L’arte di lavorare i metalli nobili e le pietre preziose per farne gioielli, oggetti d’ornamento, d’arredamento o di culto.
I metalli che sono impiegati nella fabbricazione degli oggetti di o. sono oro, argento e platino. Il platino è sempre usato puro; l’oro e l’argento invece sono usati quasi sempre alligati, poiché la loro duttilità allo stato puro ne rende difficile la lavorazione. L’argento è alligato con rame per ridurlo ai diversi titoli (in genere 900 e 800 millesimi). L’oro è alligato con argento, rame, nichel, zinco, palladio, secondo i diversi colori che si vogliono ottenere. L’oro alligato con solo argento diventa verde; con rame e argento, roseo; con nichel, zinco e palladio, bianco. La quantità di metallo nobile presente nella lega equivale al titolo; i titoli legali sono: 750, 585, 375 millesimi, abitualmente indicati rispettivamente con 18, 14, e 9 carati. Le varie leghe hanno diversa malleabilità; tutte però possono essere ridotte in lastre e in fili sottilissimi. Per conoscere il titolo dei vari metalli preziosi si ricorre ai cosiddetti assaggi chimici.
La lavorazione dei gioielli si può dividere in 3 parti: preparazione del metallo, riproduzione degli oggetti e rifinitura. La preparazione del metallo comprende 3 operazioni: fusione, getto, laminazione. La fusione, per la quale si utilizzano principalmente forni a induzione elettrica, si compie in crogioli di terra refrattaria o grafite, aggiungendo ai metalli del borace come materiale fondente. La lega fusa è versata nelle staffe di ferro, di forma adatta secondo che si vogliano ottenere fogli o fili, preventivamente riscaldate e ingrassate. In seguito i lingotti, dopo opportuni trattamenti di ricottura, passano ai vari laminatoi, di sgrossamento e di finitura. Gli oggetti d’oro possono essere lavorati a mano, partendo dai fogli o dai fili, con gli stampi o con la lima, la sega e i bulini; nel corso del 20° sec., però, sempre più frequentemente si è passati a realizzare molti gioielli attraverso l’uso di vari tipi di macchinari. I gioielli lavorati si completano poi con cesellature o incisioni o incassature di pietre preziose. Per la rifinitura si compiono 3 operazioni, imbianchimento, polimento e coloritura. L’imbianchimento consiste nel togliere l’ossido dalla superficie dell’oggetto, ciò che si ottiene mediante decapaggio o mediante ultrasuoni. Il polimento serve a eliminare i segni lasciati dagli utensili e a lucidare il gioiello: si usa il tornio con spazzole o ruote di feltro. La coloritura serve a dare all’oggetto il vero colore dell’oro o dell’argento che aveva perduto per la presenza del rame: si effettua o facendo bollire gli oggetti in un bagno di salnitro, sale e acido cloridrico e lavando poi con potassa caustica, oppure, per piccoli oggetti, facendo la doratura galvanica. La lavorazione dell’oro e di altri metalli preziosi si distingue per la specificità della materia, che possiede intrinseche qualità di bellezza, duttilità e inalterabilità, esaltate anche attraverso specifiche tecniche (agemina; damaschinatura; incisione; niello; sbalzo ecc.).
Antichissima la lavorazione a filigrana, che si basa sull’uso di sottili fili compositivi, lisci o granulati, di forte valore decorativo; dalle o. egee, si diffuse in Oriente e in Occidente, fino a conoscere un periodo di particolare fioritura a Venezia nel 17° secolo.
Origini e antichità. - Piccoli ornamenti d’oro, lavorati con rudimentali martelli di pietra, sono stati rinvenuti già in età neolitica nei dolmen, e nelle allées couvertes di Francia (grotta del Castellet) e in tombe egiziane del 5° millennio a.C. Fin dagli inizi del 3° millennio gli orafi egiziani danno prova di possedere grande abilità tecnica e gusto per gli effetti cromatici, ottenuti con l’accostamento all’oro di pietre di colori diversi (tombe di Abido e di Giza). Ma i migliori pezzi di o. della metà del 3° millennio provengono dalla Mesopotamia: una produzione caratterizzata da una tecnica avanzata, dalla policromia e dall’uso delle incrostazioni (necropoli della I dinastia di Ur).
