Poeta latino (m. Utica verso il 201 a. C.) della Campania; combattente della prima guerra punica. Autore di palliatae (restano circa 30 titoli), satireggiò, nei modi della commedia attica antica, Quinto Cecilio Metello e Scipione Africano Maggiore, per cui subì il carcere, poi l'esilio a Utica. Scrisse tragedie (tra cui Romulus e Clastidium, primo esempio di praetextae) e il più antico poema nazionale romano (Bellum Poenicum), in versi saturnî, sulla prima guerra punica, nel quale egli riconnetteva le origini di Roma alla leggenda di Enea. Da parte degli studiosi è ammessa la possibilità che N. precedesse Virgilio nell'immaginare una sosta di Enea a Cartagine e l'infelice amore tra lui e Didone, alla quale N. sembra facesse riferimento nel poema (e un discusso frammento è da taluni attribuito a un dialogo fra Didone ed Enea); allo stesso modo differiscono le opinioni circa la posizione della leggenda troiana nel poema (all'inizio o più avanti, come una digressione). Per la geniale fusione tra mito e realtà storica, per il vigore primitivo dell'espressione artistica, il poema fu ammirato dagli antichi e fu d'esempio a Ennio e Virgilio; ne restano brevi frammenti. È anche autore di commedie in cui certo contaminava esemplari greci: nel suo canone dei poeti comici romani Volcacio Sedigito gli assegnò il terzo posto, dopo Cecilio e Plauto.