MITRIDATE VI Eupatore, re del Ponto
Nel 120 a. C. Mitridate Filopatore Filadelfo (o Evergete) fu assassinato, e il regno fu diviso, per testamento, fra la vedova Laodice e i due figli minorenni, dei quali il primo era M. Eupatore Dioniso, il secondo M. Cresto. M.E. aveva dodici anni: la successione, suddivisa con la madre e col fratello, era insidiata dalla madre stessa, la quale si considerava unica sovrana. Nel 112, M., allora ventenne, riuscì ad abbattere il potere della madre, a imprigionarla, associandosi al trono il fratello; nel 111 si liberò anche del fratello, e restò così unico signore dello stato pontico.
Nel 110 fu chiamato in aiuto dei Greci di Crimea (Chersoneso Taurico) minacciati dagli Sciti. Il suo generale Diofanto vinse in tre anni consecutivi una serie di campagne, sino a che nel 107 sconfisse gli Sciti definitivamente. M. fu proclamato re del Bosforo Cimmerio, e prostate (protettore) del Chersoneso, e poi s'impadronì della Meotide, della Colchide e della piccola Armenia (106-103 a. C.). In pochi anni aveva triplicato territorialmente i suoi possedimenti. Ma M. considerava questi suoi successi soltanto come un mezzo per ascendere a più grandi conquiste, e nel 105 intraprendeva un viaggio attraverso l'Asia Minore e studiava le condizioni difficili in cui questo paese si trovava tanto sotto il dominio romano quanto nelle regioni indipendenti. Conclusione di questo lungo viaggio fu la decisione d'intraprendere prossimamente una nuova guerra di espansione e di conquista; e a questo scopo si alleò col re di Bitinia, Nicomede III Evergete. Nella primavera del 104 gli alleati iniziarono l'offensiva contro il primo obiettivo, la Paflagonia, che conquistarono e si divisero. Come già precedentemente gli Sciti, anche i principi di Paflagonia invocarono l'intervento di Roma contro M. e Nicomede; ma, nonostante le proteste del console C. Mario, questi non desistettero dalla loro azione e aggredirono anche la Galazia, conquistandola. Malgrado l'intervento romano e la protesta di L. Appuleio Saturnino, M. e Nicomede proseguirono nelle loro conquiste mirando alla Cappadocia; nella quale però in un primo tempo riuscì a stabilirsi il solo Nicomede, grazie al suo matrimonio con Laodice, sorella di M. e reggente di Cappadocia; ma ben presto M., rompendo l'alleanza, cacciò via Nicomede e Laodice e mise sul trono suo nipote Ariarate VII Filometore; dopo qualche tempo, venuto con lui in disaccordo, malgrado i tentativi di coalizione progettati da Mario, M. conquistò la Cappadocia, ponendo sul trono un suo figlio di otto anni, col nome di Ariarate Eusebe Filopatore. Nel 95 Nicomede, rivoltosi ai Romani contro M., riuscì a ottenere da loro che gl'imponessero di abbandonare la Cappadocia e la parte di Paflagonia che si era annessa, ma fu obbligato anch'egli ad abbandonare la parte di Paflagonia che aveva data in regno a un suo bastardo. La Cappadocia riebbe la monarchia (95 a. C.) sotto Ariobarzane Filoromeo, il quale ben presto (95) fu obbligato a fuggire in seguito all'invasione di Tigrane, re d'Armenia, da poco tempo alleato e genero di M.; in Cappadocia vi fu una reggenza di Gordio, creatura di M. stesso. Dopo questi fatti il senato mandò in Asia il propretore L. Cornelio Silla, con l'incarico di restaurare Ariobarzane sul trono. Silla vinse Gordio, lo inseguì sino all'Eufrate, e riuscì pienamente nel suo intento.
La ribellione degli alleati italici e la guerra sociale scossero fortemente il prestigio di Roma nell'Asia Minore. Ariobarzane e Nicomede IV, figlio di Nicomede III Evergete e suo successore sul trono di Bitinia, furono cacciati da M.: ma costoro si erano appena rifugiati in Italia che la guerra sociale già volgeva al suo fine, con grande disillusione di quanti, come M., avevano potuto credere di vedere vicino il crollo della potenza romana. Il senato mandò in Asia Manio Aquilio, con l'incarico d'imporre a M. il rispetto del nome romano e di restaurare sul trono i due re. La restaurazione, per un'abile sottomissione di M., fu pronta e facile; ma ciò nonostante Nicomede invase improvvisamente (estate 89) il territorio pontico per trarne bottino. Nuove trattative e nuove proteste s'iniziarono inutilmente: nel successivo inverno si dichiarava la guerra fra Roma e M. Le operazioni cominciarono immediatamente e ben presto l'esercito pontico, comandato dai generali Archelao, Neottolemo e Ariarate, valendosi soprattutto dei carri falcati, sconfisse gravemente Nicomede e l'esercito di Bitinia. Poco dopo Aquilio, mentre cercava di congiungersi con L. Cassio Longino, governatore dell'Asia, e con Nicomede, fu sconfitto con gravi perdite a Protopachio da M. stesso. Le conseguenze della sconfitta furono la diserzione nei corpi d'esercito di Cassio e la sconfitta di Oppio, propretore in Cilicia, che in seguito fu preso prigioniero da M. per il tradimento dei Greci di Laodicea.
