Comune della Campania (119,02 km2 948.850 ab. nel 2020, detti Napoletani), capoluogo di regione e città metropolitana.
Il centro più notevole del Mezzogiorno d’Italia per ampiezza demografica, tradizioni storiche e rilevanza dell’apparato economico, celebrato dall’antichità classica per clima e varietà di panorami e reso poi famoso dal patrimonio archeologico dei dintorni, da collezioni museografiche e insigni monumenti collegati ai fasti della sua storia. N. è disposta in gran parte ad anfiteatro su un’insenatura della costa tirrenica, nella parte più interna del golfo omonimo. Dalle alture più orientali dei Campi Flegrei deborda verso il Piano Campano, verso N, e a SE, verso le pendici vesuviane. La specola di Capodimonte (149 m s.l.m.) si situa a 40° 51′ lat. N e a 14° 15′ long. E. Il clima è mite, con temperature medie annue sui 16 °C. Le precipitazioni (intorno agli 880 mm) si distribuiscono su quasi un terzo dell’anno, con massime in ottobre (mediamente 150 mm) e minime in luglio (10-20 mm). In autunno e inverno sono frequenti i venti di scirocco.
Dopo l’aumento costante della popolazione che ha caratterizzato gli anni 1960 e 1970 (1.226.594 ab. nel 1971), la dinamica demografica della città è stata caratterizzata da processi di contrazione dal punto di vista numerico (1.067.365 ab. nel 1991), e dalla tendenza al decentramento residenziale: fra gli anni 1980 e 1990 si sono infatti accentuate le dinamiche di suburbanizzazione, a vantaggio soprattutto dei comuni della ‘cintura' settentrionale e occidentale; il mutamento della distribuzione della popolazione nell'ambito dei vari quartieri, in parte in seguito alla speculazione edilizia e al terremoto del 1980, ha inoltre progressivamente svuotato il centro storico (con un conseguente invecchiamento dei residenti nelle aree centrali). Gli stranieri residenti a Napoli sono 52.452 (secondo rilevamenti ISTAT del 2016), e rappresentano il 5,4% della popolazione residente.
Le attività economiche locali sono numerose e varie. L’industria siderurgica, chimica e petrolchimica, sviluppatasi in collegamento al porto, ha conosciuto un sostanziale ridimensionamento, con la dismissione dei numerosi complessi industriali a Bagnoli, e con dinamiche di rilocalizzazione di impianti del settore secondario a favore di aree della cintura metropolitana; fra i rami manifatturieri restano caratterizzanti quelli dell’abbigliamento, delle calzature e della pelletteria. La situazione napoletana è caratterizzata anche da una grande diffusione di piccole e piccolissime imprese locali, da una significativa presenza di attività commerciali, e da attività sommerse, anche a causa dell’elevato tasso di disoccupazione, mentre modesto resta l'apporto del terziario avanzato. L’espansione dell’attività crocieristica incrementa il traffico del porto, tra i principali in Italia per numero di passeggeri (7.593.733 nel 2015) e per il traffico merci (20.996,522 t. nel 2015). Il turismo è favorito dal ricchissimo patrimonio storico, oggetto di iniziative di recupero dei monumenti e di una generale rivalutazione delle istituzioni culturali.
La tradizione ricorda la fondazione di N. da parte dei Cumani, ma conserva anche traccia della fondazione di Partenope (Παρϑενόπη) per opera di Rodi. Secondo una plausibile ricostruzione della primitiva storia di N., a un insediamento di Greci dell’Egeo, in particolare Rodi, localizzabile nell’isoletta di Megaride (Castel dell’Ovo) e nella costa antistante, ne sarebbe seguito un altro di Cumani (7°-6° sec. a.C.), che incluse l’altura di Pizzofalcone; la città così fondata sarebbe stata denominata Palepoli (Παλαίπολις «Città antica»). Dopo la sconfitta navale subita dagli Etruschi per opera di Gerone (474 a.C.), fu dato respiro allo spazio urbano con la creazione di nuovi insediamenti (Neapolis) sul declivio verso il mare. Implicata nella seconda guerra sannitica e presidiata da una guarnigione nolano-sannitica, N. aprì le porte ai Romani che con essa conclusero (326) un foedus aequum; rimasta indenne durante la seconda guerra punica, cominciò a decadere per l’accrescersi dell’importanza di Puteoli (Pozzuoli) come porto di Roma; nel 90 a.C. fu ridotta a municipio. Per aver parteggiato per Mario (82 a.C.), subì la repressione sillana che causò l’indebolimento ulteriore dei ceti più attivi, la perdita del ruolo commerciale, l’accentuazione dell’aspetto di luogo di otia per l’alta società romana, attirata dalla mitezza del clima, dal paesaggio e dalla sua dislocazione ad anfiteatro sul mare. Sotto l’imperatore Claudio divenne semplice colonia.
Disputata fra Goti e Bizantini, dal 553 restò a questi ultimi, sotto il controllo di un duca con potere militare e civile. Il duca-vescovo Stefano II (755-800), di fronte al tentativo di Bisanzio di riunire in un solo tema l’Italia meridionale, rese autonomo il ducato di N., che oltre alla città comprendeva Cuma, Pozzuoli, Sorrento (poi indipendente) e la Terra di Lavoro. Il duca era sostenuto da un ceto mercantile che aveva garantiti i propri commerci dalle lotte del duca contro Longobardi e Saraceni. Nel 10° sec. N. fu elevata a sede metropolitana. Ma nello stesso secolo ebbe inizio la decadenza del ducato, segnata dalla temporanea sottomissione, nel 955, a Bisanzio, e nel 1027-29 o 1030, ai Longobardi di Capua. Sergio IV (1003 o 1004-1034) riuscì a riprendere il ducato, aiutato dal normanno Rainolfo I Drengot, al quale concesse il feudo di Aversa (1030), inizio della signoria normanna, ben presto minacciosa. Nel 1077-78 N. subì un assedio da parte dei Normanni; nel 1137 il duca Sergio VII (1120-37) dovette sottomettersi ai Normanni.
Anche sotto il governatore normanno (Compalazzo) N. conservò una relativa autonomia e tornò a fiorire. La città si oppose a Enrico VI di Svevia e perciò ottenne privilegi da Tancredi, ma, occupata definitivamente dal re svevo (1194), ebbe demolite le mura. Con Federico II, l’istituzione dello Studio (1224), presto famoso, le conferì prestigio, il che non bastò a guadagnare al re svevo le simpatie dei Napoletani, ostili al fiscalismo regio: di qui ribellioni, assedi, distruzioni, esili, alternati a due brevi periodi di reggimento comunale sotto la tutela di papa Innocenzo IV.
