Figlio (Antium 37 d. C. - presso Roma 68) di Gneo Domizio Enobarbo e di Agrippina Minore, si chiamò Lucio Domizio Enobarbo; poi (50), adottato dall'imperatore Claudio, che Agrippina aveva sposato in seconde nozze, ebbe il nome di N. Claudio Cesare; nel 53 sposò Ottavia, figlia di Claudio. Quando questi morì, i pretoriani comandati dal prefetto Burro, devoto ad Agrippina, salutarono N. imperatore (54). Parve che la politica del giovane principe e dei suoi consiglieri, Seneca, che lo aveva educato, e Burro, dovesse tendere a una restaurazione del potere senatorio, indebolito dai successori di Augusto; in realtà proseguì l'organizzazione di una forte compagine amministrativa, dipendente direttamente dal principe e nella quale i liberti avevano larga parte; tuttavia non mancarono, nei primi anni di regno di N., atti aventi almeno un aspetto filosenatorio: istituzione di una pensione annua di almeno 125.000 denarî per famiglie senatorie decadute, emissioni di monete ex s(enatus) c(onsulto), ecc. Forti furono i conflitti al vertice del potere: presto si delineò il contrasto con Agrippina, che intendeva limitare con la sua l'autorità del figlio; tale contrasto provocò la soppressione (55) di Britannico, figlio di Claudio, e strumento di Agrippina contro di lui, e l'allontanamento di questa dalla corte. Ne risultò aumentata l'autorità di Seneca e Burro. Ma presto N. si fece insofferente della loro tutela: estroso e crudele, egli tendeva a inserire le sue passioni per i giochi, la musica e la poesia in un programma di speciosa e superficiale ellenizzazione dell'Impero (istituzione di agoni all'uso greco, fasto della corte). Nel 59 fece uccidere la madre, che si opponeva al suo amore per Poppea Sabina e che, in generale, costituiva il principale ostacolo ai suoi piani. Poi (62), morto Burro e ritiratosi Seneca a vita privata, mentre si affermava l'autorità del nuovo prefetto Ofonio Tigellino, N. ripudiò Ottavia e l'uccise, per passare a seconde nozze con Poppea Sabina (che morì nel 65, mentre era incinta, e, pare, per un calcio datole da N.) e poi a terze nozze (66) con Statilia Messalina. Contemporaneamente, il contrasto fra il principe e il partito senatorio si era andato facendo sempre più acuto: per ovviare alla conseguente mancanza di appoggio da parte degli ottimati, N. cercò di consolidarsi quello delle classi popolari e dell'esercito. La politica di grande spesa, praticata a compenso della mancata espansione dei dominî, imponeva d'altro canto una politica tributaria più rigida, un aspetto della quale va riconosciuto nella riforma monetaria attuata nel 63: con la riduzione del piede dell'aureus e del denarius e il cambiamento (anche a favore delle casse dello stato) del rapporto tra le due monete, furono avvantaggiate proprio le classi detentrici dell'argento, vale a dire quelle più umili e l'esercito. Quando un incendio (64) distrusse gran parte di Roma, serpeggiò la voce che N. ne fosse il responsabile; le successive imponenti espropriazioni del suolo pubblico, reso libero dall'incendio, per la costruzione della nuova residenza imperiale (domus aurea) portarono a un punto di non ritorno il conflitto tra il principe e il Senato (invano N. cercò un diversivo all'accusa infierendo contro i cristiani, incolpati dell'incendio. La fallita congiura di Calpurnio Pisone (65) causò la morte di Lucano, Seneca, Trasea Peto e altri. Un viaggio in Grecia (66-67), durante il quale N. partecipò ai giochi istmici e vi proclamò la libertà della Grecia, peggiorò la situazione accrescendo il malcontento nelle altre province. L'opposizione si era inoltre estesa anche ai comandanti delle legioni, che erano di estrazione senatoria: la rivolta di Giulio Vindice nella Gallia (68) fu presto domata, ma subito dopo si ribellò Sulpicio Galba nella Spagna il quale, appoggiato ormai apertamente dal senato, marciò verso Roma con le legioni che lo avevano acclamato imperatore. La situazione precipitò per il tradimento di Tigellino e la rivolta dei pretoriani. Persa ogni speranza, N. fuggì nella villa del liberto Faonte, a 4 miglia da Roma tra la via Salaria e la Nomentana, dove si fece uccidere dal liberto Epafrodito. Svetonio ci tramanda che, prima di morire, abbia pronunciato la frase: Qualis artifex pereo ("Quale artista perisce in me"). Fu sepolto dalla liberta Atte, che fu sempre sua amante devota. Finì con lui la dinastia Giulio-Claudia. ▭ Negli anni di regno di N. la situazione militare dell'Impero era rimasta buona per la fedeltà dell'esercito che solo all'ultimo venne meno. Nel 58 Corbulone aveva riconquistato ai Parti l'Armenia; quando il re dei Parti l'invase di nuovo (61), N. scese a patti e ottenne (63) che il re d'Armenia proposto dai Parti si riconoscesse vassallo di Roma. Poco dopo, coll'annessione alla provincia di Galazia del regno vassallo del Ponto, migliorò la situazione militare del Mar Nero. In Britannia, qualche anno prima (60), era stata domata la rivolta della regina Boudicca (o Bodicca). Nel 66, scoppiata la ribellione giudaica, Vespasiano fu mandato a domarla con un forte esercito. È difficile dare un giudizio complessivo della figura di N. dal momento che già le fonti storiche subirono l'influenza dell'opposizione senatoria (Tacito). Intorno a essa fiorì la leggenda, fra le classi più basse e soprattutto in Oriente, ch'egli non fosse morto e dovesse tornare (Nero redivivus). La tradizione apocalittica cristiana lo identificò con l'Anticristo. La tradizione popolare credette di individuarne la tomba sulla Via Cassia e localizzò nella Torre delle Milizie, in realtà costruzione medievale, il luogo da cui avrebbe contemplato l'incendio di Roma, cantando la distruzione di Troia. La tradizione letteraria moderna si è impadronita di questa singolare personalità (A. Dumas padre, P. Cossa; opere in musica di A. Rubinstein, A. Boito, P. Mascagni; romanzo Quo vadis? di H. Sienkiewicz). ▭ Il suo ritratto, oltre che dalle monete, ci è noto anche da una serie di teste marmoree: giovinetto lo raffigura la testa del Palatino, ora al Museo Nazionale di Roma, e giovanile è il suo ritratto nelle teste di Monaco e di Worcester; poi fu rappresentato con barba ricciuta nella testa bronzea alla Biblioteca Vaticana, e i tratti si fanno più pesanti e lo sguardo ispirato nelle teste agli Uffizi, al Louvre, ecc. Zenodoro lo raffigurò come Elio nel colosso dinanzi alla domus aurea. ▭ Per antonomasia, nel linguaggio com., si dice di tiranno spietato, o di uomo comunque crudele, spietato: è un N.; ha un cuore di Nerone.