(lat. Lavinia) Mitica figlia di Latino, sposa di Enea dopo la vittoria su Turno. La leggenda è svolta soprattutto nell’Eneide di Virgilio. Livio la dice madre di Ascanio, Catone di un figlio postumo di Enea, Silvio, capostipite dei re albani.
Secondo la leggenda, Enea diede il nome di L. alla città da lui fondata: Lavinio (lat. Lavinium), posta a 22 km da Roma sul sito dell’od. centro di Pratica di Mare. Fece parte della lega latina (6°-5° sec. a.C.) e probabilmente ottenne la cittadinanza dopo il 338; decadde nel 3° sec. a.C. Si conservano resti di capanne e tombe (10°-7° sec. a.C.); tratti delle mura; due santuari extraurbani; una lamina di bronzo con dedica arcaica (6°-5° sec. a.C.) a Castore e Polluce. Sulla via che conduceva al porto sorgeva il santuario delle XIII are (altari di tufo allineati), cui era connessa una tomba a tumulo, trasformata nel 4° sec. a.C. in heroon di Enea, con la costruzione di una cella dotata di facciata monumentale. Lungo la laguna costiera sorgeva il santuario dedicato al Sol Indiges (materiali votivi datati tra il 5° e il 3° sec.). L’altro grande centro di culto della città, dedicato a Minerva e situato a E, era caratterizzato nel 5° sec. da un’area sistemata a terrazze, con pozzi e probabilmente edificio di culto: da qui proviene materiale votivo datato tra il 7° e il 3° sec. a.C. Altri scavi hanno portato alla luce un lussuoso edificio (4° sec. d.C.) con impianti termali e, probabilmente, i resti del foro, con un tratto di portico dell’inizio dell’età imperiale.