bisogni
Concetto che designa in generale uno stato di privazione che può riguardare la sfera fisica o quella dell’interiorità. Vi sono quindi b. corporei o materiali (per es., la nutrizione, il sonno, la sessualità) e b. spirituali o psicologici (per es., l’amore, la libertà, la felicità, l’aiuto, la comunicazione e così via). I b. sono avvertiti soggettivamente come una condizione di mancanza, di assenza e quindi di sofferenza (parlando dell’uomo, Dante scrive «se di bisogno stimolo il trafigge», Purgatorio, XXV, 6): ma è molto difficile – al di là di alcuni b. corporei di base – stabilire una chiara distinzione tra b. naturali e b. artificiali, così come determinare una scala della loro intensità. La componente culturale e soggettiva è infatti parte integrante del concetto di b., giacché l’uomo è al tempo stesso un essere naturale, condizionato dalle necessità del suo corpo, e un essere storico, condizionato dalle caratteristiche dell’epoca in cui vive, dalla sua cultura di appartenenza e dalla propria ‘storia personale’. Nella storia della filosofia la nozione di b. è stata trattata sotto due punti di vista: morale, con riferimento all’atteggiamento da assumere nei confronti dei b., se limitarli o incoraggiarli, come e in che grado, e in questo senso il problema della ‘disciplina’ dei b. si confonde con quello della virtù (➔); antropologico, come segno, sintomo o elemento della condizione umana (ed è sotto questo punto di vista che verrà trattato in questa voce)
Il concetto di b. viene collocato da Platone e da Aristotele alle origini dello Stato: i b. costituiscono per entrambi il primum movens verso l’associazione. «Secondo me – scrive Platone nella Repubblica (➔) (II, 369, b, c) – uno Stato nasce perché ciascuno di noi non basta a sé stesso, ma ha molti b. (…). Così per un certo b. ci si vale dell’aiuto di uno, per un altro di quello di un altro: il gran numero di questi b. fa riunire in un’unica sede molte persone che si associano per darsi aiuto, e a questa coabitazione abbiamo dato il nome di Stato». Quanto ad Aristotele, egli sostiene che ogni comunità si «costituisce in vista di un bene» e nel caso dello Stato, cioè della comunità più importante, tale bene è la vita felice; ma l’origine e la direzione del processo che porta allo Stato – passando per la famiglia e il villaggio – è il bisogno. La famiglia si costituisce per la soddisfazione dei b. primari (riproduzione, nutrizione), mentre il villaggio sorge per soddisfare i «b. non quotidiani»: con la costituzione dello Stato questo processo giunge al termine, perché con esso si «raggiunge (…) il limite dell’autosufficienza completa» (Politica, I, 2, 1252 b), ovverosia è in grado di soddisfare i molteplici b. dell’uomo. Nella filosofia postaristotelica non si riscontra uno specifico interesse verso il tema dei b.: la classificazione che ne dà Epicuro (distinguendoli in naturali e necessari, naturali non necessari, non naturali e non necessari) è piuttosto in funzione della problematica relativa ai piaceri che di quella propria dei bisogni. Quanto alla filosofia cristiana il b. è inteso da s. Agostino come un segno della perdita della beatitudine eterna conseguita al peccato originale e nella filosofia medioevale la nozione di b. rimane per lo più legata a questa tematica. Nel Rinascimento si assiste a una rivalutazione dei b., legata all’apprezzamento dell’operatività umana, capace di soddisfare una sfera sempre più ampia e più elevata di bisogni. L’età moderna sottolinea invece piuttosto l’indipendenza dell’uomo razionale rispetto ai bisogni. Paradigmatica a questo proposito è la posizione di Kant che nella resistenza al b., che considera legato alla natura sensibile dell’uomo, pone l’espressione più evidente della sua razionalità e della sua autonomia morale.