Seguì poi il dominio angioino (1266-1441), durante il quale, dopo i Vespri Siciliani (1282), N. divenne anche, di diritto, capitale del Regno, raggiungendo, verso il 1340, i 60.000 abitanti, fra cui già un grosso proletariato miserabile, prima origine dei futuri lazzari; popolazione rappresentata molto disparatamente (un ‘eletto’ del popolo contro cinque della nobiltà) nei cosiddetti seggi riuniti nel Tribunale di S. Lorenzo.
Travagliata da assedi ed epidemie nelle lotte fra i pretendenti angioini, nel 1441 passò sotto l’erede designato Alfonso d’Aragona e rimase fedele a lui e ai suoi successori. Raddoppiata la popolazione (ca. 100.000 ab.) per l’affluirvi di provinciali del Regno, mercanti italiani e stranieri, gentiluomini, guerrieri, funzionari, letterati, esuli bizantini, Ebrei, la città visse il suo periodo più splendido. Schiacciata dal dominio di Carlo VIII di Francia, cadde dopo una restaurazione aragonese sotto la Spagna (1503), che ne fece il capoluogo di una provincia sotto il governo di un viceré. L’enorme addensarsi della popolazione, specie per l’immigrazione di un numeroso proletariato provinciale, impose già allora il problema demografico ed edilizio, cui i viceré cercarono di dare soluzione (nuove strade, edifici pubblici ecc.); ma la terribile pestilenza del 1656, che dimezzò la popolazione, rinviò il problema. Accanto alla vecchia e nuova aristocrazia, veniva emergendo una nuova borghesia di mercanti, appaltatori, funzionari, legali.
Seguì nella seconda metà del 17° sec. un elevamento anche culturale della borghesia (cartesianesimo), invano osteggiato dagli ecclesiastici, mentre i nobili appoggiavano l’idea di un regno autonomo asburgico che si ebbe effettivamente, dal 1707 al 1724, ma sotto veste di dominio austriaco, finché con Carlo di Borbone N. tornò capitale di un regno autonomo. Carlo e il successore Ferdinando IV diedero grande impulso alla città, assecondati dal ceto colto, che reclamava e otteneva riforme. Ma, rottosi per effetto delle idee rivoluzionarie francesi l’accordo fra ceto colto e monarchia, N. vide la fuga della corte borbonica davanti alle truppe di Championnet, invano combattute dai lazzari, e la proclamazione (24 gennaio 1799) della Repubblica napoletana, vissuta fino al 13 giugno 1799 e seguita da orribili repressioni, uccisioni, condanne, esili, confische. Il 16 febbraio 1806, con il ritorno dei Francesi, il regno passò a Giuseppe Bonaparte, poi a Gioacchino Murat, rinnovandosi nei monumenti civili, nelle istituzioni politiche, economiche ecc.
Avvenuta la restaurazione borbonica (maggio 1815), N. fu nuovamente sconvolta dalla rivoluzione carbonara del 1820 e presidiata da reparti austriaci (1821-27). Nel quinquennio 1815-20, e fino all’avvento di Ferdinando II (1830), si ebbe una ripresa del progresso materiale della città; la frattura fra monarchia e classe colta si approfondì insanabilmente dopo la crisi del 1848. L’entrata a N. di G. Garibaldi (7 sett. 1860) segnò la caduta della monarchia borbonica.
Entrata a far parte dell’Italia unitaria, N. conobbe una notevole ripresa culturale (la scuola hegeliana, F. De Sanctis, i due Spaventa, B. Croce) e una lenta ripresa materiale, pur fra le piaghe, difficilmente eliminabili, dell’affollamento urbano, dell’analfabetismo, della delinquenza, della camorra, delle epidemie; mali combattuti e in parte sanati con provvedimenti vari (sventramenti edilizi, istituzioni popolari, acquedotti, incremento del porto e delle industrie).
Durante la Seconda guerra mondiale la città fu colpita da oltre 120 bombardamenti aerei e gravemente danneggiata; fu occupata dagli Alleati il 1° ottobre 1943, dopo che quattro giorni d’insurrezione popolare (quattro giornate di N.) avevano imposto la capitolazione al presidio tedesco. Il 15 aprile del 1944 il Prefetto, Francesco Selvaggi, nominò il giurista Gustavo Ingrosso alla guida dell'amministrazione cittadina, con il beneplacito del Governo Militare Alleato. Ingrosso, primo sindaco dopo la liberazione della città, esponente del Partito del Lavoro, fu scelto in virtù del suo passato antifascista e per le sue competenze di diritto amministrativo; si dimise nel settembre 1944 quando fu nominato presidente della Corte dei Conti. Dopo le dimissioni di Ingrosso, si manifestarono dei contrasti in seno ai partiti del Comitato Liberazione Nazionale che portarono alla nomina del commissario Giuseppe Fucci. Un’intesa fu trovata all’inizio del 1945 sul nome di Gennaro Fermariello, del Partito d’Azione, che svolgeva la funzione di Presidente del CLN. La giunta Fermariello, che era espressione di tutti i partiti del CLN, si trovò ad affrontare una drammatica situazione, dal punto di vista sociale e urbanistico, a causa delle conseguenze terribili della guerra, tra cui la completa inagibilità del porto. Si iniziò anche a progettare un nuovo piano regolatore le cui linee furono però completamente abbandonate dai primi sindaci che scaturirono dalle elezioni amministrative del 1946.
In occasione del referendum istituzionale, l’elettorato napoletano si schierò in maniera schiacciante (77%) in favore della monarchia, un voto che ebbe un notevole influsso nella vita della città nel dopoguerra, in cui la componente monarchica giocò un grande ruolo. Il Consiglio comunale scaturito dalle elezioni cittadine del 10 novembre 1946 votò come sindaco Giuseppe Buonocore, di orientamento monarchico, che ottenne 33 voti, contro i 25 concentrati sul nome di Gennaro Fermariello. I monarchici ebbero un ruolo rilevante anche nella giunta del sindaco democristiano Domenico Moscati, che amministrò la città dal marzo del 1948 al luglio 1952.
