Uomo politico e generale romano (138-78 a. C.). Iniziò la carriera agli ordini di C. Mario, distinguendosi nella guerra giugurtina (107) e in quella cimbrica (101); altri successi colse in seguito nella guerra sociale (90-89). Console nell'88, per reprimere i tentativi, che a lui e al ceto dominante parevano rivoluzionarî, di C. Mario e P. Sulpicio Rufo, marciò su Roma con le sue legioni e fece approvare un complesso di leggi conservatrici che nel loro insieme, contro l'evoluzione economico-sociale in atto, riaffermavano il predominio senatorio nello stato. Ma, allontanatosi S. da Roma per combattere in Asia Mitridate VI Eupatore re del Ponto (e in questa campagna S. colse grandi successi vincendo a Cheronea e ad Orcomeno e costringendo Mitridate nell'85 alla pace di Dardano), i democratici ebbero di nuovo il sopravvento, prima con C. Mario, poi, morto questo (86), con L. Cornelio Cinna, console nell'86. Quest'ultimo tentò di organizzare la resistenza contro S.: furono inviate delle legioni a contrastare in Asia il ritorno del generale e si cercò di sobillare gli Italici alla rivolta. Il ritorno di S. (83) segnò infatti una nuova fase, sanguinosissima, della guerra civile: S., seguito entusiasticamente dai suoi legionarî, ebbe ragione di tutti i suoi avversarî, che sconfisse definitivamente presso l'Urbe alla Porta Collina (82). Da allora S. fu arbitro dello stato romano, che restaurò in senso schiettamente oligarchico, seminando le vie della restaurazione di molte migliaia di uccisi e di intere città distrutte. Dictator reipublicae constituendae, assunto il cognome Felix, spartì tra i suoi veterani le terre confiscate in Italia, portò a 600 il numero dei senatori e annullò la potenza politica dei cavalieri, in quanto ceto, ammettendo i cavalieri stessi al senato. Diminuì di molto l'importanza dei censori e limitò gravemente i poteri costituzionali dei tribuni della plebe; stabilì un più rigido controllo sui funzionarî e al governo delle province provvide per lo più ricorrendo a promagistrati; riordinò in maniera efficiente l'amministrazione della giustizia criminale. Ma sebbene alcuni dei suoi provvedimenti andassero incontro alle necessità dei tempi nuovi, attirò su di sé con le stragi indiscriminate e la dittatura (deposta nel 79) un odio tenacissimo che, ancora vivo lui, sembrò potesse esplodere in aperta rivolta. Negli ultimi tempi attese alla ricostruzione del tempio di Giove Capitolino, che era stato distrutto dall'incendio dell'83. Morì, a soli sessant'anni, in Campania. Aveva scritto un'autobiografia in 22 libri (Commentarii rerum gestarum), che fu terminata dal suo liberto Epicadio e della quale non possediamo che frammenti.