Uomo politico ateniese (495 circa - 429 a. C.), figlio di Santippo, imparentato per parte di madre con gli Alcmeonidi. Iniziò la sua carriera politica nel partito democratico di Efialte, che, con l'ostracismo di Cimone (461) e il declino del partito conservatore e dell'Areopago, conquistò la direzione della politica ateniese. Ma essendo stato quasi subito assassinato Efialte, P. si trovò solo a guidare a un tempo il suo partito e la politica ateniese, ciò che fece per oltre trent'anni (461-429) fondando il proprio potere sulla annuale, libera rielezione nel consiglio degli strateghi. In politica estera P. si propose come ultima mira il predominio ateniese sull'intera Grecia; il mezzo doveva essere dato dalla trasformazione della lega marittima delio-attica in impero. Il tesoro da Delo fu trasportato in Atene (454) e le ribellioni dei membri della lega furono punite con la massima severità (come per Samo nel 440). Nella penisola greca la lotta per il predominio condusse a guerre contro Egina, i Beoti e gli Spartani, e, dopo un grave insuccesso a Tanagra (457), gli Ateniesi con la vittoria di Enofita ristabilirono il loro predominio sulla Grecia centrale. Ma al di là del mare le cose non andarono egualmente bene: una spedizione in Egitto, per sostenere il ribelle Inaro contro la Persia, finì disastrosamente (458-452); pochi anni dopo (449) si concludeva la pace di Callia con la Persia, pace che, mentre segnava la fine della politica ateniese di espansione in Oriente, svuotava di contenuto la lega delio-attica costituita apposta per combattere i Persiani. L'occupazione dell'Eubea ribellatasi condusse a un intervento spartano; non si venne però a uno scontro, anzi fu segnata una pace trentennale (446-445). Sicuro dalla parte di Sparta, P. si dedicò ancor più all'abbellimento di Atene (di questi anni è la costruzione del Partenone e dei Propilei), a spese del tesoro federale e superando con la sua autorità le proteste dell'opposizione per questo suo procedere: il massimo esponente di essa, Tucidide di Melesia (da non confondere con lo storico), fu ostracizzato. Con una spedizione nel Ponto Eusino (436), P. assicurò ad Atene il predominio sul mercato granario del Chersoneso Taurico (Crimea); inoltre fondò la colonia panellenica di Turî (444) e strinse trattati con Reggio e Leontini. Gli ultimi anni della sua vita furono amareggiati da una serie di processi intentati da un'opposizione eterogenea contro i suoi amici (Anassagora il filosofo e lo scultore Fidia), e contro Aspasia, la donna con cui P. viveva. È congettura infondata che P., per vincere questa opposizione, abbia cercato un diversivo suscitando la guerra del Peloponneso. Certo è però che egli, prevedendola, volle affrettarla fidando soprattutto nelle risorse economiche di Atene. Questa volontà egli mostrò col decreto con cui fece escludere i Megaresi dai mercati dell'Attica e dai porti dell'Impero, e con l'indurre l'assemblea ateniese a rifiutare ogni concessione agli ambasciatori spartani (432). Ma il piano di guerra adottato per volontà di P. (per cui gli Ateniesi si concentrarono in Atene abbandonando le campagne dell'Attica e bloccarono per mare gli avversarî) presupponeva negli Ateniesi una sovrumana forza di resistenza, consumava a poco a poco le risorse finanziarie della città e accresceva il malcontento degli alleati. Inoltre la terribile pestilenza del 430 aggravò la situazione. Il malcontento contro P. portò alla sua caduta (430); richiamato al potere nel 429, morì di peste nello stesso anno. Fornito di versatile ingegno, di vivo senso d'arte, P. fu probo e disinteressato amministratore. Riservato, schivo di applausi, non cercò il favore del popolo che egli dominava soprattutto con la sua eloquenza, di cui non ci sono però pervenute testimonianze dirette. In qualità di politico, egli attuò in Atene la libertà democratica come in nessun altro luogo dell'antichità, impedendo il pericolo di disgregamento dell'autorità statale. La sua politica di lavori pubblici creò opere di difesa e di abbellimento, e occupò utilmente il popolo. Introdusse la paga per gli eliasti e promosse l'attuazione di una maggiore giustizia sociale coi sussidî statali agl'invalidi e agli orfani dei caduti in guerra. Ma, usando il tesoro federale a vantaggio dei lavoratori ateniesi, alienò da Atene l'animo degli alleati, e non seppe attutirne il malcontento e fonderli politicamente con gli Ateniesi. Sicché egli ha la responsabilità di avere affrettato la dissoluzione della lega proprio quando si trasformava in impero. Per la salvezza della lega iniziò la guerra con Sparta, che privò i Greci del frutto delle guerre persiane e segnò il principio della decadenza politica di Atene e della Grecia intera. ▭ Il ritratto di P. ci è noto da varie erme, copie romane di una statua di Cresila (v.) che lo raffigurava stante, appoggiato alla lancia.