Da questo momento la guerra si mutò, per M., in una marcia trionfale attraverso il regno di Pergamo, la Ionia e le isole. Aquilio venne consegnato a M. dai Mitileni, ed ebbe un trattamento ingiurioso e durissimo. Poche resistenze furono opposte alla conquista pontica e alla caduta del potere romano in Asia; e la vittoria di M. fu sanguinosamente coronata, dopo la presa di Stratonicea, dal massacro degl'Italici residenti nei paesi conquistati, ordinato da M., che costò, si dice, 80.000 vittime e il sequestro di un enorme bottino. Da questo momento la lotta tra lui e Roma fu portata sino alle estreme conseguenze del più irreconciliabile rancore e del più feroce odio. M. diveniva il campione nazionale dell'ellenismo contro Roma. Nel mondo greco, nella stessa Atene, ove Roma aveva tanti amici, l'attenzione dell'opinione pubblica, dopo il massacro degli Italici in Asia Minore, si rivolse al re del Ponto; e Atene gli inviò come ambasciatore straordinario Aristione, il quale provocò, di ritorno dal Ponto, la rottura dell'alleanza con Roma e la restaurazione democratica. Malgrado un insuccesso ateniese in un tentativo su Delo, Archelao, in breve tempo, conquistò tutta la Grecia, all'infuori di Rodi, che presentò resistenze insuperabili. Tutta l'Asia Minore, salvo qualche regione di montagna, la Grecia sino alla Tessaglia, l'Arcipelago, eccetto Rodi, formavano il vasto impero che M. aveva saputo conquistare in poco più di sei mesi di tempo (fine dell'88 a. C.).
L'inizio dell'87 non fu più parimenti favorevole a M. Mentre L. Cornelio Silla sbarcava, a Demetriade, come proconsole, per condurre la guerra di riconquista, con 5 legioni, alcune coorti aggiunte e contingenti di cavalleria, Metrofane, uno dei luogotenenti d'Archelao, doveva cedere dinnanzi alla superiorità della flotta di Q. Bruzzio Sura. Questa prima grave sconfitta facilitò il lavoro a Silla: il quale, giungendo in Beozia, ricevette la sottomissione di gran parte della Grecia, ad eccezione dell'Attica e dell'Bubea. Nell'estate dell'87, dopo un fallito colpo di mano, Silla cinse di blocco Atene, assediò il Pireo, combattendo tutto attorno alle formidabili fortificazioni della grande piazzaforte marittima. Al 1° marzo 86 i Romani entrarono ad Atene; qualche tempo dopo Silla s'impadronì anche del Pireo, mentre a Roma veniva privato del suo comando e messo fuori della legge dal governo di Cinna. Dopo brevi preparativi e simulate trattative, Silla, indifferente alle decisioni di Roma, lasciò l'Attica, giunse in Focide passando indi in Beozia. Presso Cheronea il suo esercito si trovò di fronte a quello di Archelao; e malgrado la grande superiorità di forze degli Asiatici, Silla ebbe una completa vittoria, distruggendo quasi completamente l'esercito nemico. Intanto M., che aveva avuto serie difficoltà nel dominio dell'Asia, e che, per mantenere il suo potere in quella regione, controbattere la rivolta di Chio e la defezione di Efeso e ovviare al malcontento largamente diffuso, aveva dovuto concedere larghe franchigie alle città greche, e soprattutto ai meteci e agli schiavi, fece passare in Europa contro Silla un nuovo esercito, forte di 80.000 uomini tra fanti e cavalieri, e con 70 carri falcati. Mentre L. Valerio Flacco, inviato in Grecia per togliere a Silla il comando delle legioni, rinunciava al proposito e marciava con il suo esercito e col suo luogotenente C. Flavio Fimbria, diretto verso l'Ellesponto, il grande esercito pontico veniva a contatto con l'esercito di Silla presso Orcomeno (autunno 86). Anche questa volta, malgrado la schiacciante superiorità numerica, Archelao fu gravemente sconfitto e fu di nuovo compiuta un'orribile strage di soldati asiatici. Il potere di M. in Grecia era definitivamente tramontato.
