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Tintorétto, Iacopo Robusti detto il

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Pittore (Venezia 1518/1519 - ivi 1594), dovette il soprannome alla professione di tintore esercitata dal padre. Uno dei massimi innovatori del Rinascimento veneziano, fin dalle sue prime opere si nota una forte impronta della cultura figurativa del manierismo. Il pittore armonizzò la tradizione veneta di Giorgione e Tiziano, basata sulla funzione espressiva autonoma del colore, con la cultura fiorentina e romana, rivolte al ruolo primario del disegno. Di particolare rilievo nella sua produzione pittorica sono le tele della Scuola di S. Rocco, realizzate in tre cicli tra il 1564 e il 1587.

Vita e opere

Le fonti riferiscono di un suo breve e contrastato periodo di formazione nella bottega di Tiziano, ma la critica moderna ha piuttosto ipotizzato come suoi maestri ora Bonifacio de' Pitati, ora Paris Bordone, ora Andrea Schiavone col quale, secondo C. Ridolfi, il T. collaborò a una serie di pannelli per cassoni. I valori lineari e dinamici che segnano già le sue prime opere indicano il suo profondo interesse per le esperienze manieriste dell'Italia centrale, conosciute attraverso stampe e disegni: a parte un tardo soggiorno a Mantova (1580) il T. infatti non si mosse mai da Venezia, dove la sua opera occupa un posto importante e particolare, rivolta prevalentemente a una committenza di confraternite e comunità religiose, in contrasto con i modi pittorici apprezzati dall'aristocrazia veneziana che trovano nell'arte di Paolo Veronese l'espressione più compiuta.

Nella sua vastissima produzione emergono le linee essenziali della sua ricerca che, privilegiando composizioni decentrate, direttrici diagonali, audaci scorci e un particolare intenso luminismo, raggiunse una grande forza narrativa ed emozionale. Anche la rapidità di esecuzione (la prestezza ricordata nelle fonti) giuoca un ruolo importante nella sua pittura, e i rari disegni preparatorî pervenutici sembrano confermare la sua pratica di far riferimento a modelli tridimensionali illuminati dalla luce artificiale di torce o lampade. E proprio il suo modo complesso, concitato e drammatico di operare, affiancato spesso da modi più rifiniti e raffinati, ha portato a giudizî contrastanti sia tra i suoi contemporanei sia nella critica successiva, ma rivela la sua originale partecipazione alla crisi spirituale e culturale che travaglia l'Italia e l'Europa della seconda metà del Cinquecento.

Al 1547-48 risalgono le opere che con più chiarezza mostrano l'avviarsi della sua più originale ricerca: la Lavanda dei piedi (Prado), in origine in S. Marcuola dove si trova anche la prima realizzazione di un tema ripetutamente affrontato dal T., l'Ultima cena; e ancora il Miracolo dello schiavo (Venezia, gallerie dell'Accademia), commissionato dalla Scuola grande di S. Marco, dove la plasticità michelangiolesca delle forme, l'attento studio dei rapporti concatenati tra figura e figura, combinati con l'impostazione tonale di tutta la composizione, raggiungono effetti di enfatica narrazione. Nella Presentazione di Maria al tempio (1552, Venezia, S. Maria dell'Orto), la luce addensata sulla scalinata ha funzione tonale e insieme drammatica; nelle altre tre storie per la Scuola di S. Marco (Rinvenimento del corpo di s. Marco, 1562, Brera; Trafugamento del corpo di s. Marco e Miracolo del naufrago, 1567-68, Venezia, gallerie dell'Accademia) ogni valore tende a subordinarsi alla luce; la forma si alleggerisce nel moto vorticoso che la investe, il colore, in quanto tono, si svaluta, le linee prospettiche sono segnate dai fasci dell'illuminazione improvvisa.