Il successo del voto monarchico diventò la base su cui costruì le sue fortune politiche l’armatore Achille Lauro, sindaco di Napoli per lungo tempo e protagonista assoluto della vita della città per più di quindici anni. Lauro aveva avuto stretti rapporti con il regime fascista; arrestato dopo la liberazione di Napoli dagli angloamericani e accusato di collaborazionismo e illecito arricchimento, fu internato nel campo di concentramento di Padula. Nel 1945 Lauro fu assolto da ogni accusa e iniziò a svolgere un ruolo fondamentale nella vita politica cittadina. Dopo un’iniziale adesione al Fronte dell’uomo qualunque, fu fra i fondatori, con Alfredo Covelli, del Partito nazionale monarchico.
Lauro fu eletto sindaco nel 1952 dopo le elezioni in cui i partiti di destra conquistarono la maggioranza assoluta del Consiglio comunale; fu sindaco dal 1952 al 1957 e di nuovo nel 1961. Ma anche nel periodo del commissario di governo Alfredo Correra, che doveva restare in carica 90 giorni e invece amministrò la città per quasi tre anni, dal 13 febbraio 1958 al 3 febbraio 1961, Lauro e il suo Partito monarchico popolare, nato da una scissione del PNM, erano al centro della vita della città e delle sue attività economiche, soprattutto quelle legate all’edilizia. Sono gli anni del cosiddetto sacco di Napoli, uno sviluppo incontrollato fuori da ogni programmazione e disegno urbanistico, di cui Lauro è ritenuto uno dei responsabili. L'armatore godeva di un ampio consenso (nelle elezioni comunali del 1956 il suo partito aveva preso il 51,76% dei voti e lui personalmente aveva sfiorato le 300.000 preferenze) ed era molto spregiudicato nell’ampliamento e nel consolidamento della sua base elettorale; nella stagione del cosiddetto laurismo, la gestione del potere era connotata da pratiche che furono considerate illegali e clientelari dalle opposizioni.
Lauro è ritenuto uno dei responsabili del disordinato sviluppo e delle speculazioni che mutarono il volto della città, in particolare nelle aree del Vomero, di Posillipo, di Fuorigrotta. Durante gli anni 1950 si assistette anche a uno sviluppo degli arricchimenti illeciti legati alla criminalità organizzata di tipo camorristico.
Il laurismo vide accelerare il suo declino nelle elezioni comunali del 1964, quando la Democrazia cristiana (DC) diventò il primo partito della città con il 34,68% dei voti, anche grazie alla confluenza nelle sue file di molti monarchici. Il nuovo soggetto politico proposto da Lauro, che aveva ricomposto la frattura avuta con Covelli alla nascita del Partito monarchico popolare, il Partito democratico Italiano di unità monarchica, ottenne soltanto l’8,36% dei consensi.
La breve stagione del centrismo, sbocciato in netto ritardo a Napoli rispetto alla politica nazionale, si esaurì però presto: nel 1965 si costituì con il sindaco Ferdinando Clemente di San Luca una giunta di centrosinistra, con la partecipazione del Partito socialista italiano (PSI). Giunte analoghe amministrarono la città nei dieci anni successivi, guidate da sindaci democristiani, legati al leader della DC napoletana Silvio Gava, che era diventato il principale protagonista della vita politica cittadina. Giovanni Principe fu sindaco dal gennaio 1966 al novembre 1970: durante il suo mandato, varò la tangenziale, i Piani per il Centro direzionale, il secondo Policlinico e la variante per l’aeroporto di Capodichino.
Nel novembre 1970 il consiglio comunale scelse come sindaco il medico Gerardo De Michele che restò in carica fino all’agosto 1974; durante il suo mandato, si trovò ad affrontare l’epidemia di colera che colpì la città nel 1973. De Michele varò nel 1970 il nuovo Piano regolatore della città, che fu approvato definitivamente nel 1972. L’idea guida era quella di trasformare N. in una città dei servizi, con al suo vertice un sistema urbano a scalare, secondo modelli gerarchici di crescita piramidale. Forse a causa del suo distacco dalla corrente gavianea, De Michele non fu ricandidato e fu eletto sindaco Bruno Milanesi, rimasto in carica dall’agosto 1974 al settembre 1975.
Nel decennio del centro sinistra a Napoli, si registrò una continua crescita anche su un piano locale dei consensi del Partito comunista italiano (PCI). Nel 1975 alle elezioni amministrative il PCI divenne il primo partito della città: risultato che consentì la costituzione di giunte di sinistra, inizialmente minoritarie (PCI e PSI) e successivamente maggioritarie (PCI; PSI; Partito socialdemocratico italiano, PSDI; Partito repubblicano italiano, PRI). Sindaco della città divenne Maurizio Valenzi, che aveva avuto un ruolo rilevante nella storia del PCI a N. fin dall’arrivo di P. Togliatti nel 1944.
La situazione che si trovò ad affrontare la nuova giunta era difficile a causa dei diffusi fenomeni di disagio e del dilagare della disoccupazione, di un conflitto sociale che assumeva spesso forme violente, di una presenza aggressiva della criminalità organizzata, di un degrado ambientale che creava situazioni di allarme per la salute pubblica.
Nel periodo a cavallo tra gli anni 1970 e gli anni 1980 si sviluppò il violento scontro fra le fazioni camorristiche Nuova camorra organizzata e Nuova famiglia per il controllo degli affari illeciti in città, con numero altissimo di omicidi. In questo quadro irruppe la tragedia del terremoto del novembre 1980, con epicentro in Irpinia, che provocò crolli e molte vittime anche nella città di Napoli.
La maggioranza di sinistra, guidata da Valenzi, venne confermata nelle elezioni del 1980, ma nel 1983 entrò in crisi. Nelle consultazioni anticipate del 1983, i risultati furono deludenti per i maggiori partiti della città (PCI; DC; Movimento sociale italiano, MSI) mentre si segnalò un discreto incremento relativo per il PSI e per il PRI. Si era prodotta una situazione di stallo. Dopo consultazioni anticipate si susseguirono tre deboli amministrazioni, guidate dai democristiani Francesco Picardi, Vincenzo Scotti e Mario Forte. Si ebbero così tre sindaci nel giro di pochi mesi.
L’instabilità durò fino alla costituzione, nel novembre 1984, di una giunta pentapartito (DC, PSI, PRI, PLI, PSDI) con il socialista Carlo D’Amato nel ruolo di sindaco. Questa maggioranza fu riconfermata dopo le elezioni del 1987, in cui la DC ritornò ad essere primo partito della città, con il 30,7% per cento dei voti a fronte di una flessione del PCI e di un ottimo risultato del PSI. La maggioranza di pentapartito amministrò la città fino al 1992, con i sindaci socialisti Pietro Lezzi e Nello Polese.
