Musicista (Palermo 1660 - Napoli 1725). Compì gli studî musicali a Roma, forse con B. Pasquini. Nel 1685 passò a Napoli, maestro del teatro di Palazzo Reale e, nel 1689, ma solo per pochi mesi, al conservatorio di Loreto. Qualche tempo dopo era a Firenze, e scrisse opere per il teatro di quella corte. Alla fine del 1702 tornò a Roma, dove sembra essere stato nominato maestro di cappella a S. Maria Maggiore nel 1703-04. Nel 1706 era ricevuto in Arcadia insieme con B. Pasquini e A. Corelli. Nel 1707 fu promosso primo maestro a S. Maria Maggiore, posto che però lasciò già nel 1708 per la direzione della cappella reale di Napoli. Nel 1709 ottenne un congedo e si recò a Roma, dove rimase fino al 1721 componendo per il teatro Capranica. Nel 1722 andò a Loreto, per la cui cappella probabilmente compose due pezzi sacri. Nel 1723 tornò a Napoli, donde non sembra essersi più allontanato. n La sua vasta produzione abbraccia tutti i generi, dal sacro e dal religioso allo strumentale, dal teatrale al vocale da camera: circa 200 Messe, numerosi mottetti e concerti sacri, Stabat, circa 20 oratorî, 661 cantate da camera (600 con basso continuo, 61 con strumenti), 20 serenate, 6 madrigali, 12 sinfonie (per orchestra da camera), sonate a quattro, Suites per flauto e cembalo, toccate, preludî e fughe e altre pagine per clavicembalo, ecc. Più di ogni altro suo contemporaneo ha contribuito alla formazione di quel linguaggio agile e vario, ricco di risorse contrappuntistiche da un lato, armonistiche e melodiche dall'altro, che da ultimo si risolverà nello stile mozartiano. Più che nella musica sacra propriamente detta (Messe, mottetti, salmi, ecc.) la sua arte rifulge in quella religiosa (Stabat, oratorî) e soprattutto nel teatro, dove costituisce una pietra miliare nella storia del melodramma. L'opera teatrale di S. sviluppa l'elemento comico, oltre i limiti di singole scene, nel quadro dello spettacolo intero, e caratterizza tale spettacolo secondo schemi originali; conferisce all'opera seria, soprattutto a partire dal periodo centrale dell'attività creatrice dell'artista, una ricchezza e una profondità di discorso musicale, specie nelle parti orchestrali, che non si trova presso gli operisti del tempo. Non abbiamo ancora, presso di lui, il classicismo dell'opera metastasiana del Settecento col suo ordinato rapporto di recitativo-aria, e piuttosto siamo ancora vicini alla barocca fantasia del Seicento veneziano, ove recitativi, arie e altri sistemi interferiscono e si moltiplicano nel corso di una stessa scena. Così anche manca a S. la cura della caratterizzazione dei singoli personaggi drammatici; ma un vigore, un severo accento drammatico s'intensificano dalle prime opere fino alle ultime, caratterizzando i varî momenti e le varie situazioni. Generalmente l'opera è preceduta da una sinfonia, cui S. imprime normalmente la forma tripartita: Allegro - Adagio - Allegro (e tale forma si dice ancora oggi alla Scarlatti o italiana). I recitativi sono normalmente "secchi" (cioè accompagnati solo dal cembalo), ma nel genere comico si alzano spesso in movimenti d'arioso, e quelli "con strumenti" sanno intervenire nell'azione con intensa efficacia drammatica. Le arie, dove il lirismo di S. si esprime più compiutamente, sono di solito nella forma col da capo (e anche questa forma si usa dire alla Scarlatti) e, dalle prime alle ultime opere, vanno preferendo sempre più l'accompagnamento orchestrale a quello cembalistico, quantunque poi l'orchestra, più che un vero e proprio accompagnamento, vi svolga compiti d'interpunzione e commento. L'orchestra teatrale scarlattiana, basata naturalmente sugli archi, accetta però talvolta anche i fiati: oboi, fagotti, corni, trombe. Come autore di musica strumentale, S. si afferma sia nelle sinfonie, nelle sonate a quattro e in quelle per 2 flauti, 2 violini, viola e ripieno, sia nelle pagine cembalistiche, che, ancora fedeli in massima al contrappunto, ravvivano la dinamica delle linee con un singolare impeto, in virtù del quale si accentua il ritmo e insieme si rinvigorisce l'espressione melodica dei temi. A S. fanno capo i principali compositori teatrali italiani e tedeschi del sec. 18º, e per qualche tempo la stessa scuola veneziana viene a contemperare le sue stilistiche con quelle della scuola napoletana. Caldara, Leo, Feo, Vinci, Hasse e lo stesso Händel possono considerarsi suoi continuatori.