senato In Roma antica, il supremo consiglio dello Stato, costituito, almeno in origine, da persone anziane. Il nome è attribuito, per analogia, anche ad altri consessi di anziani del mondo antico, che avevano funzioni affini. Nel Medioevo s. fu nome di varie magistrature. Nel diritto pubblico moderno, è il nome con cui viene indicata la camera alta in taluni Stati a Parlamento bicamerale (per l’Italia ➔ parlamento).
Un consiglio di anziani è conosciuto in Grecia già nell’età omerica, poi si ebbe a Sparta e, più tardi, nelle città grecizzate dell’età ellenistica e romana; anche a Cartagine esisteva un organismo analogo. Ma fu a Roma che il s. divenne una delle istituzioni fondamentali dello Stato e per lungo tempo il principale responsabile della politica estera e interna. Secondo una tradizione, il s. originario, istituito da Romolo, ebbe 100 membri, ma il numero normale dei senatori in età storica fu di 300, e tanti dovevano essere in realtà anche in età regia, corrispondendo il numero allo schema ternario dell’antichissimo Stato romano (3 tribù e 30 curie). Con Silla il s. fu portato a 600 membri, nel periodo dei triunvirati arrivò a più di 1000; Augusto tornò a 600, ma la cifra nei secoli seguenti subì ancora delle variazioni.
Il s. era in origine il consiglio del re e il criterio della sua composizione era, come in analoghe istituzioni greche, l’età (più di 60 o, secondo altri, di 46 anni); in seguito prevalse il criterio della dignità che al cittadino veniva dall’aver coperto una magistratura, sì che nella tarda repubblica e nell’Impero l’età richiesta per l’appartenenza al s. coincise con l’età minima per la prima delle magistrature (questura). Poiché il primitivo s. era reclutato solo tra i patrizi, il nome di questi (patres) fu applicato ai senatori; con l’apertura della magistratura ai plebei (inizi dell’età repubblicana) le genti plebee entrarono nel s., nel quale peraltro si mantenne una distinzione tra senatori patrizi (patres in senso stretto) e plebei (conscripti «senatori aggiunti»); i primi mantennero a lungo privilegi negati agli altri, a poco a poco ridotti a mera formalità.
La riunione del s. era regolata secondo una procedura costante; il s. si poteva riunire solo dietro iniziativa del magistrato che poi lo presiedeva (magistrati cum imperio, poi anche i tribuni della plebe e infine l’imperatore). L’intervento alle sedute era obbligatorio, e tutti i giorni erano adatti per la convocazione, a esclusione, dal 1° sec. a.C., di quelli in cui si tenevano comizi popolari. La procedura delle discussioni e della votazione era minuziosamente regolata, fermo restando sempre il principio che l’iniziativa delle proposte dovesse venire solo dal magistrato, e mai dai senatori stessi (nel che si conservava il primitivo carattere consultivo dell’assemblea). Il deliberato del s. era di due tipi: auctoritas patrum, cioè ratifica dei deliberati dell’assemblea popolare; o deliberazione comune del magistrato e del s. e detta allora decretum (con riguardo all’autorità del magistrato) e poi senatus consultum.
La massima potenza del s. coincide con la matura età repubblicana; con un processo che nelle linee essenziali era già compiuto all’inizio delle guerre puniche, il s. fu allora il vero e proprio governo, con requisiti di stabilità, continuità, autorità e competenza che lo resero di fatto assai superiore ai magistrati temporanei. In generale, la tutela del s. non si esercitava sugli atti di ordinaria amministrazione del magistrato; questo perciò, in via normale, non doveva chiederne il consiglio se non per atti previsti dalla costituzione, che fossero però di carattere straordinario. Tale tutela del s. si indicava con la parola auctoritas intesa in senso lato. Per questa via il s. giunse a controllare tutti gli atti fondamentali della vita dello Stato e a dirigere la politica imperiale di Roma. Esso discuteva delle proposte da presentarsi al popolo o alla plebe; interveniva nella formulazione di criteri fondamentali in materia di giustizia civile e penale, specie per i processi che avevano ramificazioni fuori dei confini romani; dava il suo parere sulla mobilitazione dell’esercito e della flotta, stabiliva i contingenti militari che gli alleati dovevano fornire, determinava i teatri di guerra degli eserciti consolari, prorogava i comandi e ne creava di straordinari; così, benché non s’ingerisse nella condotta tecnica delle guerre (della quale però doveva essere informato), fu il vero organizzatore delle grandi conquiste. In connessione con questi suoi effettivi poteri, il s. divenne presto arbitro delle finanze romane; dal suo parere dipendevano le percezioni dei tributi e le molte liberalità (distribuzioni di terre, ecc.); soprattutto, il s. controllava le spese, dando assenso agli ordini di pagamento che il magistrato mandava all’erario. Pure dal s. dipendeva la monetazione urbana.
