In economia, la nozione di b. indica la necessità (o la carenza) dei consumi necessari per la continuazione della vita e la partecipazione alla società con requisiti minimi di dignità. Al livello di sussistenza, i b. non sono mere necessità fisiologiche per la sopravvivenza, ma dipendono da abitudini di consumo e norme distributive, che si consolidano in una società nel corso del suo sviluppo storico. Nell’economia classica, il salario di sussistenza è il paniere di beni che soddisfa i b. primari del lavoratore (cibo, vestiario ecc.) e gli permette di mantenersi in vita assieme alla famiglia, riproducendo la popolazione operaia. Con accezione diversa, soprattutto usata da Carl Menger e altri autori della scuola austriaca, b. indica in senso lato la sensazione di desiderio, che spinge l’individuo, per appagarla, a procurarsi beni scarsi e, quindi, a valutare la priorità relativa dei diversi b. e agire nella produzione e nello scambio. In economia dello sviluppo, l’approccio dei b. primari è una metodologia per stimare la povertà di individui o comunità, considerando non solo il reddito pro capite, ma la possibilità di soddisfare un insieme di b. elementari, ritenuti cruciali per la salute e la dignità della persona.
Nella storia della filosofia il b. è trattato principalmente sotto due punti di vista: morale, con riferimento all’atteggiamento da assumere nei confronti dei b., se limitarli o incoraggiarli (in questo senso il problema della ‘disciplina’ dei b. si confonde con quello della virtù); antropologico, come segno o elemento della condizione umana. In questo secondo aspetto già Platone riconobbe nel b. un tratto caratteristico dell’amore come privazione e pose nel b. la ragione dell’aggregarsi degli uomini in società. In Aristotele la nozione di b. si riferisce non tanto alle esigenze dell’origine, quanto a quelle della vita sociale già costituita, finalizzata al ‘viver bene’. Nella filosofia post-aristotelica non si riscontra uno specifico interesse verso questo problema e la classificazione che Epicuro dà dei b., distinguendoli in naturali e necessari, naturali non necessari, non naturali e non necessari, è piuttosto in funzione della problematica relativa ai piaceri. Nella filosofia cristiana e medievale il b. è inteso come un segno della perdita della beatitudine eterna seguita al peccato. Nel Rinascimento si affermò una valutazione positiva del b. legata all’apprezzamento dell’operatività umana e si collegò con G. Bruno al tema della civiltà e del progresso. L’età moderna sottolineò piuttosto l’indipendenza dell’uomo razionale rispetto ai bisogni. Paradigmatica a questo proposito è la posizione di Kant che nella resistenza al b., legato alla natura sensibile dell’uomo, pone l’espressione più evidente della sua razionalità e autonomia. Hegel pone la ‘mediazione’ dei b. alla base della società civile, rilevando come, a differenza dell’animale, l’uomo abbia la possibilità di dominarli, attraverso la scomposizione e moltiplicazione loro e dei mezzi per soddisfarli. Un rilievo particolare assume la teoria dei b. nella filosofia post-hegeliana: in Schopenhauer il b. è l’essenza stessa della volontà, sempre spinta dalla mancanza e dal dolore; Feuerbach e Marx vedono nel b. la forma immediata del rapporto dialettico uomo-natura e l’elemento propulsore della trasformazione economico-sociale che l’uomo opera nella natura mediante il lavoro. Nella filosofia contemporanea il tema del b. riveste notevole significato tanto nel filone naturalistico, con Dewey che pone il b. in rapporto alla ‘matrice biologica’ di ogni attività umana e ne fa il segno della rottura dell’equilibrio organico, quanto nel filone esistenzialistico, con Heidegger che pone l’accento sulla condizione di dipendenza dell’uomo nel mondo, caratterizzata da quella «cura» o «preoccupazione del vivere» di cui il b. è appunto parte costitutiva.
Una teoria organica dei b. si trova per la prima volta agli inizi del Novecento in O. Decroly, che, partendo dalla considerazione della fisiologia infantile, ravvisa quattro b. fondamentali: nutrirsi, ripararsi e coprirsi, difendersi dai pericoli, agire da solo o in gruppo. Trattazioni pedagogiche più moderne e complesse ripudiano l’accentuazione dell’aspetto biologico e interpretano il b. in rapporto soprattutto alla vita sociale del bambino; ci si sposta in tal modo dal b. all’interesse (➔).
B. sociali sono considerati quelli che vengono sollecitati dall’ambiente sociale, favorendo rapporti emotivi interindividuali di diversa natura e durata. Si distinguono inoltre b. fisiologici e b. fisiopatologici, riguardanti i primi la consumazione di atti necessari alla sopravvivenza dell’individuo e della specie, i secondi atti dannosi per l’organismo (tabagismo, alcolismo).