Nome dato dai Romani a un corroso e mutilo gruppo marmoreo, copia di un originale ellenistico pergameno (3° sec. a.C.) raffigurante probabilmente Menelao nell’atto di sostenere il corpo di Patroclo (altra copia, meglio conservata, nella Loggia dei Lanzi a Firenze), che il cardinale O. Carafa fece collocare nel 1501 su un piedistallo nella piazza poi detta di P. (anticamente piazza di Parione), dove tuttora si trova, a un angolo dell’attuale Palazzo Braschi. Tradizioni piuttosto tarde fanno risalire il nome attribuito alla statua a un sarto Pasquino che aveva bottega lì presso, o a un maestro di scuola, o a un barbiere, o a un oste di tal nome. Carafa o qualcuno del suo seguito pensò di affiggere a quel torso dei versi, secondo un costume diffuso nel Rinascimento ma risalente all’età classica. La consuetudine fu poi da Carafa stesso organizzata in una festa annuale. Per il giorno di s. Marco (25 aprile) il torso era variamente camuffato a raffigurare una divinità pagana o un personaggio del mondo antico; epigrammi latini allusivi a quel travestimento erano attaccati sotto e intorno alla statua e rimanevano esposti quel giorno; poi venivano raccolti e stampati in opuscoli di cui è rimasta una serie dal 1509 al 1525: mere esercitazioni pedantesche e adulatorie. In seguito, sul torso andarono a posarsi biglietti anonimi, latini e volgari e dal pontificato di Leone X (1513-21), ma soprattutto durante il conclave da cui uscì eletto Adriano VI, P. divenne il divulgatore della satira politica, dotta e popolaresca, sia impersonale sia (come subito avvenne) messa in bocca allo stesso Pasquino. Sono queste le famose pasquinate, scritte dapprima in latino, più tardi quasi esclusivamente in lingua italiana o in romanesco, in verso e in prosa, contro i papi e la Curia, contro persone e costumi giudicati degni di biasimo, opera dei molti verseggiatori allora a Roma (famose quelle di Pietro Aretino). L’opposizione politica, specie in occasione dei conclavi, nonché la maldicenza privata, si servirono, per farsi sentire e per colpire, delle pasquinate, fino alla caduta del potere temporale dei papi. Nel Cinquecento se ne servì anche l’opposizione religiosa, e un umanista eretico, Celio Secondo Curione, raccolse le satire anticattoliche nei Pasquillorum tomi duo (1544). Talvolta si faceva dialogare P. con altre statue romane, dette statue parlanti (Marforio, Madama Lucrezia, l’abate Luigi) e perfino col veneziano Gobbo di Rialto.