La tendenza del s. a sostituirsi ai magistrati e al popolo si accentuò sempre di più nel corso della storia repubblicana, fino a che alla fine del 2° e nel 1° sec. a.C., con i violenti contrasti di classe che videro il s. roccaforte degli interessi degli ottimati e perciò ormai incapace di rappresentare efficacemente tutto lo Stato, il declino della sua autorità divenne inevitabile. Dopo le guerre civili, durante l’Impero, pur conservando sempre autorità (in molti campi non solo nominale), da una serie di limitazioni legali, e soprattutto dallo stabilirsi sempre più forte del potere del principe come potere assoluto, fu privato di ogni capacità di autonomia e d’iniziativa nella vita dello Stato.
Costantinopoli. Dopo un’attestazione del 603, all’epoca di papa Gregorio Magno, è certo che il s. antico, in quanto istituzione formale, cessò di esistere a Roma, pur essendo ancora usata saltuariamente la parola s. per indicare l’insieme dell’aristocrazia cittadina o dei suoi capi, in occasione di riunioni o altri eventi della vita politica e sociale cittadina. Al contrario, esso sopravvisse a Costantinopoli, dove continuò ad avere una notevole influenza sugli affari politici, pur non avendo una fisionomia ben determinata ma, in certi casi, funzioni puramente rappresentative, in altri consultive, in altri di corpo sovrano.
Roma. A Roma le cose cambiarono di nuovo subito dopo la morte di Innocenzo II (1143), allorché a capo del comune costituitosi contro l’alta nobiltà fu istituita una magistratura collettiva, detta senato. I senatori erano nominati, anno per anno, da un’assemblea che dovette corrispondere all’arengo delle città dell’Italia settentrionale e centrale. Il numero variava intorno ai 50. Nel s. si riunivano i poteri amministrativo, giudiziario, finanziario; il s. batteva moneta, amministrava la giustizia civile e criminale ecc. Esso non esercitava però questo potere in modo assoluto, dovendo talora avere per affari importanti l’assenso dell’assemblea generale del popolo romano. Spesso in contrasto con la potestà sovrana del pontefice, il s. romano andò decadendo verso la fine del 12° secolo. Nel 1191 si nominò, per un triennio, un senatore solo; nel 1194-95 fu ristabilito il s. di 56 membri; nel 1204 fu di nuovo nominato un solo senatore, da parte del papa. Tale sistema continuò d’allora in poi con il solo mutamento che, in certi periodi, anziché uno furono nominati due senatori. I rapporti tra la Santa Sede e questi senatori furono regolati da Niccolò III con la costituzione del 18 luglio 1278. La magistratura del senatore (o dei due senatori) di nomina papale, affiancata da magistrature di nomina popolare (tribuni, riformatori, banderesi, conservatori), durò sino al 19° sec., sebbene dalla metà del 15° sec. in poi essa perdesse ogni effettiva autorità.
Venezia. Di tutt’altra natura fu il s. veneziano, che si costituì all’inizio del 13° secolo. Si trattava di un consiglio («Consiglio de’ pregadi», «Consilium rogatorum»), formato da 60 persone nominate dal Maggior Consiglio. Incaricato della trattazione di molti affari dello Stato che mal si prestavano a essere discussi e decisi dal troppo numeroso Maggior Consiglio, il s. o Consiglio dei pregadi vide continuamente aumentare la propria competenza e si rinforzò via via di numero. Ne facevano parte sin dall’origine, e ne costituivano l’elemento direttivo, il doge e il suo consiglio; ma poi vi entrarono man mano gli avogadori del comune e le quarantie, i tre ordini di savi che costituivano il potere esecutivo della repubblica, il Consiglio dei Dieci e numerosissimi altri magistrati. Verso il 1500 esso abbracciava così circa 300 persone. La sua competenza era giudiziaria e politica: era tribunale supremo in materia amministrativa e a esso erano demandati i rapporti con le potenze straniere e con le province suddite. Poi via via l’autorità del s. si estese anche alla materia militare, all’amministrativa, alla finanziaria, a quelle del commercio e della navigazione, venendo così esso a esercitare l’effettivo governo dello Stato. I pregadi ordinari, nominati dal Maggior Consiglio, duravano un anno; per gli altri la nomina durava quanto la carica, ma sul finire della repubblica si limitava in ogni caso a tre anni. Facevano eccezione, oltre al doge, i procuratori di S. Marco, che appartenevano di diritto al s. per tutta la vita. Il s. veneziano durò fino alla caduta della repubblica nel 1797, e rimase sempre, durante il 14°-18° sec., il corpo nel quale s’accentravano i maggiori poteri della repubblica.
