(gr. ᾿Αποκάλυψις) Titolo di scritti, canonici o apocrifi, contenenti rivelazioni relative ai destini ultimi dell’umanità e del mondo. Il più noto è il libro accolto nel canone del Nuovo Testamento. Nelle altre opere che portano il titolo di A., questo è seguito dalla designazione del veggente e presunto autore: A. di Abramo, di Baruch, di Elia e Sofonia, di Lamec, di Mosè, di Paolo, di Pietro, di Stefano, di Tommaso.
Il libro dell’A. è il ventisettesimo e ultimo tra gli scritti del Nuovo Testamento. Comincia, dopo un preambolo, con una lettera indirizzata a 7 comunità cristiane d’Asia (Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatira, Sardi, Filadelfia e Laodicea) e prosegue con l’esposizione delle visioni profetiche che Giovanni dichiara di aver avuto nell’isola di Patmos; visioni che riguardano il grande giorno di Dio (trionfo dell’Agnello), il castigo di Babilonia (simbolo di Roma), lo sterminio delle nazioni pagane e la nuova Gerusalemme, che discende dal cielo, per essere la sposa dell’Agnello. Il riconoscimento canonico fu a lungo contrastato: in genere, almeno fino al 5° sec., le fu avverso il cristianesimo orientale per il quale essa avvalorava il millenarismo. In Occidente, invece, l’A. ebbe una fortuna enorme nella letteratura religiosa e profana. L’indagine moderna, dopo i numerosi tentativi d’interpretazione simbolica del libro, connette l’A. come tipo letterario alla letteratura apocalittica del giudaismo e riconosce che i suoi simboli si riferiscono soprattutto alla realtà contemporanea e alle persecuzioni dell’Impero romano. La struttura dell’A. non è unitaria e presenta anomalie e ripetizioni, sicché l’esegesi è d’accordo nel considerare l’A. canonica come frutto della fusione di fonti diverse: più precisamente, sembra potersi ipotizzare che la parte centrale (4-22) è costituita da due diverse redazioni dell’A. (opera del medesimo autore), poi fuse da un altro autore. Quanto alla data di composizione, se si accetta l’ipotesi di un unico autore si deve andare verso la fine del 1° secolo (95 circa); se si ammettono redazioni successive, le fonti più antiche potrebbero risalire all’età di Nerone; alcuni, accettando la data più tarda, sottolineano come l’autore, secondo la tecnica propria della letteratura apocalittica, può avere cercato di retrodatare la sua opera all’epoca di Vespasiano. Circa l’autore dell’A., si chiama egli stesso Giovanni e fu presto identificato con l’autore del quarto Vangelo; ma l’esegesi moderna, rilevando le profonde diversità stilistiche fra i due scritti (non meno profonde quelle dottrinali, per es. nel campo dell’escatologia), ritiene che l’A. sia opera di altro autore (eventualmente un discepolo di Giovanni evangelista); se si vuole mantenere l’attribuzione dell’A. all’apostolo, si deve invece pensare a una rielaborazione del quarto Vangelo da parte di un suo discepolo.
Per rappresentazioni e motivi iconografici ispirati all’A. ➔ Bibbia.
Designazione generica per indicare tutti gli scritti, redatti fra il 2° sec. a.C. e il 2° d.C. in ambiente giudaico e cristiano, che presentandosi come a. nel senso etimologico di «rivelazione», si propongono di spiegare religiosamente i misteri dell’origine e del destino del mondo e dell’umanità. Alla base dell’apocalittica giudaica si ravvisano la sempre più angosciosa constatazione dello stato di umiliazione in cui, in antitesi con le predizioni dei profeti, si trovano il popolo d’Israele e, in esso, i più tribolati e afflitti e la convinzione che l’ispirazione divina è venuta a cessare dopo Esdra. La letteratura apocalittica si può considerare, sotto certi riguardi, come continuazione del profetismo: sta di fatto che vari passi dei profeti (per es., capitoli 24-27, 33-35, 60-62 di Isaia; 37-39, 40-48 di Ezechiele; 12-14 di Zaccaria; tutto, o quasi, Gioele e varie parti di Daniele) presentano affinità con questa letteratura, la quale si lega però anche a quella legale e sapienziale. Le singole opere sono sempre attribuite a un autore antichissimo e celebre (Adamo, Abramo, altri patriarchi, Mosè, Isaia), non solo per dare loro credito, ma anche per l’interna convinzione dell’autore di interpretare lo spirito dell’antico, esprimendo verità già implicite nei testi sacri: l’apocalittista, ansioso di affermare la giustizia divina e la realtà delle predizioni, parlando in nome di un antico profeta, presenta la storia passata come vaticinata, mostrandone l’avveramento, e insieme annuncia, dopo il triste presente, il realizzarsi della retribuzione, con il trionfo dei giusti e pii e il castigo dei persecutori.