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Marco Aurèlio

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Imperatore romano (Roma 121 d. C. - Vindobona o Sirmio 180). Figlio di Marco Annio Vero e di Domizia Lucilla, alla morte del padre fu adottato dall'avo paterno Marco Annio Vero, che si occupò della sua educazione. Studiò lettere latine e greche, scienze giuridiche, eloquenza (per la quale ebbe come maestro Frontone), filosofia e pittura. Attratto specialmente dagli studî filosofici, seguì le dottrine stoiche, e di queste volle praticare, nonostante la delicatezza della sua costituzione fisica, tutta l'austerità. Molto apprezzato da Adriano, fu, per volontà di questo imperatore, adottato dal suo successore Antonino Pio, insieme a Lucio Vero. Nel 139 fu nominato Cesare; nel 140 e nel 145 fu console. Sposò Faustina (figlia di Antonino Pio), che amò sempre devotamente e dalla quale ebbe 13 figli. Nel 146 ebbe la potestà tribunizia e l'imperio proconsolare. Successe ad Antonino Pio nel 161, e volle condividere l'impero col fratello di adozione Lucio Vero. Si ebbero così per la prima volta due imperatori. L'impero di M. A. si svolse tra continue difficoltà: una rivolta in Britannia (162), le irruzioni dei Catti, le questioni del Danubio e del confine dei Parti. La guerra contro i Parti, che avevano invaso l'Armenia e la Siria, fu affidata a Lucio Vero (161-165): i Parti furono ricacciati, l'Osroene fu annessa alla Cappadocia e Carre divenne colonia romana; M. A. e Lucio Vero trionfarono a Roma (166). Pericolo più grave per l'Impero fu l'irruzione di tribù germaniche, formate soprattutto da Quadi e da Marcomanni, sulla linea danubiana, che riuscirono anche a valicare le Alpi, penetrarono nel Veneto e assediarono Aquileia. In Oriente la peste decimava le file dell'esercito, altri barbari irrompevano fino in Acaia e in Asia Minore. L'imperatore affrontò la delicata situazione con serena fermezza: apprestati ingenti mezzi finanziarî, per i quali ricorse anche alla vendita all'asta dei tesori dei palazzi imperiali, costituì nuove legioni. I Germani furono respinti e battuti in Pannonia, nella Rezia, nel Norico (167). Nel 169, morto Lucio Vero, M. A. rimase unico imperatore; ripresa la campagna contro i Germani, pose il suo campo a Carnunto, sopportando coraggiosamente le fatiche della guerra: nel 170 e nel 171 furono battuti i Quadi, nel 172 (dopo un'iniziale sconfitta subita da Macrinio Vindice) furono vinti i Marcomanni; intanto veniva domata una rivolta in Egitto e un'irruzione di Mauri in Spagna. Nel 173 M. A., posto il campo a Sirmio, riprese la lotta contro i Marcomanni; nel 174 furono vinti gli Iazigi, nel 175 M. A. concluse la pace a causa dell'inaspettata usurpazione di Avidio Cassio, che fu subito risolta con l'uccisione di questo. Nel 175 e nel 176 fu in Oriente, dove gli morì la moglie Faustina; tornato a Roma, celebrò il trionfo sui Germani (176), e unì nell'impero il figlio Commodo (177). Ma nello stesso anno i Marcomanni insorsero nuovamente: la guerra fu difficile, soprattutto per la peste, di cui rimase vittima anche l'imperatore nel campo di Sirmio o di Vindobona. Nella politica interna M. A. si dimostrò deferente verso il senato e ne desiderò la collaborazione; alle difficoltà finanziarie (dovute specialmente alle spese militari) fece fronte con una oculata amministrazione e con la semplicità della corte imperiale; ispirò la sua opera legislativa a sentimenti di umanità, reprimendo gli abusi di autorità, curando la tutela dei minori, stabilendo norme più benevole verso gli schiavi. Nel suo spirito conservatore fu avverso ai cristiani, e durante il suo impero si ebbero persecuzioni, sebbene non a lui imputabili. ▭ Dell'aspetto fisico di M. A. abbiamo testimonianza da numerose statue e ritratti (fra cui sono da ricordare il busto aureo proveniente da Avenches e la statua equestre in bronzo un tempo dorato, collocata fino al 1538 davanti a S. Giovanni in Laterano e in quell'anno posta nella piazza del Campidoglio; rimossa nel 1981 per un accurato restauro, dal 1990 la statua è conservata nei Musei Capitolini). Di grandi monumenti che ne celebrino le gesta ricordiamo, oltre la Colonna Antonina, i grandi rilievi poi inseriti nell'arco di Costantino, l'arco di Tripoli e un monumento a Efeso.

Il pensiero filosofico. - Di M. A. abbiamo una specie di diario, i Colloquî con sé stesso (Τὰ εἰς ἑαυτόν, divisi poi in 12 libri), noti nella traduzione italiana col titolo di Ricordi; esso è il documento dell'intuizione del mondo di M. A., che è quella del tardo stoicismo, principalmente rappresentato, oltre che dallo stesso M. A., da Seneca e da Epitteto. Il pensiero di M. A., che dipende più direttamente da quest'ultimo, è tutto permeato dall'ideale dell'"adiaforia". Temperamento meno energico e sistematico di Epitteto, egli lascia intravvedere assai più palesemente le antinomie intrinseche a quell'ideale, e la sua riflessione ne assume non di rado un tono di scetticismo e pessimismo. Tipico a questo proposito è il modo (che costituisce insieme il più notevole dei non molti tratti originali del suo stoicismo) in cui egli riprende la concezione eraclitea del perpetuo flusso delle cose, sentendovi in primo luogo l'inevitabile dissoluzione di ogni realtà. Ciò corrisponde, del resto, alla viva angoscia che lo assale di fronte al problema della morte, e che lo ravvicina sentimentalmente al platonismo, non del tutto estraneo anche ad alcune sue deviazioni dalla classica psicologia stoica, come quella per cui egli distingue nettamente il νοῦς, l'intelletto, dal complesso psicofisico della ψυχή e del σῶμα, dell'anima e del corpo. Ma tale separazione non lascia adito in M. A. all'idea dell'individuale immortalità dell'anima. Di qui l'incertezza di M. A. di fronte al problema della sopravvivenza, e la sua intima tendenza a rifugiarsi piuttosto nella meno luminosa ma anche meno incerta idea dell'insensibilità, con cui la morte affranca da ogni dolore. Idea che, originariamente socratica, era stata poi pienamente valutata e messa in luce dall'epicureismo: anche in M. A. si può quindi constatare la singolare coincidenza di alcuni motivi pessimistici del più tardo ascetismo stoico con motivi analoghi di quello epicureo.

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