Musicista (Halle an der Saale 1685 - Londra 1759); figlio di un chirurgo di Halle, studiò dapprima musica con F. W. Zachow, poi (1702-03) iniziò gli studi giuridici all'univ. di Halle, ma, divenuto organista al duomo riformato, si volse decisamente alla professione musicale. Nel 1703 si trasferì ad Amburgo, allora primo centro operistico tedesco, dove poteva contare sull'amicizia di J. Mattheson, ed entrò come violinista nel locale teatro. Già nel 1704 dava una Passione secondo s. Giovanni. Nel 1705 venne in Italia: dapprima fu a Firenze, presso Gian Gastone de' Medici, poi a Roma, ove studiò i classici della musica sacra, imitandoli nei Salmi latini (1707). Passò poi di città in città, applaudito a Firenze con la sua prima opera italiana, Rodrigo, offuscato a Venezia dal trionfo del Mitridate di A. Scarlatti, onorato a Roma (dove in casa Ottoboni fece udire due suoi oratorî, La resurrezione e Il trionfo del tempo e del disinganno) da patrizî e musici, tra cui Alessandro Scarlatti e il figlio Domenico (con il quale gareggiò in virtuosismo all'organo e al cembalo). Per un anno fu a Napoli (1708-09), incontrandovi generali simpatie e dedicando all'Arcadia una bella serenata: Aci, Galatea e Polifemo. Il viceré di Napoli, card. U. Grimani, gli scrisse il libretto di una Agrippina (rappresentata a Venezia nel carnevale 1709-10). L'esito entusiastico gli procurò il posto di direttore d'orchestra alla corte di Hannover, ove restò poco tempo; nell'inverno del 1710 egli era infatti a Londra che, assetata di musica, mancava allora di grandi compositori. In quattordici giorni compose la sua prima opera per Londra, Rinaldo, che suscitò al teatro di Haymarket grande entusiasmo. Riuscì poi a conquistarsi una posizione alla corte inglese, riacquistando il favore di Giorgio di Hannover (suo ex protettore e, dal 1714, re d'Inghilterra) con una Water Music per il corteo reale sul Tamigi e con una nuova opera, Amadigi. Nominato maestro delle principesse, fu da allora protetto dalla corte. Al seguito del re, fu per qualche tempo a Hannover (1716), ove scrisse l'ultima sua pagina tedesca, una Passione su testo di B. H. Brockes. Di ritorno a Londra, fu per tre anni (1717-20) presso il duca di Chandos, per il quale compose i bellissimi Chandos anthems. Prese poi a trattare il genere tipicamente inglese del Masque, forma mista di rappresentazione scenica e di esecuzione oratoria. Primi Masques di H. sono Hamman and Mordecai (poi rimaneggiato e intitolato Esther), tragedia d'afflato biblico, e Acis and Galathea, nuovo idillio pastorale, destinato a esecuzione concertistica. Nel 1720 H. assumeva la direzione di un'impresa teatrale sovvenzionata dal re, l'Accademia d'opera italiana, di cui iniziava la prima stagione al Haymarket con un Radamisto eseguito dai migliori cantanti italiani che egli stesso si era procurato in Germania. In seguito dovette però, per esaudire il pubblico, alternare lavori proprî con quelli di un operista autenticamente italiano, G. B. Bononcini, chiamato espressamente. Non meno di tredici opere diede tuttavia lo stesso H. (tra le quali le bellissime Ottone e Tamerlano) dal 1721 al 1728, anno in cui l'impresa cominciò a perdere prestigio per intrighi e incompatibilità tra cantanti, ma anche per l'effetto prodotto dalla satira The beggar's opera di J. Gay con musica di J. C. Pepush, una "ballad opera" che ironizzava sui vezzi anacronistici dell'opera "seria" del tempo. Il musicista ne uscì tuttavia con onore. Per l'avvento al trono di Giorgio II H. scrisse quattro Coronation anthems; mentre le opere "italiane" si diffondevano in tutt'Europa, riprese contatto in Italia con l'allora fiorentissima scuola napoletana, ne studiò le tendenze già meno virtuosistiche e più drammatiche, ne riportò a Londra nuovi libretti e nuovi cantanti. Così dal 1729 diede altre sei opere, tra cui Ezio e Orlando, con le quali tenne il teatro