Stato (102.173 km2, con 10.337.504 ab. nel 1991) costituito nell’aprile 1992 come federazione tra le repubbliche della Serbia (comprendente le due regioni autonome del Kosovo e della Voivodina) e del Montenegro, con capitale Belgrado. Nel 2003 lo Stato assunse la denominazione di Unione statale di Serbia e Montenegro. Dal 2006 la Serbia e il Montenegro sono due Stati sovrani.
All’atto della costituzione della federazione, per le due compagini furono previsti poteri equivalenti, ma fin dall’inizio si affermò l’egemonia della Serbia e del suo presidente S. Milošević, assecondato nella sua politica dalla completa collaborazione del presidente montenegrino M. Bulatović. L’isolamento internazionale della Repubblica Federale di I. a causa del conflitto in Croazia e in Bosnia ed Erzegovina, con i contraccolpi sulla già dissestata economia prodotti dalle sanzioni imposte dall’ONU, indusse Milošević, che rischiava di essere processato dal Tribunale penale internazionale dell’Aia per i massacri della popolazione civile bosniaca, a prendere le distanze dai Serbi di Bosnia e dal loro presidente R. Karadžić; inoltre, nel 1995, l’esercito croato pose fine all’autoproclamata Repubblica serba di Krajina. In questo clima, gli Stati Uniti riuscirono a imporre gli accordi di pace, firmati a Dayton (novembre 1995) dai presidenti di Bosnia- Erzegovina, Croazia e Serbia.
Sul piano interno, specie nel mondo politico serbo, l’opposizione si divise fra le tesi estremiste del Partito radicale serbo di V. Šešelj e quelle di appoggio al processo di pace di V. Drašković, espresse dalla coalizione democratica Zajedno («Insieme»). Quest’ultima ebbe un certo seguito nella società civile esasperata dalla crescente oppressione interna, ma si sgretolò per contrasti interni, mentre i radicali di Šešelj si affermarono alle elezioni politiche (1997) come seconda forza del paese. Milošević, non potendo presentarsi per la terza volta alla presidenza della Serbia, conquistata dal suo candidato M. Milutinović, divenne presidente della federazione. Il 1997 registrò anche l’inasprirsi delle tensioni tra Albanesi e Serbi in Kosovo (➔) e l’apertura di un nuovo fronte di crisi che lo stesso Milošević aveva contribuito a creare fomentando il nazionalismo dei Serbi kosovari e cancellando già dal 1990 l’autonomia di quella regione. Nei primi mesi del 1998 i massacri tra gli Albanesi perpetrati in Drenica da polizia e gruppi paramilitari serbi suscitò la rappresaglia dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Ushtria Çlirimtare e Kosovës, UÇK). Il Gruppo di contatto istituito per vigilare sulla pace nell’ex Iugoslavia (Stati Uniti, Russia, Francia, Germania, Regno Unito e Italia) impose, con il voto contrario della Russia, l’embargo economico mentre la NATO minacciò l’intervento militare se Belgrado non avesse ritirato le truppe e avviato un negoziato di pace con i rappresentanti della popolazione albanese del Kosovo. Il compromesso raggiunto a Belgrado (ottobre 1998) non resse e anche la successiva Conferenza di Rambouillet (febbraio 1999) ebbe esito fallimentare. Il 24 marzo scattò, senza il consenso del Consiglio di sicurezza dell’ONU a causa del veto di Russia e Cina, l’intervento aereo della NATO contro la Repubblica Federale di I. e, due mesi dopo, il Tribunale penale internazionale dell’Aia formalizzò l’incriminazione di Milošević per crimini contro l’umanità. Dopo 80 giorni di bombardamenti Belgrado accettò infine il piano di pace elaborato dai paesi del G8, ma gli scontri fra le parti non cessarono nonostante il dispiegamento di una forza internazionale (KFOR).
Il Patto di stabilità dei Balcani, siglato a Sarajevo (luglio 1999) da oltre 40 capi di Stato e di governo, stabilì gli obiettivi che avrebbero dovuto guidare la transizione della Repubblica federale di I. verso la democrazia e l’economia di mercato. Condizioni inderogabili del patto (e degli aiuti finanziari promessi) erano l’isolamento di Milošević e la collaborazione per assicurare alla giustizia i criminali di guerra serbi. L’allontanamento di Milošević – che si era assicurata, modificando la Costituzione, la possibilità di essere rieletto alla presidenza serba – fu il legante di una eterogenea e vasta coalizione, l’Opposizione democratica della Serbia. Le elezioni del 2000 si svolsero in un contesto alterato dai brogli del regime. La denuncia di truffa lanciata da V. Koštunica, candidato del fronte di Opposizione democratica serba in testa al primo turno, le pressioni della comunità internazionale e soprattutto le proteste di piazza costrinsero Milošević ad ammettere la sconfitta e Koštunica poté insediarsi nella carica; a presiedere il governo fu chiamato il filoccidentale Z. Žižić. Nei mesi successivi la Repubblica Federale di I. fu reintegrata nel suo seggio alle Nazioni Unite e riallacciò le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti e i principali paesi europei. La consegna (giugno 2001) di Milošević al Tribunale penale internazionale dell’Aia fu condannata da una parte del governo federale, specie dallo schieramento facente capo a Koštunica e dai nazionalisti, e provocò le dimissioni del primo ministro Žižić, sostituito da D. Pešić.
L’irrisolta questione del Kosovo, divenuta provincia autonoma amministrata dall’ONU dal giugno 1999 ma con pressanti rivendicazioni indipendentiste, contribuiva ad acutizzare la tensione politica, mentre si faceva sempre più profonda la frattura tra le due unità territoriali costituenti la federazione. Le pressioni internazionali non distolsero il governo montenegrino dal progetto indipendentista sostenuto dal presidente M. Djukanović (in carica dal 1997). Nel marzo 2002 Serbia e Montenegro firmarono un accordo che sancì la trasformazione della Repubblica Federale di I. in una nuova unione, in regime di larga autonomia, da sperimentare per 3 anni, scaduti i quali il Montenegro avrebbe potuto indire un referendum sulla propria indipendenza. Allo scadere dei 3 anni la Serbia e il Montenegro si sono definitivamente separati e oggi sono due Stati pienamente sovrani.