Silla era privo di flotta, nonostante l'incarico dato a Lucullo perché ne raccogliesse una fra gli alleati, e perciò si dovette ritirare nei quartieri invernali, mentre L. Valerio Flacco procedeva all'occupazione della Macedonia. Per una rivolta provocata da Fimbria, Valerio Flacco fu ucciso e Fimbria gli si sostituì, iniziando una nuova campagna, mentre (inverno 86-85) Silla e Archelao aprivano trattative di pace e concludevano un'intesa da proporre alla ratifica reale, per cui M. si sarebbe obbligato a pagare 2000 talenti di indennità di guerra, a consegnare 70 navi, a ritornare allo statu quo dell'89 a. C., restituendo così tutta la provincia romana e i regni di Cappadocia e di Bitinia e la Paflagonia, ottenendo per contro il titolo di rex socius atque amicus P.R., mentre Silla si sarebbe impegnato ancora a concedere una generale amnistia ai ribelli d'Asia. A decidere M. ad accettare, malgrado le prime difficoltà opposte, intervennero i successi ottenuti da Fimbria a Miletopoli e a Cizico e da Silla stesso nel Chersoneso Tracico, operando d'accordo con Lucullo; e, mentre Fimbria metteva a sacco la Troade e Ilio, e Lucullo a Tenedo batteva per mare Neottolemo, a Dardano (agosto 85) Silla e M. conclusero la pace sulle basi precedentemente concordate.
Dopo la pace, M. rivolse le sue cure all'amministrazione e alla pacificazione del suo regno, e, per riconfermarsi il dominio della Colchide, fece persino uccidere un suo figlio omonimo. Fu disturbato nella sua attività da L. Licinio Murena, il quale, di sua iniziativa e con l'appoggio del traditore Archelao, intraprese una serie di campagne (83-81) contro il territorio pontico. Nell'82 M. riuscì a infliggere a Murena una severa sconfitta, dopo la quale Silla impose di desistere dalle ostilità. M. intanto riprese la campagna contro i Bosforani, mentre Roma non rintuzzava le sue velleità di rivincita perché sempre più occupata a provvedere per difendersi dai pirati. Intanto Tigrane, re d'Armenia, si sostituiva brillantemente ai Seleucidi in Siria, e, estendendosi da varie parti, formava un grande stato asiatico, al quale, d'accordo con M., aggiungeva la Cappadocia; e M. stesso, approfittando del malcontento lasciato in Asia dal fatto che Lucullo, partendo dalla provincia nell'80, aveva compiuto un pesante riordinamento finanziario e fiscale, tornava ad estendere nella provincia stessa le sue relazioni. Nello stesso tempo M. riusciva a stringere alleanza con Sertorio, il quale da anni, in Spagna, combatteva l'oligarchia romana, e lo aiutava con danaro e navi, legandolo alla sua causa e a talune delle sue rivendicazioni.
Nel 74 a. C. l'annessione della Bitinia da parte dei Romani in base al testamento di Nicomede Filopatore equivaleva alla rottura dell'equilibrio stabilito con la pace di Dardano. Lucullo assunse il comando della guerra imminente, con un esercito non molto numeroso, e con una flotta comandata dal suo collega nel consolato M. Aurelio Cotta. M. ebbe prima qualche successo navale su Cotta, togliendogli o bruciandogli 64 navi; poi cercò d'investire Cizico, inviando M. Mario, un luogotenente di Sertorio che era al suo fianco, a promettere a nome di Roma libertà ed esenzioni fiscali a chi appoggiasse M. Ma Lucullo riuscì a liberare Cizico dall'assedio e M. fu costretto a rifugiarsi a Nicomedia, donde poté ripartire e mettersi in salvo. Lucullo intanto iniziava l'invasione del Ponto, e M. lo attendeva a Cabira con 40.000 fanti e 4000 cavalieri. Lucullo lasciò uno dei suoi luogotenenti ad Amiso; puntò su Cabira ove, in battaglia, sconfisse gravemente M. e lo costrinse a rifugiarsi in Armenia, mentre riuscì a prendere possesso di Cabira e di Amiso. Tigrane ospitò M., si rifiutò di consegnarlo ai Romani, e poi preparò d'accordo con lui la lotta contro Roma, anche per fronteggiare l'invasione di Lucullo il quale, presa Sinope (70), marciò sull'Armenia, ove, sotto le mura di Tigranocerta, nel 69, ebbe una nuova e grande vittoria. M., avendo saputo che Tigrane, dopo questa sconfitta, tendeva a riavere la pace, lo costrinse a proseguire la guerra; ordinò leve di truppe