M. Eupatore Dioniso (132 a. C. - 63 a. C.), abbattuto nel 112 il potere della madre Laodice che governava dal 120, anno in cui fu assassinato il padre M. V Evergete, s'impadronì dello stato pontico, del quale restò unico signore liberandosi nel 111 anche del fratello, Mitridate χρηστός. Cominciò immediatamente a perseguire un suo programma di espansione territoriale, soccorrendo i Greci della Crimea contro gli Sciti; divenne re del Bosforo Cimmerio, prostate (protettore) di Chersoneso, padrone della Meotide, della Colchide e della Piccola Armenia. Alleatosi con Nicomede III Evergete re di Bitinia, attaccò, conquistò e divise con l'alleato la Paflagonia (104). Chiamata in causa dai vinti, Roma protestò per bocca di Gaio Mario, ma Nicomede e M., per tutta risposta, conquistarono anche la Galazia. Alle nuove proteste gli alleati si rivolsero contro la Cappadocia, la quale però divenne fonte di discordie fra M. e Nicomede, sì che quest'ultimo, rivoltosi ai Romani (95), ottenne che M. sgombrasse la Cappadocia, cui fu imposto come re Ariobarzene Filoromeo. Cacciato che fu anche questo da Tigrane d'Armenia, genero di M., in Cappadocia fu stabilita la reggenza di una creatura di M., Gordio, contro il quale i Romani mandarono Silla che lo vinse inseguendolo fino all'Eufrate. Mentre Roma era impegnata nella guerra sociale, M. riu scì a cacciare Ariobarzane e Nicomede IV, nuovo re di Bitinia, ma non appena Roma poté mandare Manio Aquilio con l'incarico di restaurare i due re, M. seppe cedere abilmente alle richieste romane. Ma Nicomede invase il Ponto (89), causando la guerra fra Roma e M., i generali di M., Archelao, Neottolemo e Ariarate, inflissero un grave scacco a Nicomede, e M. in persona, a Protopachio, sbaragliò le milizie di Aquilio (che poi catturò) mentre cercavano di congiungersi a quelle di Lucio Cassio Longino. M., dilagando nell'Asia Minore, ergendosi a campione dell'ellenismo contro Roma e mettendo a frutto anche il risentimento delle classi più povere, infierì contro tutto ciò che apparisse romano: ne fu conseguenza un feroce massacro di circa 80.000 Italici residenti nei paesi conquistati. La Grecia si orientò in senso favorevole al monarca asiatico e Archelao, in breve, la conquistò pressoché tutta in nome di Mitridate. Nell'87 però sbarcava a Demetriade Silla; Q. Bruzio Sura batteva la flotta comandata da Metrofane. Ricevuta la sottomissione di gran parte della Grecia, Silla assediò ed espugnò Atene nell'86. Cercò poi battaglia contro le milizie di Archelao e le annientò presso Cheronea: pochi mesi dopo (autunno 86) sbaragliò ancora presso Orcomeno ingentissimi rinforzi inviati da Mitridate. Si iniziarono trattative di pace, onerose per M., che tuttavia fu costretto ad accettare (pace di Dardano, 84). Mentre attendeva al riordinamento del suo stato, fu attaccato da Lucio Licinio Murena (83-81) e lo sconfisse, dopo di che Silla impose la fine delle ostilità. Roma era impegnata ora nella guerra piratica e M. anelava alla rivincita. Le ostilità si riaprirono quando l'annessione della Bitinia (74) da parte dei Romani ebbe rotto l'equilibrio stabilito dalla pace di Dardano. Ebbe il comando dei Romani Lucullo, fiancheggiato dalla flotta del collega console Marco Aurelio Cotta. Mentre questi perdeva sessantaquattro navi ad opera di M., Lucullo liberava Cizico dall'assedio e sconfiggeva a Cabira M., sbaragliandone i 40.000 fanti e 4000 cavalieri. Ma mentre Lucullo con una mirabile campagna portava l'offesa nel cuore dell'Armenia dove s'era rifugiato M. e otteneva una nuova vittoria a Tigranocerta nel 69, ostilità politiche romane lo costrinsero ad abbandonare l'impresa, permettendo a M. di ottenere successi insperati (68-67). Dopo la battuta d'arresto della guerra piratica, si svolgeva però contro M., con forze imponenti, Gneo Pompeo. Abbandonato da Tigrane, M. continuò tuttavia a battersi valorosamente. Ridottosi infine nel Bosforo Cimmerio, mise insieme un grande esercito con l'ambizione di piombare sull'Italia risalendo il Danubio, ma gravi difficoltà politiche e la rivolta del figlio Farnace lo spinsero alla disperazione e al suicidio (63). Fu uomo colto e geniale, carattere fortissimo: animato dall'odio contro Roma, fallì nelle proprie ambizioni principalmente perché era impossibile restituire all'oriente ellenico, nel corso della vita d'un uomo, l'omogeneità necessaria per battersi contro un così grande avversario.