fino al 1733. Ma neppure i due mirabili oratorî Debora e Atalia riuscirono a impedire il fallimento di questa nuova impresa, né quello di una terza, da lui tentata con nuovi cantanti scritturati in Italia. Dopo un anno di lotta il proprietario del Haymarket cedette il teatro ai concorrenti e H. dovette trasferirsi per sette anni al Covent Garden. Nel colmo di un lavoro così intenso H. fu colpito da paralisi al lato destro (1737). Tornato a Londra dopo una riuscita cura ad Aquisgrana, si rimise al lavoro: nacquero così, tra l'altro, gli oratorî Saul e Israel in Aegypt (diretti dallo stesso H., 1739-40), insieme con le ultime opere teatrali (Giove in Argo, Imeneo e Deidamia) e moltissime pagine strumentali. Ma il pubblico disertava i suoi concerti, la miseria lo minacciava. Mentre pensava di lasciare la Gran Bretagna, trascorse a Dublino qualche mese, dirigendovi, tra l'altro il Messiah, ciclopico oratorio composto proprio in occasione di quei concerti. Gli oratorî si moltiplicarono e, per il sentimento nazionale pulsante in essi, specie nel Judas Maccabäus, conquistarono alfine a H. (naturalizzato britannico dal 1726) la riconoscente ammirazione di tutta l'Inghilterra, dove concluse, insieme con lavori di minor mole, il ciclo della sua produzione (da ricordare, del 1749, la Fireworks Music, scritta per accompagnare lo spettacolo di fuochi pirotecnici celebrativo della pace di Aix la Chapelle). Divenuto cieco nel 1753, si limitò da allora a dettare rare pagine, soprattutto per aggiunte e rimaneggiamenti di opere anteriori. ▭ L'arte di H., ancora più chiaramente di quella di J. S. Bach, può essere vista come lo splendido coronamento conclusivo del Barocco musicale. Spiccano in essa i tratti di un gigantesco eclettismo, abbracciati da uno spirito ardente e autoritario, sospinti da una vena espressiva impetuosa e fastosa. La sua ispirazione si alimenta specialmente alle sorgenti italiane e a quelle tedesche (al Lied popolare e al corale luterano): nell'opera la lezione di A. Scarlatti, nell'oratorio il ricordo di G. Carissimi, nella strumentalità A. Corelli e gli Italiani sono ripresi per nuove espressioni. Temperamento per eccellenza drammatico, creatore instancabile di figure plasmate in forza di melodie, evocatore di popoli in un robusto giro di accordi di espressione corale, egli mira al vario risalto della scena o - nei salmi e negli oratorî - all'immediata evidenza, al colore largo, alla spontanea popolarità dell'affresco. H. non si preoccupa se le proprie assimilazioni vengono allo scoperto, pago di cementarle in sintesi sorprendenti e di travolgerle una dopo l'altra nel flusso della sua feconda vitalità. Più che nella musica strumentale, più che nell'opera - dove pure lascia pagine superbe (limitate però dallo stile dell'epoca metastasiana) - lo slancio intenso, la vastità di invenzione, la gagliardia costruttiva di cui era capace il genio händeliano si rivelano negli oratorî. Qui H. profuse il poderoso respiro, le piene e fulgide sonorità strumentali e corali, la maestà d'accento e la robusta passione che lo rendono interprete sovrano dei testi sacri. La sua musica è fatta di "quadri" di uno stupendo vigore evocativo: soprattutto nei cori egli ha precisione d'impasti, vigore e varietà di atteggiamenti compositivi, virtù di colore e segreti di chiaroscuro che lo apparentano al prediletto Rembrandt. Questa sua musica più grande presuppone l'azione sintetizzante della "parola"; la sua lena titanica non è mai così piena come nell'epopea drammatica: classica o sacra. Oggetto di immutato culto in Gran Bretagna, la figura di H. non ebbe, a differenza di quella di J. S. Bach, a soffrire l'oblio: Haydn, Mozart, Beethoven, i romantici, i musicisti moderni guardarono all'autore del Messiah come a un maestro dell'età barocca al suo apogeo. Dal 1970 H. è stato oggetto di una sempre maggiore attenzione anche in sede operistica.