potenza nella regione tra Otto e Novecento. Dopo le guerre balcaniche del 1912-13 (che consentirono alla S. di annettere il Kosovo e buona parte della Macedonia e del Sangiaccato), la Prima guerra mondiale creò le condizioni favorevoli alla nascita (1918) del Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni che, sotto la dinastia Karađorđević, nel 1929 assunse il nome di Regno di Iugoslavia (➔). Questo fu però dissolto, durante la Seconda guerra mondiale, dall’invasione italo-tedesca (1941), che insediò in S. un governo collaborazionista. In questo quadro si sviluppò il movimento di resistenza comunista, guidato da Tito. Dopo aver cacciato i nazisti (fine del 1944) e aver vinto le elezioni (1945), i comunisti andarono al potere e trasformarono il Regno in una Repubblica federale socialista, di cui la S. divenne membro.
Nella nuova Iugoslavia federale, la S. fu l’unica repubblica a comprendere nel suo territorio due regioni dotate di ampia autonomia, il Kosovo e la Voivodina. La ripartizione amministrativa della federazione iugoslava aveva inoltre lasciato al di fuori della repubblica serba gran parte della popolazione serba, in particolare, nelle repubbliche di Croazia e di Bosnia. Dopo la morte di Tito (1980), iniziarono ad emergere crescenti tensioni che esplosero all’inizio degli anni 1990 quando le mire egemoniche di S. Milošević (dal 1986 segretario generale del Partito comunista serbo e presidente della Repubblica dal 1989) entrarono in collisione con le spinte indipendentiste delle altre regioni della Iugoslavia. La guerra ebbe inizio nel 1992 in seguito alla proclamazione d’indipendenza della Slovenia e della Croazia, quasi subito riconosciuta dalla comunità internazionale. Dopo che anche la Macedonia si dichiarò indipendente, l’epicentro del conflitto si spostò nella Bosnia ed Erzegovina. La guerra in Bosnia, segnata da terribili violenze, si concluse nel 1995 con gli accordi di Dayton, in base ai quali la Bosnia ed Erzegovina fu divisa in due parti: una federazione musulmano-croata e una Repubblica serba. Nel 1998-99 si aprì una nuova crisi nel Kosovo, regione autonoma popolata in maggioranza da Albanesi e percorsa da forti spinte separatistiche, che divenne oggetto di una politica di sistematica repressione da parte di Milošević. Questo provocò infine l’intervento militare della NATO e una serie di pesanti bombardamenti aerei tra il marzo e il giugno del 1999, che si conclusero con l’umiliazione della S. e il riconoscimento dell’autonomia della regione del Kosovo, posta sotto l’amministrazione dell’ONU.
La sconfitta militare favorì la caduta di Milošević e la vittoria delle opposizioni democratiche alle elezioni del 2000. Gli accordi del marzo 2002 segnarono la fine della Iugoslavia e il ritorno a uno Stato serbo indipendente dopo più di 80 anni. Nel 2003 la Repubblica Federale di Iugoslavia assunse ufficialmente il nome di Unione di S. e Montenegro, ma nel 2006 un referendum sancì il distacco del Montenegro dalla S., che venne così a configurarsi come un’unica entità statale. Nel febbraio 2008 la S. tentò inutilmente di opporsi alla proclamazione unilaterale di indipendenza da parte del Kosovo. Per ottemperare alle richieste dell'Unione Europea, che imponevano al Paese il riconoscimento dei crimini di guerra commessi nei conflitti successivi alla dissoluzione della Iugoslavia, nel marzo 2010 il Parlamento serbo ha approvato una risoluzione di autoaccusa per il massacro di Srebrenica del 1995, nel quale furono uccisi migliaia di bosniaci musulmani, e incriminato vari membri politici e militari per i crimini commessi contro civili di etnia albanese nel 1999; a seguito di tale politica di conciliazione il 1° marzo 2012 la S. ha ottenuto lo status di Paese candidato all'ingresso nell’Unione Europea, cui nel 2009 aveva presentato domanda di adesione. Alle elezioni generali tenutesi nel maggio 2012 il presidente della Repubblica e leader del Partito democratico B. Tadić, in carica dal 2004, ha ottenuto il 26,8% dei consensi, contro il 25,6% dello sfidante T. Nikolić, del Partito serbo del progresso (SNS); non avendo raggiunto il 50% dei consensi al primo turno, i due uomini politici si sono confrontati al ballottaggio, da cui è uscito vincitore Nikolić, che ha registrato il 49,55% di preferenze. Alle elezioni parlamentari la coalizione progressista di Nikolić ha ottenuto 73 