La geografia politica cambiò con le elezioni del 1992: al primo posto si confermava la DC con il 29,77 % mentre il PSI raggiungeva l’eccezionale risultato del 19,54%, a fronte del deludente esordio del Partito Democratico di Sinistra (PDS) attestatosi al 12,70%. Si formò una giunta composta da DC, PSI, PSDI, con la conferma del socialista Nello Polese come sindaco.
La città fu investita nella primavera del 1993 da numerose inchieste giudiziarie che indagavano su casi di corruzione, di commistione tra politica e affari, di collusione con la criminalità organizzata, voto di scambio: il vento della cosiddetta Tangentopoli napoletana portò a numerosi arresti di uomini politici e dirigenti pubblici. Indagato, anche il sindaco Polese rassegnò le dimissioni. Nei fascicoli giudiziari finirono molti appalti, tra cui quelli relativi alla ricostruzione del dopo-terremoto.
Dopo la breve esperienza di Francesco Tagliamonte sindaco a capo di una giunta DC, PSI, PLI e un periodo di commissariamento, nel novembre 1993 furono indette le elezioni. Condotte sulla base di una nuova legge elettorale maggioritaria, che prevedeva l'elezione diretta del sindaco, esse sancirono la vittoria dello schieramento di sinistra (Partito democratico della sinistra, PDS; Partito della rifondazione comunista, PRC; Verdi; Rete; Rinascita socialista; Progressisti laburisti; lista Sinistra per Napoli) guidato da Antonio Bassolino, che raggiunse la carica di primo cittadino, vincendo la sfida con la candidata del MSI Alessandra Mussolini.
Nel 1994 la città ospitò il vertice del Gruppo dei Sette (G7) e la conferenza mondiale dell'ONU per la lotta contro la criminalità organizzata. Nella seconda metà degli anni 1990 venne completato il Centro Direzionale di Napoli, un complesso di grattacieli, progettato dall’architetto giapponese Kenzō Tange, e fu aperto al pubblico il primo nucleo della Città della scienza; l’immagine della città sembra rilanciarsi e si inizia a parlare del cosiddetto Rinascimento napoletano, legato alle iniziative anche comunicative della giunta Bassolino.
Nel novembre 1997 Bassolino (sostenuto da PDS; PRC; Partito popolare italiano, PPI; Rinnovamento italiano; Unione democratici per l'Europa, UDEUR; PRI; Federazione dei verdi; Rete e altre liste minori), fu riconfermato sindaco al primo turno con una larghissima maggioranza (72,9% dei voti).
Il centrosinistra riuscì a imporsi anche nelle consultazioni del maggio 2001: Rosa Russo Iervolino (sostenuta da Democratici di sinistra, DS; Repubblicani; Partito dei comunisti italiani, PdCI; PRC; Italia dei valori; PPI; Federazione dei verdi; Socialisti democratici italiani; Rinnovamento italiano; UDEUR e lista Civica per Napoli) riuscì infatti a battere al secondo turno, con il 52,9%, il candidato del centrodestra Antonio Martusciello (appoggiato da Forza Italia; Alleanza nazionale, AN; Centro cristiano democratico, CCD; lista Martusciello sindaco; Cristiani democratici uniti, CDU; e altre liste minori). I DS si imposero come primo partito (20,1%), seguiti da Forza Italia (17,4%), AN (9,9%), PPI (5%) e PRC (4,4%).
Russo Iervolino è stata riconfermata nelle elezioni amministrative del maggio 2006, eletta al primo turno con il 57%. La sostenevano DS, DL-La Margherita, PdCI, PRC, Italia dei valori, Federazione dei verdi, Socialisti democratici, UDEUR-Popolari (7,1%) e altre formazioni minori. Il candidato del centrodestra Franco Malvano che era stato in passato Questore di Napoli e aveva puntato sul tema della legalità, ha ottenuto il 37,8%; era sostenuto da Forza Italia, AN, Nuovo PSI, Unione dei democratici cristiani e di centro, UDC, lista Malvano sindaco, lista Rauti e altre liste minori. Principali partiti della città si confermano i DS (18,7% dei voti), Forza Italia (17,2%), La Margherita (13%), seguiti da AN (8,8%) e UDEUR (7,1%). I due mandati delle giunte Iervolino sono stati caratterizzati dalle difficoltà di fronteggiare l’emergenza rifiuti e dalle polemiche che questa situazione ha inevitabilmente creato.
Nel 2011l’ex magistrato Luigi De Magistris si è candidato a sindaco di Napoli per le elezioni comunali di maggio. Sostenuto da Italia dei Valori, Federazione della Sinistra, Partito del Sud e dalla lista civica Napoli è Tua, al primo turno elettorale de Magistris è risultato il secondo candidato con il 27,52% delle preferenze. Al ballottaggio, in cui si confrontava con Gianni Lettieri (candidato della coalizione di centro-destra) veniva eletto sindaco con il 65,37% dei consensi.
Tra le sue principali iniziative, la battaglia per mantenere la gestione pubblica delle risorse idriche, l’allargamento della raccolta differenziata, la diffusione del bike sharing, il risanamento delle finanze del Comune, il reddito minimo garantito e il registro delle unioni civili.
In qualità di sindaco di Napoli ha assunto l'incarico di sindaco metropolitano ai sensi della legge n°56/2014. Nel 2016 De Magistris si è ricandidato per un secondo mandato con l’appoggio di 12 liste, tra cui molte civiche. Dopo aver raccolto il 42,82% al primo turno del 5 giugno, il 19 giugno con il 66,85% delle preferenze ha vinto nuovamente il ballottaggio contro il candidato del centro-destra Lettieri (33,15%), riconfermandosi così primo cittadino di Napoli e della omonima città metropolitana.
Alle elezioni comunali del 2021 è stato eletto al pimo turno con oltre il 62% dei voti Gaetano Manfredi, sostenuto dalla coalizione di centrosinistra e dal Movimento 5 stelle, già ministro dell'Università e della Ricerca del secondo governo Conte.
