Essere sovrumano, ministro di Dio presso gli uomini per annunciare e fare eseguire la sua volontà. Il termine greco ἄγγελος («messaggero») applicato a messi divini (Hermes, Iride, la Fama, talvolta in connessione con l’Oltretomba) venne usato dai traduttori greci dell’Antico Testamento per rendere l’ebraico mal’āk, che vale «messaggero, ministro». Gli a., esseri superiori all’uomo (detti anche «figli» di Dio, Genesi 6, 2; Giobbe 1, 6), formano gli eserciti di Yahweh, fanno conoscere e osservare i suoi voleri: varcano le distanze in un attimo, appaiono agli uomini (talvolta in sogno o in visione) in forma umana, proteggono uomini (come Raffaele, custode di Tobia) e nazioni o li puniscono.
Maestro dell’angelologia cristiana antica è lo pseudo-Dionigi Areopagita, che ne definì la gerarchia riconoscendone i tre ordini, ciascuno suddiviso in tre cori, onde nove gradi in ordine discendente da Dio all’uomo: Serafini, Cherubini, Troni; Dominazioni, Virtù, Potenze; Principati, Arcangeli, Angeli. La devozione agli a. (specie ad alcuni arcangeli, come s. Michele) crebbe nel Medioevo, soprattutto per opera di s. Bernardo. Poi l’accettazione dell’aristotelismo condusse i teologi a esaminare problemi di carattere metafisico e si venne così formando un’angelologia propriamente teologica. La devozione continuò a svilupparsi nel cattolicesimo, specie a opera dei gesuiti, anche come reazione al protestantesimo (che mantiene la credenza, respingendo il culto). Oltre alle feste di alcuni arcangeli (s. Michele, s. Gabriele e s. Raffaele) vi è quella degli a. custodi, riconosciuta da Paolo V (1608) per l’Impero ed estesa a tutta la Chiesa daClemente X (1670); la Chiesa greca ha la festa dell’unione degli a. incorporei.
Nelle prime raffigurazioni, di soggetto biblico (dal 3° sec.) l’a. appare come figura giovanile, priva di ali, vestita di tunica e pallio. Tra la fine del 4° e il 5° sec. si diffonde l’iconografia dell’a. alato, con il nimbo e il capo cinto di una benda. Nella rappresentazione dei cori angelici, i Cherubini e i Serafini sono rappresentati rispettivamente con quattro e con sei ali, da cui emergono i piedi poggianti su ruote alate, con occhi diffusi nei nimbi, nelle ali e nelle ruote. I Troni sono rappresentati da ruote di fuoco, alate e con occhi, o sono raffigurati seduti sul globo celeste con scettro gigliato e corona merlata. Gli altri cori sono assimilati nel tipo generico degli angeli. Gli Arcangeli nell’arte bizantina, e per influsso di questa anche nell’arte occidentale, vestono come dignitari di corte, con tunica, dalmatica e loros; spesso reggono il globo e lo stendardo, oppure un’asta d’oro. Loro attributo può essere anche il libro. Un’iconografia particolare, diffusa in America Latina dal sec. 17°, è quella degli arcangeli vestiti secondo la moda contemporanea e armati di archibugio. All’arcangelo Michele spettò un culto particolare sin dal 5° sec.; la sua figura è legata al Giudizio Universale e talora compare mentre pesa le anime o come psicopompo; protettore dell’esercito sia nel mondo bizantino sia in Occidente, è rappresentato in armatura, spesso in atto di sconfiggere il male. L’arcangelo Gabriele, a. dell’Annunciazione, ha lo scettro del messaggero oppure il ramo d’ulivo, simbolo di pace, o il giglio, simbolo di purezza. L’arcangelo Raffaele, in allusione all’episodio biblico di Tobia, è spesso in abito da pellegrino, con il bastone e un pesce, e diverrà raffigurazione esemplare dell’a. custode. L’arcangelo Uriele, raramente raffigurato da solo, secondo l’iconografia tradizionale brandisce la spada infuocata. Dal Rinascimento la rappresentazione degli a. diviene estremamente diffusa e varia, sfuggendo a ogni schema iconografico. Frequente è la derivazione del tipo degli a. da quello degli amorini dell’antichità pagana; diffuso anche il motivo iconografico della testa di putto alata, spesso riferito ai cherubini (in tal caso con sei, anziché due, ali).