seggi, contro i 67 del Partito democratico, e ha formato una coalizione con il Partito socialista di Serbia (SPS), le Regioni unite di Serbia (URS) e altri, nominando come premier il leader del SPS I. Dačić. Le consultazioni legislative anticipate, tenutesi nel marzo 2014 dopo le dimissioni della coalizione di governo guidata da Dačić, hanno registrato un brusco mutamento di rotta, con la schiacciante vittoria del Partito serbo del progresso del vicepremier A. Vučić, che ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi superando nettamente il SPS (14% delle preferenze) dell'ex premier, cui è subentrato nella carica, e il Partito democratico (5%). Alle elezioni politiche indette da Vučić anch'esse anticipatamente e svoltesi nell'aprile 2016 il SNS del premier ha ottenuto il 50% circa dei voti, aggiudicandosi la maggioranza assoluta in Parlamento (150 su 200 seggi), mentre il SPS di Dačić si è confermato seconda forza del Paese. Candidatosi alle presidenziali dell'aprile 2017, il premier Vučić è stato eletto presidente del Paese al primo turno, aggiudicandosi il 55% dei voti e subentrando nella carica a Nikolić; nel giugno successivo l'uomo politico ha nominato prima ministra A. Brnabić. Alle elezioni politiche tenutesi nel giugno 2020 il SNS di Vučić si è affermato nettamente con il 63,4% dei voti, aggiudicandosi 189 su 250 seggi; tali risultati sono stati confermati dalle elezioni generali dell'aprile 2022, che hanno registrato l'assegnazione al primo turno a Vučić (59,8% dei consensi) del secondo mandato presidenziale e il successo del SNS dell'uomo politico, che si è aggiudicato il 43,8% dei suffragi, ottenendo grazie all'appoggio del SPS (11,6%) la maggioranza parlamentare. In politica estera, nel settembre 2020 il presidente Vučić e il primo ministro del Kosovo A. Hoti hanno firmato alla Casa Bianca un accordo per la normalizzazione dei rapporti economici tra i due Paesi, che prevede la loro cooperazione per attrarre investimenti e creare posti di lavoro in alcuni settori, mentre nell'agosto 2022 - dopo un lungo periodo di tensione prodotto da nuove norme transfrontaliere imposte dalle autorità serbe - è stato raggiunto un accordo sulla libertà di circolazione tra i due Paesi; nel marzo 2023 Belgrado e Pristina hanno accettato il piano dell’Unione Europea per la normalizzazione delle loro relazioni, che dovrà essere firmato e implementato. Ciò nonostante, violenti scontri si sono verificati nel maggio 2023 in Kosovo tra forze Nato e manifestanti serbi a seguito delle elezioni municipali che hanno portato all'elezione - ritenuta illegittima dall'etnia serba, astenutasi dal voto con l'appoggio di Belgrado - di sindaci albanesi.
In seguito all’insurrezione in Rumelia Orientale e alla proclamazione della sua unione alla Bulgaria, la S., il 13 novembre 1885, dichiarò guerra a Sofia. L’esercito bulgaro riuscì però a sconfiggere rapidamente i Serbi, invadendo lo stesso territorio serbo. Timorosa di un annientamento della S., l’Austria minacciò la sua entrata in guerra a fianco dei Serbi e richiese che l’esercito bulgaro cessasse l’avanzata. La Bulgaria fu costretta a firmare l’armistizio (10 dicembre) e, dopo lunghi negoziati, il trattato di pace di Bucarest (3 marzo 1886), che ristabiliva i confini serbo-bulgari anteriori alla guerra, pur mantenendo l’unione della Rumelia Orientale alla Bulgaria.
Nell’estate 1875 la rivolta dei cristiani dell’Erzegovina e poi della Bosnia contro il locale patriziato musulmano e il dominio ottomano provocò nel principato autonomo di S. un’ondata di entusiasmo nazionale e antiturco. Fallito il tentativo di risolvere la crisi per via diplomatica, il 1° luglio 1876 la S. dichiarò guerra alla Turchia. Fallì però nel tentativo di occupare la Bosnia, mentre il Montenegro, suo alleato, poté avanzare in Erzegovina. In settembre l’esercito turco fu costretto ad accettare una tregua, impostagli dalle potenze europee. Riapertosi il conflitto agli inizi di ottobre, i Turchi conseguirono decisive vittorie, ma un ultimatum russo li obbligò alla conclusione di un armistizio (31 ottobre). Il 1° marzo 1877 S. e Turchia firmarono il trattato di pace. Le ostilità vennero comunque riprese nel dicembre seguente, con la partecipazione della S. alla guerra russo-turca. Con il trattato di Berlino (1878), la S. ottenne aumenti territoriali e l’indipendenza dall’Impero ottomano.