I resti della città greca, data la continuità di vita nel sito, sono scarsi: sono stati individuati la necropoli di via Nicoltera (materiali databili dal 675 al 550 a.C.), alcuni tratti di fortificazione (6°-5° sec. a.C.), settori delle mura del 470 a.C. (rinforzate durante il 4° sec. a.C.), le fondazioni di un piccolo edificio sacro del 5° sec. a.C. (ricostruito nel 1° sec. d.C.), in via del Duomo, resti di abitazioni in vari punti della città. Più abbondanti le testimonianze della città romana: nell’area della chiesa di S. Paolo Maggiore, nel sito prossimo al foro, sono stati portati alla luce i resti del tempio dei Dioscuri, costruito nel 1° sec. d.C. al posto di un precedente edificio sacro. A N del tempio, parzialmente conservati il teatro e l’odeion, incorporati in edifici moderni. Un complesso monumentale su due piani, che ingloba muri di terrazzamento di età greca, è stato riconosciuto nell’area sottostante il convento di S. Lorenzo Maggiore. Individuati inoltre edifici termali in via Anticaglia e via Carminiello ai Mannesi e abitazioni private. Molte ville romane sorsero poi sulla costa, gli horti Luculliani a Pizzofalcone, la villa di Asinio Pollione a Posillipo. Le necropoli urbane si estendevano fuori delle mura, al di là dei valloni naturali che circondavano la città (Castelcapuano, ipogei fuori porta S. Gennaro, complessi di via dei Cristallini e di vico Traetta). Dell’epoca paleocristiana restano le catacombe di S. Gaudioso, di S. Gennaro, il battistero di S. Giovanni in Fonte, S. Giovanni Maggiore e S. Giorgio Maggiore.
Al tempo degli Angioini risalgono grandiose costruzioni gotiche in gran parte trasformate: S. Chiara, devastata durante la Seconda guerra mondiale con danni alle sculture di T. di Camaino e dei fratelli Bertini, ripristinata con l’eliminazione della decorazione barocca; S. Maria Donnaregina, con affreschi della scuola di P. Cavallini; S. Lorenzo, dove si trovava il S. Ludovico da Tolosa di S. Martini (Museo di Capodimonte); pochi resti di affreschi in Castel Nuovo testimoniano la presenza di Giotto e di Maso. Nel duomo notevoli un mosaico di Lello de Urbe e gli affreschi della cappella Minutolo, d’impronta cimabuesca. Durante il primo Rinascimento artisti in prevalenza toscani e lombardi arricchirono la città: reggia di Alfonso d’Aragona in Castel Nuovo, con arco trionfale di F. Laurana; Porta Capuana, disegnata da G. da Maiano; tomba del cardinale Brancaccio in S. Angelo a Nilo, di Donatello e Michelozzo; cappelle Piccolomini e Mastrogiudice in S. Anna dei Lombardi, con sculture rispettivamente di A. Rossellino e B. da Maiano; Pietà di G. Mazzoni nella stessa chiesa; palazzi di D. Carafa e Cuomo. Notevoli gli affreschi di P. da Benevento e di L. di Besozzo in S. Giovanni a Carbonara. Caratterizzante fu l’influenza fiamminga, attestata da opere riunite sotto il nome di Colantonio.
Nel 16° sec. sorsero numerosi edifici religiosi e civili (S. Caterina a Formello e Palazzo Gravina, esempi di diffusione dell’architettura toscana); nel campo della scultura è copiosa la produzione di una scuola tipicamente locale: G. da Nola; G. Santacroce; G.D. D’Auria; A. Caccavello. Grande importanza ebbe il breve soggiorno a N. di Caravaggio per lo sviluppo della pittura; rappresentanti della scuola napoletana del Seicento e del barocco sono: J. de Ribera, B. Caracciolo, M. Stanzione, B. Cavallino, M. Preti, S. Rosa, D. Gargiulo, L. Giordano, F. Solimena e F. De Mura.
Fra gli architetti, dopo D. Fontana e suo figlio Giulio Cesare, autori rispettivamente del Palazzo Reale e dell’attuale Museo archeologico nazionale, sono da ricordare nel 17° sec. il bergamasco C. Fanzago (chiostro di S. Martino, S. Maria della Sapienza, S. Maria Maggiore, Palazzo Donn’Anna a Posillipo ecc.) e fra Giuseppe Nuvolo (S. Maria della Sanità ecc.). Nel 18° sec. D.A. Vaccaro (trasformazione dell’interno della chiesa e del convento di S. Chiara), F. Sanfelice (palazzo Sanfelice, palazzo Serra, S. Maria a Monte Calvario, portale del palazzo Filomarino), F. Fuga (Albergo dei Poveri, facciata della chiesa dei Gerolamini ecc.), L. Vanvitelli (Foro Carolino od. piazza Dante, chiesa dell’Annunziata, caserma Bianchini). Al periodo neoclassico appartengono S. Francesco di Paola di P. Bianchi, villa Floridiana e il Teatro di S. Carlo di A. Niccolini.
Celebri, nel 18° sec., la fabbrica di porcellane presso la reggia di Capodimonte e la manifattura di arazzi (1738, attiva fino al 1798), fondate da Carlo III di Borbone. Tipica espressione del barocco napoletano furono anche i fantasiosi presepi, le cui statuette vennero modellate dai più noti scultori del 18° secolo.
Nell’Ottocento, tra i pittori furono significativi G. Gigante, figura di spicco della scuola di Posillipo, D. Morelli, F. Palizzi, G. Toma e A. Mancini; tra gli scultori V. Gemito. Notevoli tra gli esempi di architettura: Galleria Umberto (1887-91, E. di Mauro), Stazione zoologica (1873, O. Capocci; nella biblioteca decorazioni di H. von Marées e A. von Hildebrand).
Gli inizi del Novecento furono caratterizzati da architetture liberty: Palazzo Mannajuolo (1910-11, G.U. Arata e G. Mannajuolo), Villa Pappone (1912, G. Botta) ecc.; negli anni 1930 furono realizzate opere razionaliste: Palazzo delle Poste e Telegrafi (1932-36, G. Vaccaro e G. Franzi), Stazione Marittima (1936, C. Bazzani) ecc. Dagli anni 1960, tra gli interventi edilizi più qualificanti sono: Borsa Merci (1964-71, M. Capobianco, R. Dalisi, M. Pica Ciamarra), Casa del Portuale (1968-80, A.L. Rossi), Centro Ricerche Montedison, Enea e Campec (1977-89, Gregotti Associati).
Tra le realizzazioni, significativo è lo sviluppo del Centro Direzionale della città, il cui Master Plan si deve a K. Tange (1995).