Nel 2° millennio a.C. un importante centro per la lavorazione dei metalli diviene il Caucaso (Majkop). In Cappadocia sono da segnalare i reperti provenienti da Alaça. Evidenti affinità con il mondo egeo presentano sia gli oggetti rinvenuti a Troia sia l’o. egiziana, che in questo periodo si sviluppa e si arricchisce di forme e di materiali, subendo anche l’influsso di oggetti di fattura sira e fenicia (tesoro di Tod, tomba di Tutankhamon).
La lavorazione dell’oro raggiunge altissimi livelli a Micene, mentre la produzione della Grecia continentale è di livello modesto e artigianale. Più ricca e sontuosa è l’o. persiana, che produce soprattutto gioielli e vasellame. Nelle regioni limitrofe ai mondi greco e persiano vengono create opere di carattere misto (tombe del Kuban´ e della Crimea). Molto raffinati sono i prodotti fortemente ellenizzati della Magna Grecia, dove fiorirono diversi centri, specialmente tarantini e campani.
In Etruria la lavorazione dei metalli preziosi è testimoniata già dal 9° sec. a.C. per gli ornamenti personali, e conserva una varietà ininterrotta di modelli e di stili fino al 3° sec. a.C. (tomba Regolini Galassi a Cerveteri; bracciali di Vetulonia). Il clima politico e sociale della Roma repubblicana era poco favorevole al diffondersi del lusso, ma il contatto con le ricchezze della Magna Grecia e dei paesi del Mediterraneo orientale fece sì che vi abbondasse l’o., quasi priva però di motivi sviluppati originalmente.
Dalla tarda antichità al Rinascimento. -È difficile ricostruire una linea di sviluppo dell’o. nella tarda antichità e in età paleocristiana. Le o. note sono state rinvenute in Europa e nel Vicino Oriente; quelle di maggiore qualità provengono spesso da Costantinopoli. Argenti pregiati sono lavorati nella Russia meridionale, nella regione di Perm´ e sulle coste del Mar Nero (San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage). Tra gli arredi sacri, notevoli le grandi croci portatili di Ravenna (Museo nazionale), di S. Pietro a Roma e le croci reliquiario del Sancta Sanctorum. Costantinopoli e le regioni a essa legate uniscono influenze orientali all’antica tradizione: si conservano vasi, piatti e vassoi (missoria) istoriati (missorium di Teodosio I, fine 4° sec., Madrid, Academia de la historia; patena di Stuma, 565-578 ca., İstanbul, Arkeoloji Müzerleri), cofanetti (cassetta nuziale di Secundus e Proiecta, 379-383 ca., Londra, British Museum). Dal 4° sec. si accentua la dissoluzione della forma attraverso il contrasto chiaroscurale, per es. con la tecnica dell’incavo obliquo (pendaglio con il ritratto di Onorio, Parigi, Cabinet des médailles) o del traforo (collana e medaglione con Annunciazione, 6°-7° sec., Berlino, Gemäldegalerie).
Alla tecnica a traforo si unisce la decorazione con pietre policrome: caratteristica della tarda antichità, originata forse in Oriente, si diffuse, attraverso i popoli barbarici, fino nel Nord della Germania, quindi in Italia. Le pietre sono incastonate a cabochon o incorniciate con filigrana. Questa tecnica si sviluppa nell’Alto Medioevo, si perfeziona in epoca merovingia e poi in età ottoniana e romanica. Longobardi e Visigoti assimilano la tradizione locale, oltre all’influenza dell’arte orientale. Caratteristica dei Germani è l’ornamentazione zoomorfa; nei paesi anglosassoni e scandinavi l’uso dell’intaglio obliquo ne accentua l’astrazione (tesoro di Sutton Hoo, 654-655 ca., Londra, British Museum). Scrittori, come Gregorio di Tours, citano ricchissimi doni di o. offerti da principi e da vescovi; notevoli il calice con patena intarsiata d’almandino del re borgognone Sigismondo (524 ca., Parigi, Cabinet des médailles). In epoca carolingia le scuole di corte impongono uno stile fortemente classicheggiante. I motivi iconografici si ricollegano a esempi paleocristiani e si ripercorrono tecniche antiche. Capolavori sono l’altare d’oro di Vuolvinio in S. Ambrogio a Milano (824-859 ca.) e l’altare portatile di Arnolfo (870 ca., Monaco, Schatzkammer).