L’arte medievale serba non presenta, nonostante la sua appartenenza di fondo al mondo bizantino, uno sviluppo unitario, per la diversità delle culture d’origine e per il continuo e variato intrecciarsi delle influenze delle regioni limitrofe. Distrutti dalle invasioni slave gli importanti insediamenti tardoantichi (Singidunum, Naissus, Sirmium) e protobizantini (Iustiniana Prima), i primi monumenti di rilievo appartengono alla seconda metà del 12° secolo. Le architetture, quasi esclusivamente chiese e monasteri, mostrano accanto alla matrice bizantina forme romaniche: S. Nicola a Kuršumlija (1168 ca.); chiesa di Ðurđevi Stupovi presso Ras (seconda metà 12° sec.); chiese dei monasteri di Studenica (1190-96), Žiča (1207-19), Sopoćani (1262 ca.) e Dečani (1325-37). Nella zona più vicina alla Macedonia pur predominando nel 14° sec. il tipo bizantino a croce con 5 cupole, si riscontra una tendenza a irrobustire le masse murarie e ad allungare la croce della pianta (chiesa della Bogorodica Ljeviska a Prizren, 1307; Gračanica, 1320 ca.). Nella parte più settentrionale della S., l’architettura della «scuola della Morava» (fine 14°-inizio 15° sec.) presenta la soluzione a triconco (chiese di Ravanica, 1375 ca.; di Kruševac, 1380 ca., e di Manasija, 1407-18), ripresa dai monasteri del Monte Àthos, tra i quali quello serbo di Chiliandari. Dopo la perdita dell’indipendenza, il baricentro della cultura serba si sposta verso l’Ungheria, dove alla fine del 16° sec. e nel 17° sorsero numerosi monasteri sulla Fruška Gora.
La scultura, connessa esclusivamente all’architettura, si presenta nella Rascia con forme tipicamente romaniche: portali e finestre della chiesa della Vergine a Studenica (1190-96), ispirazione per altre chiese in pietra più tarde (S. Stefano a Banjska, 1314; chiesa del Salvatore a Dečani, 1325-37). Maggiore affinità con la decorazione ornamentale bizantina, di minore plasticità, si riscontra nella S. meridionale e soprattutto nelle architetture più tarde della «scuola della Morava» (oltre alle decorazioni delle già ricordate chiese di Ravanica, Kruševac e Manasija, notevoli quelle della chiesa di Kalenić, 1413-17).
Oltre alle icone, moltissime sono le decorazioni pittoriche monumentali che, pur nell’ambito dell’arte bizantina, rivelano tendenze originali. La grave monumentalità degli affreschi della chiesa della Vergine di Studenica (dal 1208) richiama la tradizione bizantina dell’11° sec. (come nel monastero di Žiča, di S. Giorgio presso Novi Pazar). Gli affreschi nella chiesa dell’Ascensione di Mileševo (1236), fondata da Ladislao I come mausoleo di famiglia, denunciano un deciso rapporto con la tradizione classica costantinopolitana; una sorprendente penetrazione psicologica emerge nei volti dei sovrani (nell’arte serba il ritratto è una caratteristica costante). L’opera pittorica più alta del 13° sec. è la decorazione della chiesa della Trinità di Sopoćani. Dall’inizio del 14° sec. è evidente l’influsso dell’arte paleologa (Prizren, 1306-09; chiesa di Milutin, 1313 ca., a Studenica; Dečani, 1335). Nella vallata della Morava gli affreschi più significativi si trovano a Ravanica (1376-77) e a Manasija (1407-18).
L’epoca moderna dell’arte serba ha i suoi inizi a metà del 18° sec., e s’identifica con una frattura con la tradizione, soprattutto nella pittura che, per influsso occidentale, segue uno sviluppo dal tardo barocco (T. Kračun; T. Češljar), attraverso il classicismo (A. Teodorović; P. Ðurković; K. Danil; N. Aleksić; K. Ivanović) e un romanticismo patriottico, ispirato a temi popolari e di lotta nazionale (P. Simić; N. Radonić; S. Todorović), al realismo (M. Tenković; Ð. Krstić; U. Predić; P. Jovanović), all’impressionismo (M. Milovanović; N. Petrović) al cubismo, al futurismo, al surrealismo.
Nella scultura I. Meštrović ebbe grande influsso anche in S. (Monumento al milite ignoto sull’Avala, Belgrado). L’architettura rifiorisce tra la fine del 19° sec. e il principio del 20°, imitando motivi rinascimentali e barocchi (K.K. Jovanović; A. Bugarski) o rifacendosi ai modelli dell’antica arte serba e bizantina (S. Ivačković; V. Nikolić). Dopo la Seconda guerra mondiale si sono affermati i principi del costruttivismo e del funzionalismo in architettura. Tra le opere più recenti spicca il Memoriale sul monte Ravna Gora, con auditorium e biblioteca (2000) e, nel campo delle arti visive, una partecipazione ai nuovi linguaggi occidentali.