Nel 1945 N., devastata dalla guerra, presentava una situazione molto grave nel settore abitativo, a causa delle ingenti distruzioni dovute ai bombardamenti. La prima amministrazione democratica prese diverse iniziative legate all'emergenza e all'organizzazione di nuove prospettive urbanistiche per la ricostruzione. Le complesse vicende legate ai piani regolatori elaborati nel 1946 e nel 1958, il finanziamento da parte dello Stato di piani di ricostruzione svincolati dallo strumento urbanistico generale e imperniati sul sistema delle concessioni ai privati – in modo tale che risultavano sottratti alla gestione degli enti locali – portarono a una crescita edilizia incontrollata e disordinata della città, tra collusioni politiche e speculazioni, che coinvolsero l'Istituto autonomo case popolari, l'Incis, l'UNRRA-Casas, l'INA-Casa. Costruzioni residenziali furono edificate anche in zone che i piani regolatori destinavano a uso agricolo; vennero realizzati interventi con indici di fabbricazione molto alti al Vomero, all’Arenella, a Fuorigrotta, a Miano, nella zona di Capodimonte e Colli Aminei; l’espansione edilizia si estese anche alle zone collinari come a Posillipo e fino alle pendici del Vesuvio, e poi al Rione Carità, a Pianura e Soccavo.
Nel 1961 iniziò la progettazione per le Aree di sviluppo industriale (ASI), che furono portate avanti sino al 1968, con il potenziamento dell’area di Bagnoli, e nel 1962 fu proposto un nuovo piano di assetto per N. e la sua cintura urbana, che mirava a ricomporre la città in un 'organismo', collegandola con il suo hinterland verso est e verso nord-est. Nel 1972 venne approvato il nuovo PRG, in seguito al quale furono costruiti quartieri di edilizia popolare come Scampia a nord e Ponticelli a est.
Il 23 novembre 1980 la città fu investita da un terremoto con epicentro nell'alta valle del Sele, che provocò numerose vittime e gravi ed estesi danni specie nell'alta Irpinia e fino alla Basilicata. A N. le conseguenze furono disastrose, per l'alta concentrazione demografica e abitativa e per il degrado già esistente nel patrimonio edilizio, soprattutto nel centro storico. La gestione del territorio nei primi mesi del dopo-terremoto aveva evidenziato la gravità del disagio abitativo della città; in nome dell'emergenza si requisirono abitazioni e terreni per installare containers, si fecero convenzioni con alberghi, si occuparono scuole e alloggi dell'edilizia pubblica. Contemporaneamente, proprietari di suoli e costruttori si offrivano con insistenza per intervenire, ovunque e comunque, sul territorio cittadino. L'orientamento prevalente fu di localizzare le residenze all'esterno di N. con la costruzione ex novo dei quartieri di Monteruscello e Ponticelli.
Il terremoto impose tuttavia l'avvio di un processo di pianificazione operativa, di ristrutturazione sostenuta da massicce risorse pubbliche e di gestione dell'economia e del territorio regionale, il cui obiettivo permanente doveva essere il riequilibrio territoriale e la coerenza degli interventi sul territorio. La scelta di attuare il piano delle periferie (adottato il 14 aprile 1980, quattro mesi prima del terremoto), tentò di riequilibrare la tradizionale subordinazione di queste rispetto al centro, conferendo a esse nuovi valori culturali mediante l'uso coordinato di strumenti urbanistici operativi diversi (PEEP, piani di zona 167, piani di zone di recupero), con particolare attenzione alle attrezzature collettive, per una ricostruzione intesa quale riqualificazione della città.
Tra i progetti di rilievo di questi anni va ricordato quello per lo smantellamento dell'impianto siderurgico ILVA-Italsider di Bagnoli (1993), la cui realizzazione più significativa è stata la Città della scienza nel 1997 (su progetto dello studio Pica Ciamarra Associati), distrutta da un incendio probabilmente doloso nel 2013 e in corso di ristrutturazione. Nel 1995 è stato completato il Centro Direzionale della città, un complesso di grattacieli progettato da K. Tange.
L'attesa rinascita del centro storico si è spesso risolta in singoli interventi; a tal proposito, molto discussa è stata la riqualificazione della Villa Comunale, affidata all'Atelier Mendini (1999). Anche il progetto ‘Centro storico di Napoli, valorizzazione del sito Unesco’ avviato nel 2007 si è arenato, con ritardi nell’attuazione degli interventi.
Risultati soddisfacenti ha invece prodotto il progetto riguardante il piano comunale dei trasporti (1997), che ha favorito i collegamenti urbani ed extraurbani e innescato lo sviluppo delle stazioni della metropolitana definite ‘stazioni dell'arte’: aperte a partire dal 2001, sono state progettate da G. Aulenti (Museo e Dante), Atelier Mendini (Salvator Rosa e Materdei) e D. Orlacchio (Quattro Giornate), da Á. Siza Vieira ed E. Souto de Moura (Municipio e Duomo) e da D. Perrault (Garibaldi). La stazione Toledo (2012), progettata da O. Tusquets, ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali, tra cui, nel 2015, quello come miglior opera sotterranea, conferito dalla International tunnelling Association.
Tra i concorsi di architettura vanno citati: quello per la stazione di Napoli-Afragola della linea ferroviaria ad alta velocità , vinto nel 2003 da Z. Hadid, che ha disegnato una nuova 'porta' di città, posta al centro del parco naturalistico-tecnologico ideato per la riqualificazione della zona; quello per il parco urbano di Bagnoli-Caroglio, vinto nel 2006 dal gruppo guidato da F. Cellini; quello per il restauro del tempio-cattedrale del rione Terra a Pozzuoli, vinto nello stesso anno dal gruppo guidato da M. Dezzi Bardeschi.
Il Museo archeologico nazionale, creato da Carlo III di Borbone con le collezioni ereditate dalla madre Elisabetta Farnese, è tra i più ricchi del mondo, arricchito dei pregevoli rinvenimenti di Pompei, Ercolano e Stabia; il Museo e galleria nazionale di Capodimonte, oltre all’importante Pinacoteca Farnesiana, conserva dipinti dell’Ottocento provenienti dalle chiese della città, armi e porcellane, e una sezione di pittura italiana contemporanea; il Museo nazionale di S. Martino, nella certosa omonima, possiede tra l’altro una notevole collezione di presepi e una sezione di pittura del 19° secolo. Tra le altre raccolte: Museo nazionale della ceramica duca di Martina a Villa Floridiana (porcellane, smalti e avori); la quadreria dei Girolamini, fondata nel 16° sec. presso la chiesa omonima; la quadreria del Pio Monte della Misericordia (costituita da una parte dell’eredità del pittore F. De Mura nel 1782 e da successive donazioni), Museo Civico Filangieri nel Palazzo Cuomo; Museo Civico di Castel Nuovo (1990); la raccolta «Fondazione Pagliara»; Fondazione Amelio per la diffusione dell’arte contemporanea. È da ricordare inoltre la riapertura del Museo storico astronomico dell’Osservatorio di Capodimonte (2000), fondato nel 1819 da G. Piazzi.
