Stato balcanico, proclamatosi indipendente il 17 febbraio 2008, in precedenza regione autonoma della Serbia. Confina a O con il Montenegro e l’Albania, a S con la Macedonia del Nord e per il resto con altri territori serbi.
È un’area montuosa dalle forme piuttosto aspre (fuorché presso il confine albanese, dove si apre la vasta piana della Metohija) e dal clima continentale, corrispondente agli alti bacini del Drin Bianco e di alcuni tributari della Morava.
Nel 1996, secondo una stima, la popolazione del Kossovo (it. Cossovo) era pari a 2.151.000 abitanti. La guerra, che ha interessato il K. dal marzo 1998, ha determinato un massiccio esodo dei suoi abitanti: secondo l’Alto commissariato dell’ONU per i rifugiati, tra il 1998 e la metà di aprile del 1999 hanno abbandonato il luogo di origine circa 630.000 Kosovari, dei quali 310.000 hanno trovato rifugio in Albania (190.000 vi si erano già trasferiti prima dello scoppio della guerra), 119.400 in Macedonia (16.000 da prima del 24 marzo 1999), 61.000 in Montenegro (25.000 da prima del 24 marzo 1999). I dati dell’Alto commissariato non comprendono i Kosovari costretti ad abbandonare le loro case e che hanno trovato accoglienza presso parenti e amici, o che si sono spostati solo temporaneamente per sfuggire alle violenze dei paramilitari serbi. Successivamente la situazione è peggiorata e, secondo dati della Croce Rossa Internazionale, i profughi del K. al 1° maggio 1999 erano circa 969.000. La comunità internazionale si è immediatamente mobilitata in favore dei rifugiati e dei profughi Kosovari e, in conseguenza all’accettazione da parte di Belgrado di un piano di pace, ha dato ogni possibile aiuto per favorire il ritorno alla normalità nel paese. In seguito a ciò, quindi, molti profughi sono rientrati nei luoghi d’origine, ma è tuttora difficile dare una precisa valutazione della consistenza demografica della regione.
Pochi centri hanno carattere urbano: oltre la capitale, unica città vera e propria, Prizren, Peć, Mitrovica.
Già prima degli avvenimenti bellici della fine del Novecento la regione era un’area arretrata, con notevoli problemi da risolvere: nonostante la coltura del mais, del tabacco e di piante ortive, l’allevamento ovino, le non scarse risorse del sottosuolo (piombo, zinco) e l’esistenza di un discreto settore industriale (lavorazione dei minerali e industria chimica: fabbriche di superfosfati di Mitrovica), il K. ha sempre rappresentato una delle zone più depresse della Iugoslavia e dell’intera Penisola Balcanica. Inoltre, la politica repressiva di Belgrado nei confronti dei Kosovari di etnia albanese e le sanzioni economiche imposte dalla comunità internazionale alla Repubblica Federale di Iugoslavia hanno reso ancora più drammatica la situazione. Con la fine della guerra e l’inizio del processo di pace si sono aperte molte prospettive per il K., soprattutto grazie all’appoggio e al sostegno della comunità internazionale, impegnata a sostenere con aiuti finanziari la ripresa delle attività economiche: a questo proposito, i primi interventi sono stati rivolti soprattutto alle attività agricole e artigianali, mentre quelli relativi alle grandi industrie kosovare, nelle quali in precedenza lavorava gran parte della manodopera, rimangono in via di definizione.
In età medievale il K. fu il cuore dello Stato serbo dei Nemanja e dell’impero di Stefano Dušan. Conquistato dai Turchi ottomani (1389), acquisì valore simbolico nella tradizione culturale dei Serbi e di altri popoli balcanici e fu oggetto di una letteratura eroica, la cui riscoperta nel 19° sec. alimentò lo sviluppo dei movimenti nazionali slavo-meridionali; a questa tradizione si riferirono gli autori dell’attentato contro Francesco Ferdinando d’Asburgo (1914). Nel corso dei secoli, d’altra parte, la composizione demografica del K. era mutata a favore degli Albanesi e nel 1878 si sviluppò qui il primo embrione del movimento nazionale albanese con la costituzione della Lega di Prizren.
