Ritorno in vita dopo la morte.
Nella storia delle religioni l’idea secondo cui il defunto risuscita a una nuova esistenza – sia che si ritenga che con la morte egli scompaia totalmente, sia che il solo corpo muoia, mentre l’anima sopravvive per essere successivamente riunita al corpo – non si identifica né con la credenza nell’immortalità dell’anima, né con quella in un prolungamento dell’esistenza in un aldilà variamente definito a seconda delle culture o delle religioni, né tanto meno con quella nella reincarnazione, secondo cui l’anima trasmigra dopo la morte in altri corpi.
Dottrine specifiche sulla r. dell’uomo, prima della sua affermazione nel giudaismo e nel cristianesimo, emergono in vari sistemi religiosi, come nella religione vedica in India, laddove si ammette che con la morte le diverse parti del corpo sono assimilate dagli elementi naturali, che però le restituiscono al defunto quando con il rogo funebre egli sale al cielo, dove la sua individualità è nuovamente ricomposta in una specie di doppio dell’essere precedente. Nello zoroastrismo iranico si prevede una r. dei morti connessa con la venuta del salvatore degli ultimi tempi, il Saošyant. Tale dottrina si precisa in testi tardivi con la credenza di una vera e propria r. finale dei giusti, forniti di un corpo perfetto.
La Bibbia contiene diversi accenni alla r. della carne (I Samuele 2,6; Isaia 26,19; Ezechiele 37,1-14), in Daniele 12, 2 e 13, connessa a quella di un destino distinto per giusti e malvagi; la credenza si affermò chiaramente al tempo delle persecuzioni di Antioco IV Epifane, come è testimoniato nel libro dei Maccabei (II Macc. 7, 11, 14; 12, 43 e seg.) e nella successiva letteratura apocalittica, mantenendo però varie tendenze: da chi riservava ai soli giusti la r., condannando gli improbi a totale distruzione, a chi invece pensava a una r. universale o a chi distingueva una prima r. (riservata ai giusti e congiunta con l’avvento del regno messianico) e una seconda, universale: credenza questa che si perpetuerà anche nel millenarismo cristiano. L’idea della r. trovò forte ostacolo soprattutto da parte dei Sadducei, mentre fu sostenuta dai Farisei i quali finirono per farla trionfare: almeno dal 1° sec. d.C. la fede nella r. fu inserita in preghiere fondamentali e in epoca medievale fu indicata come l’ultimo dei 13 articoli di fede di Maimonide. L’elaborazione dottrinale del tema della r. e dei suoi rapporti con l’attesa messianica, il destino dell’anima e la sorte dei giusti rimase tuttavia molto articolata secondo diverse impostazioni filosofiche e mistiche.
Dal giudaismo la credenza nella r. passò al cristianesimo e ne dà chiara testimonianza il Nuovo Testamento; essa tuttavia continuò a essere combattuta da alcuni e contro costoro s. Paolo, riaffermando la fede nella r., distingueva (I Cor. 15, 12 e seg.) tra il corpo «animale», terreno e il corpo «spirituale» del risorto; dottrina che trovò sviluppo in vari Padri greci ai quali ripugnava intendere la r. nel senso crudamente realistico quale era accetto a Tertulliano, Ireneo o altri; decisamente contrari alla r. furono invece gli gnostici. Nella dottrina cristiana la r. della carne costituisce l’undicesimo articolo del Simbolo Apostolico, con cui si afferma che i corpi degli uomini morti risorgeranno dal sepolcro negli ultimi tempi, per partecipare al premio o al castigo eterno.
Sulla linea della tradizione giudaica e poi cristiana, anche l’islamismo ammette una r. universale nel giorno del giudizio, in corpi diversi da quelli attuali.
La r. di Cristo può considerarsi il cardine di tutto il cristianesimo: nei Vangeli e nella prima predicazione apostolica è presentata come fatto storico sul quale si basa la fede in ogni altro insegnamento («se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede», I Cor. 15, 14) e come la prova che Gesù è veramente figlio di Dio. Nei Vangeli Gesù stesso predice più volte la sua r.: due volte, rivolgendosi ai Farisei, si serve della similitudine del Tempio (Giovanni 2, 18-19) e di Giona rimasto tre giorni nel cetaceo (Matteo 12, 39). Queste parole non furono dimenticate: le prime furono usate come capo d’accusa davanti al Sinedrio (Marco 14, 57) e come scherno ai piedi della croce (Marco 15, 29), le altre come pretesto per domandare a Pilato di far custodire il sepolcro (Matteo 27, 62-66). Anche privatamente, Cristo annuncia tre volte la sua r. ai discepoli (Matteo 16, 21; 17, 22; Marco 9, 9), i quali però non capiscono le sue parole. I Vangeli inoltre si preoccupano di fornire una serie di particolari capaci di avvalorare la storicità della r.: la realtà della morte di Cristo e della sepoltura; la scoperta della tomba vuota, fatta dalle donne e da due discepoli; una serie di apparizioni nello stesso giorno (alla Maddalena, a Pietro, a Giacomo il Minore, ai due di Emmaus, ai discepoli riuniti la sera a Gerusalemme, assente Tommaso) e nei giorni seguenti (dopo 8 giorni agli Apostoli, presente Tommaso; sulle rive del Lago di Gennesaret; dopo 40 giorni a Gerusalemme, nel suo ultimo colloquio prima di salire al cielo). La r. fu il punto centrale della prima predicazione: in Atti 1, 22, essere apostolo significa essere «teste della r.»; davanti al Sinedrio, Pietro afferma la r. di Cristo; Filippo la spiega all’eunuco; gli Atti (4, 33) sintetizzano la missione degli apostoli: «E con gran forza rendevano testimonianza della r. di Gesù». L’importanza della r. è messa in luce da Paolo, anzi di nessun’altra verità egli si premura di portare le testimonianze storiche come di questa in I Cor. 15, 3-8 egli cita testimoni viventi. Quanto a sé stesso, il porsi fra i testimoni dimostra come giudichi la r. l’avvenimento centrale dell’economia nuova insieme alla morte di Cristo.
Un’accezione particolare del concetto di r. è quella della r. di alcune divinità dopo la loro morte, connessa con il ciclo annuale della vegetazione, come nel caso del cananeo Baal, del mesopotamico Tammuz, del siro-fenicio Adone, o dell’egizio Osiride. Nello sviluppo della religione egizia alla r. di Osiride partecipa dapprima ogni Faraone, poi ogni uomo, che con l’imbalsamazione e con uno specifico rituale può liberarsi dal disfacimento corporeo: in questo caso, dunque, si stabilisce un nesso tra il ciclo vegetativo e la credenza nella risurrezione.