Poco è noto dell’o. bizantina, distrutta dagli iconoclasti, dai saccheggi dei crociati e dei Turchi; persiste la tradizione formale antica, accanto a elementi persiani. La pala d’oro di S. Marco a Venezia rivela la lunga collaborazione tra orafi bizantini e veneziani. L’o. ottoniana risente dell’influenza bizantina e carolingia, esaltando il valore simbolico delle immagini e dell’uso di pietre e cammei antichi. Eccelle la scuola di Treviri (reliquiari del piede di s. Andrea, Treviri, duomo; del santo chiodo e del bastone di s. Pietro, Limburg an der Lahn, duomo). Altri centri importanti sono Aquisgrana, Colonia, Essen e Hildesheim.
Nel mondo islamico l’uso dell’o. è limitato da fattori religiosi; sono però diffusi i recipienti per libagioni divine e altre suppellettili. In età romanica, con la diffusione dei nuovi ordini religiosi, si abbandona la ricca o. destinata a privati o abbazie per oggetti più economici, forniti dalle officine di Limoges (12°-13° sec.) e da altri centri specializzati. Massimi centri sono, nel 12° sec., le regioni della Mosa e del Reno; alla fine del secolo in ambiente mosano si afferma Nicola di Verdun (reliquiario di Maria, 1205, Tournai, cattedrale). In Italia meridionale nel 10° e 11° sec. è forte l’influsso dell’o. bizantina, ma vi sono anche importanti scuole locali a Montecassino e in Sicilia, a Palermo durante la dominazione normanna (stauroteca, Cosenza, arcivescovado).
La scuola lombarda ha caratteri regionali marcati (coperta d’evangeliario di Ariberto da Intimiano, 1018-54, Milano, Tesoro del Duomo); in Umbria si ricorda il paliotto della cattedrale di Città di Castello (metà 12° sec.); in Abruzzo si producono croci processionali, in rame sbalzato e dorato, di iconografia bizantina. Fra 13° e 14° sec. l’o. francese è di grande raffinatezza; di rilievo è la personalità di Ugo di Oignies che traduce nelle filigrane lo stile gotico. Importante è l’o. senese per il repertorio architettonico gotico e per l’invenzione dello smalto traslucido: Guccio di Mannaia (calice di Niccolò IV, 1290, Assisi, tesoro di S. Francesco); Ugolino di Vieri (reliquiario del Sacro corporale, 1337-38, Orvieto, duomo).
Dal Rinascimento al 20° secolo. - Le forme gotiche permangono per tutto il 15° sec., specie negli arredi sacri. Un tipo di croce da altare o processionale si diffonde specie in Abruzzo, dove è attivo Nicola da Guardiagrele (croce del 1434, L’Aquila, Museo diocesano). Un recupero dell’antico si osserva invece nella croce d’argento per il battistero di Firenze (1460 ca., A. Pollaiolo e aiuti, Museo dell’Opera di S. Maria del Fiore).
Nel corso del secolo si perfeziona la tecnica del niello e degli smalti (rivestimenti d’altare della cattedrale di Teramo); alla fine del 15° sec. appare a Venezia il chiaroscuro d’oro su smalti a fondo blu o bianco opaco. A questi anni risale la tecnica dello smalto dipinto su rame, che fiorirà a Limoges. Anche in Germania l’o. subisce l’influenza dall’architettura gotica, costante fino al 16° sec., mentre si sviluppa la lavorazione a sbalzo.