Per uno sviluppo originale del concetto di b. occorre giungere a Hegel, che – nei Lineamenti di filosofia del diritto (1821) – definisce «sistema dei b.» il primo momento della società civile, ossia la descrizione dell’economia di mercato nella società borghese moderna. Notevoli sono le riflessioni di Hegel su questo tema. Dopo aver sottolineato come i b. siano l’oggetto dell’economia politica, una delle scienze più interessanti «sorte in epoca moderna» (Lineamenti di filosofia del diritto, § 189), Hegel definisce la specificità umana dei b. in quanto distinti dai b. degli animali. Mentre questi ultimi hanno «una cerchia limitata di mezzi e modi per l’appagamento» dei loro b., che «sono anch’essi limitati», l’uomo, «anche in questa dipendenza, dimostra a un tempo di oltrepassarla, e in tal modo manifesta la propria universalità»: ciò avviene «mediante la moltiplicazione dei b. e dei mezzi» e quindi «mediante la scomposizione e differenziazione del b. concreto in singole parti e in singoli lati, i quali divengono diversi b. particolarizzati e, quindi, più astratti» (Lineamenti di filosofia del diritto, § 190). Il filosofo tedesco sottolinea altresì il carattere sociale dei b. e dei mezzi per soddisfarli: la molteplicità dei rapporti di collaborazione che essi richiedono fa sì che si sviluppi un tessuto sociale articolato e complesso, mentre la centralità del lavoro determina una dialettica tra processi materiali e mentali, cultura pratica e cultura teorica, così come tra interesse particolare e interesse generale. Ma se in Hegel il sistema dei b. si inquadra pur sempre in una concezione complessiva di tipo idealistico, nel quale il finito non ha una sua autonoma consistenza ma è manifestazione di un principio infinito di carattere spirituale, in Feuerbach vi è un’aperta rivalutazione dei b. nella nella loro naturalità e nalla loro finitezza. Questo approccio ‘materialistico’, depurato del suo naturalismo ingenuo e arricchito da un profondo senso della storicità, lo si ritrova in Marx, che si rifà, come Hegel, alle elaborazioni dell’economia politica. Marx definisce la merce, nel 1° vol. del Capitale (➔) (1867), come quella «cosa che mediante le sue qualità soddisfa b. umani di un qualsiasi tipo». Tuttavia egli non definisce il concetto di b., limitandosi a ribadirne la natura storica, ossia la sua dipendenza dalla tradizione, dal grado di cultura e così via. Lo sviluppo della divisione del lavoro e della produttività crea la ricchezza e la molteplicità dei b.; è però sempre in seguito alla divisione del lavoro che anche i b. si ripartiscono ed è quindi il posto occupato all’interno della divisione del lavoro a determinare la struttura dei bisogni. Secondo Marx, la riduzione del concetto di b. al b. economico, tipica dell’economia politica classica, nasce dall’estraniazione capitalistica, ossia dal fatto che nella società borghese il fine della produzione non è la soddisfazione dei b. ma la valorizzazione del capitale. Solo nella società comunista, ossia nella società fondata sull’autogoverno dei produttori, potrà svilupparsi una struttura dei b. tale da rendere possibile l’impiego del tempo libero per la soddisfazione di ‘b. superiori’. In un quadro del tutto diverso si colloca la riflessione di Schopenhauer, il quale fa del b. l’essenza di quella volontà di vita che costituisce la realtà noumenica: «la base di ogni volontà – scrive ne Il mondo come volontà e rappresentazione (1819) – è b., mancanza, ossia dolore a cui l’uomo è vincolato dall’origine, per natura». In Schopenhauer riaffiora quindi l’antica tematica della liberazione dal b. come ideale di saggezza, ideale che viene tuttavia declinato alla luce di suggestioni orientali. Nella filosofia contemporanea il tema del b. riveste notevole significato tanto nel filone naturalistico, con Dewey che pone il b. in rapporto alla ‘matrice biologica’ di ogni attività umana e ne fa il segno della rottura dell’equilibrio organico, quanto nel filone esistenzialistico, con Heidegger che pone l’accento sulla condizione di dipendenza dell’uomo nel mondo, caratterizzata da quella ‘cura’ o ‘preoccupazione del vivere’ di cui il b. è appunto parte costitutiva. La tematica del b. non indica quindi, nella filosofia di Heidegger, uno stato di mancanza legato a situazioni specifiche, ma una condizione di dipendenza che attiene all’uomo in quanto essere ‘gettato’ nel mondo.