Milano e il Piemonte. I s. che sorsero nel Milanese e negli Stati della Casa di Savoia dalla fine del 15° sec. in poi, si costituirono invece a imitazione dei parlamenti del regno di Francia, come corpi di carattere più amministrativo che politico. Il s. milanese sorto nel 1499 dalla fusione del Consiglio segreto e del Consiglio di giustizia del duca di Milano aveva attribuzioni giudiziarie, giudicava le cause dei feudatari ed era sede d’appello nelle cause criminali di maggiore importanza. Inoltre registrava gli atti del potere regio, li esaminava e presentava osservazioni al sovrano se essi comportavano irregolarità o contraddicevano ad altri diritti. I sovrani spagnoli non consentirono però l’esercizio di tale potere, se non con estrema difficoltà.
Anche il s. piemontese, residente a Torino, ebbe potestà giudiziaria, ma particolare importanza vi assunse il diritto di ‘interinazione’, cioè di esame e trascrizione degli atti sovrani. Il diritto di interinazione fu sostenuto dal s. piemontese con molta fermezza, tanto che questo diritto d’esame dei provvedimenti governativi da parte del s. piemontese diede una particolare fisionomia al diritto pubblico della monarchia di Savoia. I s. (di Torino e di Chambéry) della monarchia sabauda, ristabiliti dopo il 1814, furono soppressi per il rinnovamento dell’amministrazione dello Stato attuato nel 1848.
Non in tutti gli Stati la camera alta è indicata con il termine s.: è detta Camera dei lord in Gran Bretagna, Camera dei consiglieri in Giappone, Lagting in Norvegia, Prima Camera nei Paesi Bassi; negli Stati federali o fortemente decentrati spesso il nome rispecchia la struttura costituzionale, e così si ha il Bundesrat o Consiglio federale nella Repubblica Federale di Germania e in Austria, il Consiglio degli Stati in Svizzera e in India.
I diversi criteri seguiti per la formazione del s. sono, in linea generale: nomina dei senatori da parte del capo dello Stato o eventualmente dal suo rappresentante (governatore generale del Canada); sistema cosiddetto misto, cioè i senatori sono in parte eletti, in parte nominati dal capo dello Stato (Repubblica Sudafricana, Iran, Turchia); sistema completamente elettivo, il più seguito. Negli Stati in cui il s. è in tutto o in parte elettivo, le modalità per l’elezione sono in genere diverse da quelle per l’elezione della camera bassa. Il numero dei membri è sempre minore di quello dei membri dell’altra camera; negli Stati federali, dove il s. risponde all’esigenza di garantire l’eguaglianza degli Stati membri, i senatori sono di solito eletti in un numero fisso per ogni Stato membro indipendentemente dalla sua popolazione (così gli USA hanno 2 senatori per Stato). Senatori a vita Cittadini italiani nominati membri vitalizi del s. dal presidente della Repubblica tra coloro che abbiano illustrato la patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. La norma dell’art. 59 Cost. conferisce al capo dello Stato il potere di nomina di 5 senatori a vita. Fino al 2018 sono stati nominati: G. Castelnuovo (1949), A. Toscanini (nominato il 5 dicembre 1949, rinunciò il giorno seguente), P. Canonica (1950), G. De Sanctis (1950), P. Iannaccone (1950), C.A. Salustri (1950), L. Sturzo (1952), U. Zanotti Bianco (1952), G. Paratore (1957), C. Merzagora (1963), F. Parri (1963), M. Ruini (1963), V. Valletta (1966), G. Leone (1967), E. Montale (1967), P. Nenni (1970), A. Fanfani (1972), L. Valiani (1980), E. De Filippo (1981), C. Ravera (1982), C. Bo (1984), N. Bobbio (1984), G. Spadolini (1991), G. Agnelli (1991), G. Andreotti (1991), F. De Martino (1991), P.E. Taviani (1991), R. Levi Montalcini (2001), E. Colombo (2003), M. Luzi (2004), G. Napolitano (2005), S. Pininfarina (2005), M. Monti (2011), C. Abbado (2013), E. Cattaneo (2013), R. Piano (2013), C. Rubbia (2013), L. Segre (2018). Sono inoltre senatori a vita di diritto, salvo rinuncia, coloro che sono stati presidenti della Repubblica.