Nel 16° sec. l’o. ha notevole incremento, grazie alle commissioni di sovrani e papi. L’o. del manierismo associa varietà di forme a ricchezza di mezzi tecnici e commistione di materiali diversi, ricercati o preziosi; la figura dell’orefice è strettamente legata a quella dello scultore (B. Cellini, saliera di Francesco I, 1540-43, Vienna, Kunsthistorisches Museum). In Francia, sotto Francesco I, l’o. guarda all’antico, con preferenza per le forme architettoniche. L’o. inglese, influenzata da quella francese, predilige forme archi;tettoniche equilibrate e un repertorio decora;tivo classico.
Nel barocco l’o. assume ca;rattere rappresentativo e decorativo, con disegni spesso forniti da grandi artisti (A. Algardi, G.L. Bernini, P.P. Rubens ecc.).
È da ricordare anche l’o. ebraica che, nonostante le enormi distruzioni subite, conserva notevoli arredi liturgici.
Con l’età di Luigi XIV, l’arte francese domina il gusto europeo; nel 18° sec. l’o. francese si caratterizza per fantasia e capriccio, nel gusto rocaille (centrotavola di Claude Ballin il Giovane, 1724-28, San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage). Un’originale o. tedesca, precoce esempio di assimilazione del repertorio orientale, è il grande centrotavola intitolato La corte di Delhi nel giorno del genetliaco del Gran Mogol Aurangzeb, di J.M. Dinglinger, per Augusto di Sassonia (1701-08, Dresda, Grünes Gewölbe Museum). Nel 18° sec. si afferma l’o. russa, che contamina tecniche e motivi bizantini e orientali con forme occidentali. Durante il neoclassicismo in tutta Europa le creazioni di o. sono caratterizzate da semplicità, misura, simmetria.
Verso la fine del 18° sec. in Gran Bretagna e in Francia si cominciano a usare mezzi meccanici; sorge un’arte industriale regolata da leggi economiche di produzione e concorrenza. Nuovi processi di riproduzione, l’uso del plaqué o doublé (rame argentato), la diffusione della porcellana, determinano una crisi del settore. Interrotta per la Rivoluzione, l’o. francese si riafferma con Napoleone (tiara per Pio VII di É. Nitot, 1803-04, Musei Vaticani), per scadere al ritorno dei Borbone. Gli artigiani italiani subiscono l’influsso dello ‘stile impero’ (G. e P. Belli). In Russia è in voga lo smalto policromo e alla fine del sec. 19° C. Fabergé realizza personalissimi gioielli spesso privi di funzione pratica (uova di Pasqua). Fabergé è il primo a creare, attraverso una rete di filiali, un nuovo modello commerciale, fornendo il prototipo organizzativo ai futuri grandi commercianti di gioielli: Cartier a Parigi, Garrand a Londra, Tiffany a New York.
Sul finire del 19° sec. e con le esposizioni universali di Parigi (1900) e di Torino (1902) si afferma in Europa l’art nouveau; importanti i lavori di R. Lalique, attenti al valore estetico più che alla preziosità del materiale. Dagli anni 1920 a una produzione commerciale legata a grandi case si affianca un’o. spesso artigianale vicina alle ricerche formali delle avanguardie (o. su disegni di M. Ernst, A. Calder, Arnaldo e Giò Pomodoro, H. Hollein).
In Asia, sotto l’influsso delle tecniche indiane, cinesi e giapponesi, si sviluppò un’o. originale: bottoni cesellati o adorni di pietre preziose e orecchini come distintivo di rango nel Tibet; spille a farfalla e bocchini d’oro e d’argento tra i Lolo, i Miao e gli Shan ecc. In Africa notevoli sono i gioielli abissini in filigrana d’argento dorato e i pesi per la polvere d’oro degli Ascianti e dei Baulè, con rappresentazioni naturalistiche. Nella lavorazione dell’oro eccelsero le antiche civiltà messico-andine: famose le teste d’aquila che gli Aztechi davano in premio ai guerrieri valorosi, i pettorali a disco del Perù, le maschere d’oro dei Chimú, i gioielli dei Mochica e Colombiani.