Uomo politico e oratore ateniese (384 a. C. - 322 a. C.). Partecipò alla vita pubblica di Atene, dedicandosi alla difesa delle libertà democratiche contro l'espansionismo di Filippo II di Macedonia attraverso un'intensa attività oratoria (Filippiche, 350-341; Olintiache, 349-348; Per la pace, 346) e diplomatico-militare (promozione di leghe fra le città greche). Già nel 3º sec. a. C. si era venuta elaborando una biografia romanzata di D., che al tempo di Cicerone fu considerato il retore per eccellenza. Studiato e commentato da Didimo, Cecilio, Dionisio di Alicarnasso, venne presto a fissarsi la caratteristica della sua oratoria: la δεινότης, l'impressionante abilità e capacità di trasfondere la passione nel discorso, con una struttura tecnica dell'oratoria che si risolve in purissima euritmia.
Era figlio di Demostene, del demo di Peania, che morì quand'egli aveva sette anni, lasciandolo sotto la tutela dei cugini Àfobo e Demofonte e dell'amico Terìppide, che sperperarono il suo patrimonio. A 18 anni, divenuto maggiorenne, D. intraprese studî di oratoria e di diritto giudiziario con Iseo, e, una volta in grado di farlo, sostenne contro i tutori una serie di processi (conservate 3 orazioni Contro Afobo e 2 Contro Onetore, cognato di quello), con i quali però non riuscì a ricuperare tutta l'eredità. Si fece allora logografo e, come tale, si trovò talvolta a dovere stendere nello stesso tempo orazioni per le due parti avverse (orazione Per Formione, uno schiavo divenuto banchiere, contro Apollodoro, cui fa riscontro la prima almeno delle due orazioni Contro Stefano, testimone favorevole a Formione, in difesa di Apollodoro). L'eloquenza di D. era già formata: sono leggende il suo difetto di pronunzia corretto col tenere in bocca dei sassolini, le declamazioni in riva al mare per rinforzare la voce, il ritiro in una grotta per comporre le orazioni, e la trascrizione ripetuta 8 volte della storia di Tucidide. Nel 355 D. cominciò a partecipare attivamente alla vita pubblica: fautore, all'inizio, dell'imperialismo ateniese, mostrò sempre piena consapevolezza del valore della libertà democratica ateniese, che in tutta la sua vita volle difendere, preoccupandosi della libertà delle altre città solo in funzione di essa. Così non esitò a ricorrere all'aiuto persiano preferendo un controllo lontano del Gran Re all'egemonia della Macedonia. D. cercò subito di conciliare le necessità di una politica energica con la solidità della finanza ateniese, come si ricava dalle orazioni Contro Androzione (del 355) e Contro Timocrate (del 353), scritte per un certo Diodoro, e da quella Contro Leptine (del 355), che egli stesso pronunziò. Altri progetti finanziarî propose con le orazioni Intorno alle simmorie (del 354) e Sull'ordinamento finanziario (del 351-50). Con l'orazione Per i Megalopolitani (del 353) diede chiaro segno del nuovo programma, proponendo l'intervento di Atene in favore di Megalopoli contro Sparta; per D. allora l'interesse di Atene era che né Sparta né Tebe fossero troppo potenti. Due anni dopo, con l'orazione Per la libertà dei Rodî, D. affermava la necessità di un intervento ateniese a Rodi in favore dei democratici locali contro gli oligarchici favorevoli alla Persia. Dal 350 in poi D., infaticabile, volse ogni sua energia alla difesa contro la Macedonia. Con la Prima Filippica (350) iniziò la lotta contro Filippo II, invitando gli Ateniesi a una politica aggressiva contro di lui. Approvato ma non seguito dagli Ateniesi, quando la Calcidica fu invasa e Olinto minacciata e poi presa da Filippo, D. incitò con le tre Olintiache gli Ateniesi alla difesa. Compresa poi la necessità della pace, si riconciliò con Midia, esponente del partito avverso, contro il quale aveva preparato la famosa orazione Contro Midia intorno alla percossa, a causa di percosse che aveva ricevuto nel 350, quando era corego. Nel 348 entrò nella bulè e fu inviato presso Filippo con Eschine e Filocrate per trattative che portarono alla pace, detta di Filocrate, del 346. Tale pace, che rappresentava in realtà una forma di rinuncia da parte di Atene, D. difese nell'orazione Per la pace, considerandola una tregua per restaurare le forze ateniesi, ma attaccò Eschine come traditore e venduto a Filippo; rinnovò tali attacchi nell'orazione Sulla corrotta ambasceria. È del 344-43 la Seconda Filippica; nel 341, con la Terza Filippica, incitava a preparativi contro Filippo. Così Atene, cui aderivano Bisanzio, Abido, Rodi, Chio, poi Megara, Corinto, l'Acaia, l'Acarnania, Corcira, apprestava la difesa della libertà degli stretti nel Mar di Marmara (cfr. l'orazione Intorno alle cose del Chersoneso), finché si giunse alla guerra contro la Macedonia, quando Filippo assediò Bisanzio. Demostene riuscì a unire in alleanza Tebe con Atene, ma ormai era tardi. A Cheronea, il 1º sett. 338 a. C., Filippo sgominò le truppe collegate delle democrazie greche. D. allora preparò la difesa di Atene; poi, conclusa la pace, lavorò sempre per la riscossa, mantenendo la sua autorità incontrastata presso gli Ateniesi. Ne è prova il processo per la corona, proposta nel 337 da Ctesifonte in premio delle sue benemerenze. Eschine si oppose sostenendo l'illegalità della proposta e l'indegnità di D. a essere incoronato, e quando poi nel 330 la causa fu discussa, D. fece l'apologia della propria opera a favore di Atene nell'orazione Per la corona, il suo capolavoro. Alla morte di Filippo (336), D. rimase ad Atene, aspettando che la città potesse riacquistare l'antica prosperità, fino al 324, quando scoppiò lo scandalo arpalico. D. fu accusato di avere avuto 20 talenti dei 700 depositati sull'Acropoli da Arpalo, il ministro delle finanze di Alessandro, che fuggendo aveva chiesto ospitalità ad Atene. Condannato a una multa di 50 talenti, D., non potendo pagare, fu messo in prigione, ne fuggì recandosi prima a Egina e poi a Trezene. Non si sa quale e quanta fosse la responsabilità di D. nella faccenda di Arpalo; certo è che, richiamato ad Atene alla morte di Alessandro, fece un ritorno trionfale. Ma non riebbe più il prestigio di un tempo e quando Antipatro, vinti gl'insorti greci a Crannone, pretese la consegna degli oratori antimacedoni, D., come Iperide, fu condannato a morte. Fuggì nel tempio di Posidone a Calauria dove, per non cadere in mano dei sicarî di Antipatro, si uccise col veleno (ottobre 322 a. C.). Dei 61 discorsi demostenici a noi giunti, 35 sono comuni azioni giudiziarie, di cui alcune di dubbia autenticità. Dei discorsi epidittici sono spurî l'Epitafio e l'Erotico. Delle orazioni politiche sono forse spurie la Quarta Filippica e Sul trattato con Alessandro. Sono nel corpus demostenico 56 proemî di orazioni, alcuni dei quali autentici, e 6 lettere del periodo dell'esilio, non tutte autentiche (la 2a è certo spuria).