Dopo la prima guerra balcanica (1912), il K. fu annesso alla Serbia; nel 1918 entrò a far parte della Iugoslavia e nel 1941 fu unito all’Albania sotto l’egida italiana. La vittoria di Tito in Iugoslavia sanzionò il ritorno del K. alla Serbia, con lo status di regione autonoma. Tito, il quale, in un’ottica di equilibri e mediazioni, riteneva che nel quadro della nuova Iugoslavia comunista non si dovesse esaltare in nessun caso alcun primato nazionale serbo, non fu indifferente alle richieste di autonomia da parte degli albanesi del Kosovo. Nel 1974 concesse al K. una nuova Costituzione che riconosceva alla provincia il carattere di ‘elemento costitutivo della Federazione’, la legittimità di un autonomo governo locale e l’istituzione della bandiera. La Costituzione del 1974 alimentò però il malcontento della minoranza serba. I contrasti fra i due gruppi etnici e lo sviluppo del nazionalismo serbo crebbero nel corso degli anni 1980. Alla fine del 1987, con la presa del potere in Serbia da parte di S. Milošević, le tensioni in K. aumentarono ulteriormente. La nuova Costituzione adottata dalla Serbia nel 1989 ridusse fortemente l’autonomia del Kosovo e iniziò una forte campagna di serbizzazione di tutte le istituzioni kosovare. In risposta, nel 1991 si costituì in K. uno Stato albanese parallelo, guidato da I. Rugova, presidente della Lega democratica del K. (LDK) e, dopo un referendum, venne proclamata la Repubblica del K., riconosciuta solo da Tirana.
Nel 1995, mentre la comunità internazionale sembrava non comprendere i pericoli della difficile convivenza fra i due Stati, le forze kosovare si disunivano e, in contestazione alla resistenza non-violenta di Rugova, prese vita un movimento sul modello dell’intifāḍa palestinese, responsabile di numerosi attentati nel 1996-97 e dal quale nacque l’Esercito di liberazione del K. (UÇK). Alla fine del 1997 alcune zone rurali del K. erano sotto il controllo dei separatisti dell’UÇK; per combatterli Milošević autorizzò una feroce campagna repressiva, con stragi e deportazioni compiute dalle milizie serbe e da truppe paramilitari. Il fallimento di ogni accordo fra le opposte parti e del negoziato convocato dai Francesi a Rambouillet, determinò l’inizio dell’attacco NATO contro la Iugoslavia che, iniziato nel marzo 1999, si concluse a giugno, quando Belgrado accettò il piano di pace proposto dai paesi del G8 (con l’invio di truppe NATO).
La risoluzione 1244 dell’ONU pose il K. sotto il controllo provvisorio di un organismo internazionale – l’UNMIK (United Nations Interim Administration Mission in Kosovo) – mentre, riguardo allo statuto della provincia, ne auspicava l’autonomia pur ribadendo la sovranità della Serbia. Il ritardo con cui l’UNMIK divenne realmente operativa non contribuì a riportare stabilità nella vita civile; ne fu favorita, al contrario, la criminalità organizzata che, nel vuoto politico e giuridico venutosi a creare, poté intensificare e ramificare le sue attività (traffico di armi, di droga e di esseri umani). La smilitarizzazione dell’ UÇK e la sua trasformazione in un corpo civile non servì a eliminare le frange estremistiche militarizzate albanesi, i cui membri si andarono presto organizzando in nuove formazioni armate. Le forze di sicurezza internazionali non riuscirono a sedare i conflitti interetnici, riaccesisi immediatamente, e le vendette perpetrate dagli Albanesi, principalmente ai danni dei Serbi, ma anche dei Rom e di altre minoranze. Anche la tensione tra le forze militari internazionali e le comunità locali culminò in diversi episodi di violenza. Nei primi mesi del 2000 fu costituito il Consiglio amministrativo provvisorio del K., composto dai principali partiti politici della provincia. Alle elezioni comunali per il rinnovo di 30 Consigli municipali la LDK di Rugova ottenne il 58% dei voti, seguita con il 27% dal Partito democratico del Kosovo (PDK) di H. Thaçi, ex comandante dell’UÇK. La LDK risultò il partito più forte anche alle prime elezioni legislative (novembre 2001). Nel gennaio 2002 Rugova fu rieletto presidente.
