(gr. Αἰνείας; lat. Aenēas) Mitico eroe della Troade, e più tardi del Lazio, le cui gesta occupano una parte notevole nell’Iliade e costituiscono il soggetto dell’Eneide. Nato sul monte Ida, da Afrodite e da Anchise, fu uno dei più forti difensori di Troia. Caro agli dei per la sua pietà, Zeus, Afrodite e Posidone lo salvarono dalle mani nemiche. I poemi del ciclo epico narravano che E., dopo la distruzione di Troia, aveva fondato sull’Ida un nuovo regno troiano. Secondo una tradizione più recente E. si sarebbe invece recato in Occidente, e avrebbe fondato sulla costa della Macedonia la città di Ainèia (sul golfo Termaico, presso l’odierno capo Karavurnù). Secondo un’altra leggenda, forse di origine cumana, E. approdò direttamente sulle coste d’Italia, come appare nella Tabula Iliaca capitolina. Secondo leggende minori, per lo più connesse a toponimi locali, E. sarebbe andato in Arcadia, in Sardegna, e in Sicilia avrebbe fondato Segesta e il tempio di Venere Ericina.
La leggenda conduce quindi E. nel Lazio, come prima di lui Ulisse. La versione dell’arrivo di E. nel Lazio e dell’origine troiana di Roma fu diffusa principalmente da Timeo; per la maggior parte delle fonti l’eroe sarebbe approdato a Lavinio (➔ Lavinia). La leggenda, anche per le condizioni politiche di Roma nel 3° sec. a.C., prevalse ed ebbe valore ufficiale. Nel Lazio E. combatte contro il re Latino o viene invece da lui accolto pacificamente; ne sposa la figlia Lavinia, ma Turno, a lei già promesso sposo, con l’aiuto di Mezenzio gli muove guerra. In una battaglia sulla riva del Numico, Turno cade, E. scompare ed è adorato dai Latini come Giove Indigete. Sembra introdotto da Nevio, ripreso poi da Virgilio, l’episodio del soggiorno di E., prima di giungere nel Lazio, a Cartagine, dove la regina Anna (poi Didone), innamorata di lui e da lui abbandonata, si sarebbe data la morte.
La figura di E. ritorna, durante l’età tardoantica e il Medioevo, in tutte le riprese del poema virgiliano. Così Avieno (fine del 4° sec.) ne compendiò le gesta in versi giambici, mentre Fulgenzio (inizio del 5° sec.) e la letteratura cristiana ne diedero un’interpretazione allegorica; più tardi le letterature romanze la travestirono alla foggia cavalleresca (Roman d’Énéas, 1160 circa), ovvero trassero dalle sue vicende esempi e insegnamenti morali (I fatti di Enea, di frate Guido da Pisa, 14° sec.). Nel Rinascimento essa diventa uno dei modelli ideali della tradizione epico-cavalleresca: e sarà presente all’Ariosto e al Tasso nella figurazione, rispettivamente, di Ruggiero e del ‘pio’ Goffredo di Buglione.
L’arte antica ha raffigurato spesso E. in scene di combattimenti epici (pittura vascolare). Nell’Iliupersis è raffigurato con il padre Anchise sulle spalle e il figlioletto Ascanio per mano: motivo che risale all’arte greca del 6° sec. a.C. e trovò poi varie espressioni in quella del 5° e nell’arte romana. Tra le opere d’arte moderne, celebre il gruppo di Enea e Anchise di G.L. Bernini (Roma, Galleria Borghese).