La massima fatica del T. è rappresentata dalle tele (una cinquantina circa) della Scuola di S. Rocco. Il pittore vi si dedicò in tre riprese: del 1564-66 sono quelle dell'Albergo (fra cui Cristo davanti a Pilato e la grandiosa Crocifissione); del 1576-81 quelle del salone superiore (con storie del Vecchio e del Nuovo Testamento sul soffitto e Storie di Cristo sulle pareti); del 1583-87 quelle della sala terrena (con Storie della Vergine). Il secondo e il terzo gruppo sono quelli più significativi nella storia dello stile del Tintoretto. Nel Presepio della sala superiore la luce esalta l'arditissima doppia prospettiva delle due scene sovrapposte, puntualizza il senso miracoloso dell'avvenimento. Nei quadri della sala terrena è un continuo superarsi in audacie compositive che avrebbero del paradossale se non fossero condizionate, di volta in volta, dall'ansia appassionata di dar forma nuova e adeguata a un prorompente sentimento. I paesaggi (Fuga in Egitto, S. Maria Maddalena, S. Maria Egiziaca) si accendono di bagliori fosforescenti che penetrano nella forma delle cose e delle figure sostanziandola, annullano quasi, addirittura trasfigurano, i colori in un'unica dorata tonalità, precorrendo alcune soluzioni rembrandtiane; lo spazio si estende in una illusione d'infinito.

Il complesso della Scuola di S. Rocco è stato preceduto, affiancato e seguito da innumerevoli altre opere, di cui non si possono citare che le più importanti: quadri profani, come la Liberazione di Arsinoe (1550 0 1570, Dresda, Gemäldegalerie), Susanna e i vecchioni (1560 circa, Vienna, Kunsthistorisches Museum), Venere, Vulcano e Amore (1551 circa, Firenze, Galleria Palatina), Danae (1580 circa, museo di Lione) e le tele decorative nel Palazzo Ducale di Venezia (atrio, sala delle quattro porte, Anticollegio, Collegio, sala dello Scrutinio); potenti ritratti come quello, più bello fra tutti, di Iacopo Soranzo (1550 circa, Milano, Museo del Castello Sforzesco); infine i moltissimi quadri religiosi - alcuni di grandissime proporzioni - che adornano le chiese di Venezia, come S. Luca e s. Matteo in S. Maria del Giglio (1557), l'Adorazione del vitello d'oro e il Giudizio finale nella Madonna dell'Orto (1560), la decorazione della chiesa di S. Rocco (1549-67), la Cena in S. Paolo (1565-70), Le tentazioni di s. Antonio, in S. Trovaso (1577), l'Orazione nell'orto in S. Stefano (1580 circa). Gli ultimi lavori del vecchio T. non furono di minore impegno: basti pensare all'immenso Paradiso nella sala del Maggior consiglio in Palazzo Ducale (bozzetto al Louvre), cui il maestro pose mano nel 1588, e le tele di S. Giorgio Maggiore (La caduta della manna e L'ultima cena) del 1594.

Dei figli di Iacopo Robusti furono pittori, oltre Domenico (v.), Marco (m. Venezia 1637), collaboratore di Domenico, e Marietta detta la Tintoretta (Venezia 1554 circa - ivi 1590 circa), specialmente ritrattista.

Vedi anche
Pàolo Veronese (propr. Paolo Caliari). - Pittore (Verona 1528 - Venezia 1588). Nella grande civiltà pittorica veneziana del sec. 16º, P. Paolo Veronese si distingue per la peculiare armonia delle sue tinte limpide, brillanti, gioiose e per la trasparenza delle sue atmosfere; mezzi espressivi e libertà di atteggiamenti ... Domenico Robusti detto il Tintorétto : v., nell'evidenza Tintoretto, Domenico Robusti (p. 97). Meldòlla, Andrea, detto lo Schiavone Pittore e incisore (Zara 1515 circa - Venezia 1563). Non si hanno notizie sulla sua formazione, ma la produzione grafica e pittorica rimanda all'arte del Parmigianino che Meldolla, Andrea, detto lo Schiavone, dopo un'iniziale adesione ai modi di Bonifacio Veronese, elabora in una dissoluzione cromatica ... ritratto Pittura, scultura o fotografia che ritrae, cioè rappresenta la figura o la fisionomia di una o più persone. 1. Il ritratto nell’antichità L’arte egizia ebbe un particolare interesse per la riproduzione di tratti individuali, creando così vitali espressioni fisionomiche e tipizzando invece la rappresentazione ...
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