Il nuovo assetto federale della Iugoslavia, ridenominata Repubblica federale di Serbia e Montenegro (2003), lasciò inalterato lo statuto del K., riaccendendo le rivendicazioni di indipendenza da parte degli Albanesi. Le tensioni interetniche, mai sopite, tornarono a salire sfociando nei violenti scontri di Mitrovica (marzo). Dopo le elezioni legislative del 2004, nuovamente vinte dalla LDK, fu formato un governo di coalizione con primo ministro R. Haradinaj, anch’egli ex membro dell’UÇK che poi, rinviato a giudizio dal Tribunale dell’Aia, si dimise (2005), sostituito da B. Kosumi (fino al marzo 2006) e da A. Çeku. Dopo la morte di Rugova (2006) fu eletto presidente F. Sejdiu, della LDK. Le elezioni del 2007 hanno visto per la prima volta la LDK superata dal PDK di Thac̦i, che è divenuto primo ministro, riconfermato alle consultazioni del dicembre 2010 e a quelle anticipate tenutesi nel giugno 2014. Nel dicembre dello stesso anno, stante una estrema frammentazione del Parlamento e in assenza di una grande coalizione, il leader dell'opposizione Mustafa e il capo del governo Thac̦i hanno stretto un accordo sulla ripartizione delle cariche, in base al quale Mustafa ha assunto il ruolo di premier, mentre il primo ministro uscente è stato nominato vicepremier e ministro degli Esteri, ottenendo anche di potersi candidare alle presidenziali del 2016; alle consultazioni, tenutesi nel mese di febbraio, il Parlamento ha scelto Thac̦i come successore del presidente uscente A. Jahjaga, eletta nel 2011 e sostenuta sia dalla LDK che dal PDK. La crisi di governo nata nel 2017 a seguito della volontà del PDK di porre fine all'intesa con la LDK ha condotto il Paese alle elezioni anticipate, tenutesi nel mese di giugno, alle quali si è registrata l'affermazione dell'ex capo dell’UÇK R. Haradinaj, leader della coalizione PAN guidata dal PDK, sebbene non si sia raggiunta una maggioranza parlamentare; nel settembre successivo è stato nominato premier del Paese R. Haradinaj che, sospettato di crimini di guerra dal Tribunale speciale per i crimini dell'Esercito di liberazione del Kosovo a L'Aja, nel luglio 2019 ha rassegnato le dimissioni. Alle elezioni politiche anticipate svoltesi nell'ottobre 2019 si è affermato con il 26% delle preferenze sull'AAK di Haradinaj e sul PDK del presidente Thac̦i il partito nazionalista di sinistra Vetëvendosje (VV), il cui leader A. Kurti nel febbraio 2020 ha assunto la carica di premier di un governo di coalizione fondato sull’alleanza tra i partiti VV e LDK), sfiduciato il mese successivo in seguito a divergenze sulla gestione dell'emergenza sanitaria Covid-19; nel giugno dello stesso anno il Parlamento ha votato la fiducia all'esecutivo retto da A. Hoti della LDK. Accusato di crimini di guerra e contro l'umanità, nel novembre 2020 il presidente Thac̦i si è dimesso, subentrandogli ad interim V. Osmani, eletta formalmente dal Parlamento nella carica nell'aprile 2021. Le elezioni parlamentari del febbraio 2021 hanno registrato la netta affermazione del partito VV, che ha ottenuto oltre il 48% delle preferenze, mentre si è affermata come seconda forza del paese il PDK del presidente dimissionario Thac̦i (17,3%), seguito dalla LDK del premier uscente Hoti (13,8%).
Intanto i negoziati sotto l’egida dell’ONU per la definizione dello status del K. avevano continuato a vedere le due parti arroccate sulle rispettive posizioni: la richiesta di indipendenza da parte albanese non veniva accolta dai Serbi, disposti a concedere soltanto uno statuto di autonomia. In tale situazione di stallo il 17 febbraio 2008 il Parlamento del K. ha dichiarato unilateralmente l’indipendenza del paese, e nel giugno dello stesso anno è entrata in vigore la costituzione, ispirata alla proposta del mediatore M. Ahtisaari. Nonostante il Kosovo sia stato riconosciuto da 74 stati nel mondo, tra cui l’86% dei membri della Nato e l’81% di quelli dell’Eu, permangono l’opposizione di alcune grandi potenze (Russia, Cina, India, Brasile) e la titubanza di alcuni stati europei (Spagna, Cipro, Grecia, Slovacchia e Romania). Nel settembre 2020 il presidente serbo Vučić e il primo ministro del Kosovo A. Hoti hanno firmato alla Casa Bianca uno storico accordo per la normalizzazione dei rapporti economici tra i due Paesi balcanici, che prevede la loro cooperazione per attrarre investimenti e creare posti di lavoro in alcuni settori, mentre nell'agosto 2022 - dopo un lungo periodo di tensione prodotto da nuove norme transfrontaliere imposte dalle autorità serbe - è stato raggiunto un accordo sulla libertà di circolazione tra i due Paesi; nel marzo 2023 Pristina e Belgrado hanno accettato il piano dell’Unione Europea per la normalizzazione delle loro relazioni, che dovrà essere firmato e implementato. Ciò nonostante, violenti scontri si sono verificati nel maggio 2023 tra forze Nato e manifestanti serbi a seguito delle elezioni municipali che hanno portato all'elezione - ritenuta illegittima dall'etnia serba, astenutasi dal voto con l'appoggio di Belgrado - di sindaci albanesi.