Poeta e critico greco (Patrasso 1859 - Atene 1943). Movendo dalla cosiddetta Nuova scuola ateniese, sorta in opposizione alla poesia romantica, usò in prosa e in poesia la lingua popolare sull'esempio dei canti popolari, del Balaōrítēs e della scuola delle Isole Ionie (che egli mise in onore) e divenne il capo dei malliaristi. Ebbe grande predilezione per Sully-Prudhomme e per i parnassiani; e la sua poesia da descrittiva e sentimentale qual'era in origine diventa più individuale e più intima, una poesia di idee, velate talvolta di un simbolismo oscuro. P. è il più originale dei poeti della Grecia moderna, e la sua fama ha varcato i confini della patria.
Nato da famiglia originaria di Missolungi. Passato ad Atene per studiare giurisprudenza, P. si dedicò al giornalismo e alla poesia. Sensibile alle correnti di pensiero e alle poetiche europee del secondo Ottocento, condusse una vita appartata, lavorando come segretario nell'Università di Atene. Nel 1926 divenne membro dell'Accademia di Atene.
Esordì con Τὰ τραγούδια τῆς πατρίδος μου («Le canzoni della mia patria», 1886), nelle quali si avverte la volontà di opporsi alle banalizzazioni del romanticismo allora imperante in Grecia, con un forte richiamo alle tradizioni demotiche, nonché alla lezione di D. Solomòs. La dichiarata fede nella Grecia perenne, le tensioni di un pathos dilagante, l'accensione dei toni lirici generano spesso nella poesia di P. ridondanza e non poche oscurità, soprattutto là dove indulge alle suggestioni del parnassianesimo (῎Υμνος τῆς ᾿Αϑηνᾶς «Inno ad Atena», 1889) o del simbolismo (Τὰ μάτια τῆς ψυχῆς μας «Gli occhi dell'anima», 1892). Più limpida l'ispirazione di ῎Ιαμβοι καὶ ᾿Ανάπαιστοι («Giambi e anapesti», 1897), che preludono alla equilibrata musicalità delle raccolte più mature (Οἱ καημοὶ τῆς λιμνοϑάλασσας «I rimpianti della laguna», 1912; ῾Η πολιτεία καὶ ἡ μοναξιά «La città e la solitudine», 1912). La fama di bardo gli fu assicurata da poemi di ampio respiro (῾Ο δωδεκάλογος τοῦ Γύϕτου, «Il dodecalogo dello zingaro», 1907; ῾Η ϕλογέρα τοῦ Βασιλιᾶ «Il flauto del re», 1910) ispirati dall'ansia di riscatto per il suo paese, di cui rievoca episodi gloriosi. Le ultime raccolte (῾Ο κύκλος τῶν τετράστιχων «Il ciclo delle quartine», 1929; Οἱ νύχτες τοῦ Φήμιου «Le notti di Femio», 1935) segnano l'abbandono della magniloquenza epica a favore di toni più intensamente drammatici. L'opera poetica, i pochi racconti, un dramma in versi (Τρισεύγενη, 1903; trad. it. Trisèvieni in Teatro neoellenico, 1962), i numerosissimi saggi critici e letterari (quasi tutti impegnati nella difesa della lingua volgare), gli scritti d'occasione sono riuniti in ῎Απαντα («Tutte le opere», 17 voll., 1962-69).