e cercò anche l'appoggio di Fraate, re dei Parti. Lucullo continuava la marcia su Artaxata; ma il suo richiamo e l'ostilità di Clodio lo costrinsero ad abbandonare la partita, dopo avere vinto i nemici sull'Arsania (settembre 68) ed avere preso Nisibis. M. poté rientrare nel Ponto dopo aver vinto i luogotenenti romani Adriano e Triario nella valle del Lico, a Comana e a Gaziura (68-67); Lucullo continuava a combattere per impedire il collegamento tra M. e Tigrane, mentre i comizî gli avevano tolte le legioni, sinché, abbandonato dalle sue truppe, dovette cedere dinnanzi al suo successore, il console M. Acilio Glabrione. Nel 67 M. aveva di nuovo il suo regno, ma fu ben presto abbandonato da Tigrane, mentre i pirati, un'altra delle sue forze, venivano distrutti da Gn. Pompeo in virtù del comando conferitogli per la legge Gabinia. Intanto Pompeo stesso, con la legge Manilia, riceveva il comando contro M., con più di 60.000 uomini, cioè col doppio delle forze rispetto al suo avversario, e con una flotta di 270 navi, cui M. non aveva ormai più nulla da opporre. Dopo trattative puramente fittizie, M. iniziò aspramente l'ultimo suo sforzo, ritirandosi verso l'interno, ma, subito uno scacco per una imboscata, sfuggì quasi miracolosamente al blocco a Dasteira. Tre giorni dopo, a Nicopoli, fu sorpreso e circondato, subì gravissime perdite e fu costretto a fuggire quasi solo. Rifugiatosi a Sinoria, si era ridotto ad avere appena 3000 soldati all'incirca, ma riuscì egualmente, a marcie forzate, a rifugiarsi a Dioscuriade, nella Colchide, mentre anche Tigrane non soltanto lo abbandonava, ma metteva sul suo capo 100 talenti di taglia. M. iniziava trattative con gl'Iberi e con gli Albani, le due popolazioni più potenti dell'istmo caucasico, che si allearono a lui, mentre Pompeo, per il tradimento del figlio di Tigrane, soggiogava facilmente e umiliava l'Armenia. Gli Albani e gl'Iberi, attaccando Pompeo, non sortirono successo; ma M., con una marcia che ebbe del miracoloso, riuscì a giungere al Bosforo Cimmerio ove ristabilì vigorosamente il suo potere (65), ma dovette lasciare l'Asia e l'antico suo regno in mano a Pompeo e il Mar Nero alla flotta nemica. Nel 64 la guerra ebbe quasi una sospensione, e continuò soltanto col blocco nel Mar Nero, mentre M. resisteva e si armava a Panticapeo. Alla fine dell'anno aveva di nuovo un grande esercito e maturava il piano di giungere in Italia per la valle del Danubio e di sorprendere così il nemico nella sua stessa sede, mentre Pompeo stava operando in Siria. Le sue malattie, la defezione dei sudditi, una rivolta a Fanagoria, sulla riva asiatica del suo nuovo regno, portarono la dissoluzione nella recente compagine. M. aveva fatto uccidere quattro dei suoi figli per motivi politici, e fu proprio un figlio, Farnace, quegli che organizzò una rivolta contro di lui. Era la fine: M. lo capì e si uccise (63 a. C.). Aveva 69 anni di età e regnava da 57 anni. Uomo di energia mirabile, colto, poliglotta, in lui fervevano l'ammirazione per l'esempio d'Alessandro Magno e l'odio per Roma come due forze determinanti: e, appunto per questo, poté essere il capo e lȧ figura rappresentativa di un grande sforzo di sopravvivenza dell'ellenismo e dell'indipendenza orientale contro il dominio romano.
Fonti: Le fonti principali per la storia di M. sono le vite plutarchee di Silla, di Mario, di Lucullo e di Pompeo; la storia delle guerre Mitridatiche di Appiano; i frammenti di Memnone di Eraclea; le orazioni Verrine, la Pro Archia e la Pro Flacco di Cicerone; frammenti di Granio Liciniano; le fonti derivate da Livio (Floro, Eutropio, Orosio); Trogo Pompeo (17 e 38) e Velleio Patercolo (l. II).
Bibl.: Oltre alle storie generali di Roma e di questo periodo, l'opera più importante su M. resta sempre Th. Reinach, Mithridate Eupator, Parigi 1890. Inoltre F. Geyer, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XV, col. 2163 segg.; V. Strazzulla, M. VI, gli Sciti ed il regno Bosporano, Messina 1903; M. Rostovtzeff, H. A. Ormerod, M. Cary, in Cambridge Ancient History, IX, Cambridge 1932, pp. 211-260 e 353-392.