SERBIA (XXXI, p. 415)
Dopo lo smembramento della Iugoslavia, nel 1941 (v. appresso e iugoslavia: Storia, in questa App.), il 7 giugno 1941 vennero fissate le sue frontiere con la Croazia e il 29 agosto successivo ebbe luogo la nomina del primo ministro serbo.
La Serbia del periodo 1941-45 comprendeva a grandi linee il territorio della Serbia anteriore alle guerre balcaniche, privo quindi d'uno sbocco al mare; verso la Bulgaria possedeva in meno un tratto della valle della Morava, mentre aveva in più una parte dell'ex sangiaccato di Novi Bazar. Aggregato alla Serbia, ma alle dipendenze del comando militare tedesco, era rimasto il Banato, incuneato tra l'Ungheria e la Romania, al quale era stata concessa una certa autonomia, data la presenza d'un numeroso gruppo etnico tedesco (200.000 ab. su 640.000). Compreso il Banato, la Serbia si estendeva su 59.000 kmq., e contava 4.800.000 ab. La capitale era Belgrado che, assai danneggiata per gli attacchi aerei dell'aprile 1941, nel 1942 contava 335.000 ab. Seguivano per importanza Niš (35.000 ab.) e Kragujevac (27.000). Dal punto di vista amministrativo la Serbia era suddivisa (29 dicembre 1941) in 14 circondarî: Banato (cap. Petrovgrad); Belgrado; Valjevo; Zaječar; Kruševac; Kragujevac; Kraljevo; Leskovac; Mitrovica; Morava (cap. Ćuprija); Niš; Požarevac; Užice; Šabac.
I territorî coltivabili sono relativamente scarsi, limitati ai fondi delle valli, mentre nelle zone elevate prevalgono i pascoli. L'agricoltura, oltre ai cereali, coltiva particolarmente tabacco, viti, barbabietole, lino e canapa. Più fertile e meglio coltivata è la parte occidentale del paese, specie quella rivolta alla Sava e al Danubio; qui l'albero più diffuso è il pruno, che permette una vasta esportazione di prugne secche e conservate; la loro distillazione dà inoltre luogo alla produzione d'una bevanda alcoolica molto nota (slivoviz). I boschi sono stati per la massima parte abbattuti nella parte settentrionale per estendere le colture, mentre sono tuttora ben conservati nei distretti meridionali. Importanza notevolissima hanno ovunque nell'economia del contadino serbo la pastorizia e l'allevamento. Le querce (con le loro ghiande) permettono su vasta scala l'allevamento dei maiali, che dava luogo nel passato ad una larga esportazione di carni, grassi e salumi. Nei riguardi minerarî la Serbia è specialmente nota per le miniere di rame (di Bor e di Majdanpek), per il quale è tra i maggiori produttori europei. Anche il carbone non manca (zona di Senje). L'industria, piuttosto limitata, non si concentra in un unico distretto, ma è qua e là ripartita per tutto il paese.
Ordinamento politico. - Ora la Serbia forma una delle sei repubbliche federate iugoslave e comprende anche due provincie autonome, la Voivodina e il Kosovo-Metohija. Comprese queste due regioni, che hanno popolazione alquanto mescolata (Serbi, Croati, Slovacchi, Magiari, Romeni nella Voivodina; Albanesi, Serbi e Montenegrini nel Kosovo-Metohija), la Serbia di estende ora su 89.777 kmq. e conta 5.800.000 ab. circa (densità circa 64,6).
Storia. - La fuga del governo Simović nell'aprile 1941 sotto i colpi dei Tedeschi lasciò la Serbia nello smarrimento e nell'anarchia. Il fine della Germania era semplicemente di instaurare un'amministrazione che le permettesse di non avere troppe preoccupazioni per la sua sicurezza militare. Per questo il comandante militare gen. von Denkelmann creò un Comitato civile provvisorio che mantenne funzioni di controllo; ma fu poi trovato un "Quisling" serbo nel gen. M. Nedić che formò, il 29 agosto 1941, con personalità di secondo piano, un governo di larga concentrazione nazionale, intorno al quale si raggrupparono i filonazisti di Ljotić, e alcuni seguaci di Stojadinović.
Questo governo proclamò la propria lealtà al re Pietro, benché questi fosse fuggito all'estero, sotto la protezione degl'Inglesi. La Serbia era fatta a brani: Croati, Ungheresi, Bulgari, Albanesi si prendevano pezzi del territorio nazionale. Nedić sperò che i Tedeschi, di fronte ad una leale osservanza degl'impegni assunti verso la Germania, avrebbero garantito, nel quadro del loro "nuovo ordine", l'indipendenza della Serbia, nei suoi confini tradizionali. Rinacquero cosi tendenze panserbe, che presto degenerarono nella guerra civile. L'esasperazione generale della popolazione favorì il fenomeno endemico delle bande di cetnici, che spesso agirono per impulsi e fini personali e locali. Risorsero i cetnici del vecchio nazionalista Kosta Pećanac; quelli delle forze nazionaliste serbe e montenegrine del gen. D. Mihajlović; si formarono i "volontari anticomunisti" di Nediče, dopo l'entrata in guerra dell'URSS (giugno 1941), i "partigiani comunisti" di Josip Broz (Tito). I cetnici, un po' per spontaneo impulso, un po' per le necessità di vita, un po' per suggerimento dall'estero, collaborarono ora con gl'Italiani, ora coi Tedeschi finché, nell'autunno del 1941, si giunse ad aperta rottura tra nazionalisti "cetnici" e comunisti "partigiani". Stragi orribili furono provocate dall'applicazione delle misure di rappresaglia dei Tedeschi: 100 serbi fucilati per ogni Tedesco ucciso e 50 ostaggi per ogni ferito. Nel 1941 fu devastata gran parte della Serbia; a Kragujevac e Kraljevo vennero fucilati in un giorno 11.000 Serbi, fra cui due classi intere di un liceo, con a capo i professori.
Le decisioni dell'AVNOJ (Consiglio antifascista iugoslavo, Jajce, novembre 1943) e l'accordo Subašić-Tito del giugno 1944 non toccarono direttamente il governo Nedič, che durò fino all'arrivo a Belgrado dell'Armata Rossa (18 ottobre 1944). In sostanza, la sua azione è stata caratterizzata dal tentativo, in definitiva assurdo, di tener testa ad un tempo, agli ustascia croati, al comunismo e, in sordina, anche agli occupanti tedeschi.
Bibl.: G. Solari-Bozzi, La Iugoslavia durante il conflitto, in Politica Estera, Roma, giugno 1945; J. Hussard, Vue en Yougoslavie 1939-44, Losanna 1945; E. Grazzi, Dalla rivolta dei cetnici al governo di Tito, in Nuova Antologia, LXXXIII, settembre 1948, pp. 29-38.