Discorso continuato, soprattutto orale ma anche scritto, tenuto da una sola persona che si rivolge a sé stessa o ad altri, dai quali non attende o non ammette risposte o critiche, e con i quali non intende stabilire un dialogo.
M. interiore Tecnica narrativa, sperimentata da É. Dujardin alla fine dell’Ottocento e largamente impiegata nella letteratura del Novecento (J. Joyce, I. Svevo ecc.), mediante la quale il lettore viene introdotto direttamente nella vita interiore del personaggio, di cui sono registrati in prima persona, e senza alcun commento dell’autore, pensieri, reazioni, impressioni, ricordi, libere associazioni d’idee, così come si presentano alla sua mente, in una sorta di autoanalisi continuata. Spesso assimilato al flusso di coscienza, il m. interiore se ne distingue in genere per il carattere meno alogico e disordinato, che si traduce in un maggior controllo linguistico e sintattico.
Scena drammatica in cui un attore compare o resta solo e parla come se pensasse ad alta voce. Il prologo della tragedia greca ha spesso forma di m.; frequenti sono i m. nella commedia nuova o nel teatro latino, comico e tragico, come poi nel moderno, dove dà luogo a momenti di alta poesia. V. Alfieri preferì i soliloqui ai dialoghi, spesso ingombranti, coi confidenti, propri del teatro classico francese. Bandito dal teatro verista ottocentesco, il m. ritorna in quello contemporaneo quale espediente tecnico per far penetrare gli spettatori nei meandri del pensiero dei personaggi.
Breve composizione scenica, in prosa o in versi, scritta per esser recitata da un solo attore. Come genere a sé il m. drammatico appare nel teatro francese del 15° e 16° secolo. Nel secondo Ottocento furono in voga i m. composti e recitati da E. Novelli, quelli di L.A. Vassallo ecc.