Nel 2005 sono stati inaugurati due musei d'arte di grande prestigio, il PAN (Palazzo delle Arti di Napoli) e il MADRE (Museo d'Arte Contemporanea Donnaregina), che ambiscono a far diventare N. centro dell'arte contemporanea nel Mezzogiorno d'Italia. Il primo, ubicato nel settecentesco palazzo Carafa di Roccella in via dei Mille, dopo un lungo restauro curato da R. Di Stefano e A. De Fez, è stato allestito su progetto di E. Guida; il secondo, ubicato nell'ottocentesco palazzo Donnaregina in via Settembrini, non lontano dal Duomo, è stato realizzato da Á. Siza Vieira.
L’Università degli studi ‘Federico II’ è una delle più antiche italiane, fondata dall’imperatore svevo nel 1224; la corredano diversi musei e istituti, tra i quali l’Istituto di fisica terrestre fondato da L. Palmieri e l’Orto botanico organizzato da M. Tenore (1807). La Seconda Università degli studi di Napoli è stata istituita nel 1996. Completano l’insegnamento superiore la Scuola politecnica d’ingegneria e d’architettura (1811), l’Istituto navale, e soprattutto l’Università degli studi di Napoli ‘L’Orientale’ (UNIOR, fino al 2002 Istituto Universitario Orientale, IUO), che deriva dal Collegio dei Cinesi o della sacra famiglia di Gesù, fondato nel 1727 da M. Ripa, e che oggi è il maggiore ateneo statale italiano di studi extraeuropei. A N. ha sede anche la più antica università non statale d’Italia, l’Università degli studi ‘Suor Orsola Benincasa’, specializzata in scienze della formazione, istituita come facoltà di Magistero nel 1885.
Tra le accademie, da ricordare la Società nazionale di scienze, lettere e arti (già Reale) e l’Accademia Pontaniana. Nel 1947 fu fondato da B. Croce l’Istituto italiano di studi storici, dotato della sua vastissima biblioteca, specializzata in discipline storiche, filosofiche e letterarie. In particolare, per le discipline filosofiche, dal 1975 è attivo l’Istituto italiano per gli studi filosofici. In campo scientifico svolgono notevole attività, oltre all’Osservatorio astronomico, l’Osservatorio vesuviano (1841), il Vulkaninstitut I. Friedländer (1914), fondazione svizzera con sede a Zurigo, e la Stazione zoologica fondata da A. Dohrn (1872), per studi marini, con acquario e biblioteca.
La Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III fu fondata dal re Carlo III e aperta al pubblico nel 1804, dal 1922 collocata nel Palazzo Reale. Altre biblioteche sono: l’Universitaria, istituita anch’essa nel 1224 da Federico II, più volte rinnovata; la biblioteca della Società napoletana di storia patria, fondata nel 1879, ricca di pergamene, manoscritti, carteggi, e del fondo Cuomo; la biblioteca del conservatorio di S. Pietro a Maiella.
L’Archivio di Stato conserva fondi e serie fondamentali per la storia del Mezzogiorno dal 16° sec. in poi. L’Archivio notarile risale al Quattrocento, il municipale al 1387; notevoli anche gli archivi di S. Gennaro (1630) e dell’Annunziata.
Le notizie sull’attività musicale a N. nell’antichità e nel primo Medioevo sono scarsissime. Un periodo di splendore si ebbe tra il 15° e il 16° sec., quando fiorirono istituzioni musicali come la chiesa dell’Annunziata e l’oratorio dei Filippini. Le prime rappresentazioni teatrali con musica ebbero luogo presso le accademie di nobili napoletani quali Ferrante Sanseverino, principe di Salerno, e Carlo Gesualdo, principe di Venosa attivo come musicista e mecenate. Nel 17° sec. i quattro conservatori di S. Maria di Loreto, di S. Onofrio a Capuana, della Pietà dei Turchini, dei Poveri di Gesù Cristo, nati come istituzioni benefiche di assistenza per gli orfani, inserirono tra le attività quella di formazione di giovani cantanti e strumentisti.
Le prime rappresentazioni operistiche tenutesi a Palazzo Reale risalgono alla metà del 17° sec. e la prima opera fu la Didone di G.F. Busenello e F. Cavalli seguita dall’Incoronazione di Poppea (Nerone) di C. Monteverdi. In seguito si diede l’avvio alla realizzazione di opere di produzione locale; nel 1684 fu nominato maestro di cappella A. Scarlatti che, salvo un’interruzione tra il 1702 e il 1708, ricoprì la carica fino alla morte dando nuovo impulso alla vita musicale cittadina, dove emersero i nomi di N. Porpora, F. Feo. Ai drammi seri si affiancò l’opera comica in dialetto napoletano e, in seguito, l’intermezzo, formato dalle scene comiche espunte dai drammi seri. La scuola musicale partenopea esercitò ben presto un forte richiamo e su di essa si formarono musicisti quali J.A. Hasse, G. B. Pergolesi, N. Jommelli, N. Piccinni, G. Paisiello, D. Cimarosa, molti dei quali diffusero all’estero lo stile e il gusto della musica napoletana. Dopo la parentesi napoleonica, la vita musicale a N. riprese con rinnovato splendore e per tutto l’Ottocento il teatro musicale godette di grande considerazione grazie anche a D. Barbaja, impresario del Teatro del Fondo (sorto nel 1779) e del S. Carlo. Alla fine del 19° sec. anche la musica strumentale si affermò grazie all’attività della Società del Quartetto, alla Società Orchestrale e alla scuola pianistica di G. Martucci e A. Longo. Fra le istituzioni del 20° sec. si segnala l’Orchestra A. Scarlatti della RAI, fondata nel 1957 e sciolta nel 1994.
La canzone napoletana si affermò agli inizi del 19° sec., acquistando risonanza internazionale sul finire del secolo, soprattutto attraverso il teatro di varietà. Canzone strofica, più spesso popolareggiante che popolare, rispecchiò alcuni aspetti caratteristici della natura meridionale, oscillando fra una vivacità festosa e il sentimentalismo. Il compositore francese trapiantato a N. G. Cottrau (1797-1847), che scrisse e raccolse un gran numero di canzoni, può essere considerato l’iniziatore della fortuna del genere. Tra gli altri principali autori figurano: T. Cottrau (1827-1879), L. Denza (1846-1922), F.P. Tosti (1846-1916), M. Costa (1858-1933), E. Di Capua (1866-1917), S. Gambardella (1873-1913), E. De Curtis (1875-1938), E.A. Mario (1884-1961). I versi furono scritti spesso da noti poeti quali S. Di Giacomo, L. Bovio, R. Bracco, R. Galdieri. Tra gli innovatori nella canzone napoletana del secondo dopoguerra va citato Renato Carosone, che contamina la tradizione con innesti swing e blues provenienti da oltreoceano. Sono entrate nel canone della canzone italiana benché in dialetto pezzi come “Maruzzella”, “Tu vuo fa’ l’americano” e “’O sarracino’. Sino a tutti gli anni 1950 la canzone napoletana mantiene tuttavia un’omogeneità di fondo, che si manifesta nei suoi riferimenti e nelle sue convenzioni, oltre che in una sostanzialmente unitaria, interclassista, base sociale.
Con gli anni 1960 sulla scena napoletana si cominciano a manifestare posizioni distinte, variamente integrate e parzialmente comunicanti, ma anche separate da tensioni e opposizioni, che si trovano a interagire – volutamente o inconsapevolmente – in un nuovo sistema di relazioni insieme sociali e musicali. Accanto alla canzone napoletana classica, dopo gli anni 1960, prende forma Il mondo di quella che si può definire 'canzone di ricerca' che giunge a maturazione nei primissimi anni '60, con figure di artisti-intellettuali e studiosi-ricercatori, come Roberto De Simone ed Eugenio Bennato, ma anche Teresa De Sio.
Importanti le esperienze dei collettivi musicali come la Nuova compagnia di canto popolare (NCCP) diretta da De Simone e il Gruppo operaio ’E Zezi (tra loro in contrasto proprio per la diversa concezione della ricerca anche filologica). La NCCP sarà a sua volta fonte di ispirazione e luogo di incubazione per progetti di innovazione folclorica: è il caso, già nel 1976, del gruppo Musicanova, guidato da Bennato e Carlo D’Angiò (entrambi provenienti dal collettivo di De Simone), che troverà un inatteso successo anche di pubblico e a livello nazionale. Tra i più recenti protagonisti di questo mondo va segnalata la figura eccezionale di Enzo Avitabile, che ha iniziato la sua carriera come jazzista e sassofonista in gruppi rock e jazz-rock per passare poi alla ricerca di sonorità e anche strumentazioni originali (i suoni delle botti percosse, quelli delle antiche corde, ecc.).
Sempre negli anni 1960 comincia a prendere forma anche il mondo del pop-rock partenopeo: in questo ambito si sviluppano sia la scuola napoletana della canzone d’autore – come Edoardo Bennato, il primo Alan Sorrenti, la già citata De Sio, Pino Daniele, Enzo Gragnaniello – sia diversi gruppi come gli Showmen, Osanna, Napoli centrale e, in seguito, legati al mondo dei centri sociali e dell’antagonismo urbano, gli Almamegretta, i 99 Posse, i Co’ sang, gli A67.
La contaminazione con suoni e forme non autoctone è fondamentale – che sia rock, beat, blues, jazz e più di recente rap, dub ed elettronica; va ricordato che N. è la città italiana a più stretto contatto con la cultura angloamericana, grazie al suo porto e alla base militare americana, e il blues, il jazz e il rock hanno trovato qui, sin dagli anni 1950, radici più solide che altrove.
In questo ambito si sviluppano le esperienze di cantanti, autori, complessi che muovono da N. e in parte dalla tradizione napoletana per una produzione tipicamente non dialettale diretta a un pubblico nazional-popolare, e che trovano riscontro nel mercato nazionale della musica cosiddetta leggera (o pop): Peppino Di Capri, Massimo Ranieri (peraltro molto attivo anche come interprete della canzone classica), Peppino Gagliardi, Edoardo De Crescenzo, gli Alunni del Sole, o Sorrenti (nella seconda parte della sua carriera).
Infine, va citato il mondo della canzone detta neomelodica, legata al mondo della sceneggiata, ma anche alla canzone di malavita, di grande successo commerciale e di pubblico a livello locale, con fenomeni di divismo difficilmente comprensibili, e spesso poco conosciuti, fuori dal contesto regionale (si pensi a figure come Mario Merola, Pino Mario, Nino D’Angelo, Gigi D’Alessio). Sia i consumatori sia i produttori di questa canzone – parolieri, compositori, arrangiatori e cantanti inclusi – provengono tipicamente dai ceti popolari, a bassa scolarizzazione e l’integrazione di questo mondo nel sottoproletariato urbano è all’origine anche del legame, più volte ipotizzato e qualche volta accertato, di diversi cantanti con la camorra.
Una delle maggiori insenature costiere tirreniche della penisola italiana. Si apre tra Capo Miseno e la Penisola Sorrentina (Punta della Campanella); ai lati della sua imboccatura si trovano le isole di Ischia, Procida e Capri. Sulla costa sorgono numerosi centri, fra cui quelli industriali di Torre del Greco, Torre Annunziata, Castellammare di Stabia.
Parte integrante del Regno di Sicilia durante l’età normanna e sveva, il Napoletano diventò con Carlo I d’Angiò (1266-85) l’elemento predominante di tutto il complesso statale, suscitando così una violenta reazione nell’isola, giunta fino alla separazione e al passaggio sotto la dinastia d’Aragona (Vespri Siciliani, 1282). Dal 1282 si può, dunque, parlare di un Regno di N. come entità a sé, anche se la denominazione è molto più tarda. Infatti gli Angioini, per dar forza alle loro rivendicazioni, conservarono il primitivo titolo di re di Sicilia; Alfonso V d’Aragona, riunendo i due possessi, assunse quello di rex utriusque Siciliae (1443). Solo nel 1759, con Ferdinando di Borbone (IV di N., III di Sicilia), ebbe valore costituzionale la denominazione di Regno di N., che durò fino al 1816, per scomparire definitivamente in quella di Regno delle Due Sicilie.
Sotto gli Angioini il Regno di N., che vide accentuarsi il vassallaggio feudale verso la Santa Sede e introdursi il baronaggio francese, perseguì un’attiva politica nella penisola come roccaforte del guelfismo italiano e la stessa dinastia conobbe un aumento di potenza con l’insediamento di un suo ramo in Ungheria. Il momento di massimo splendore fu segnato dal lungo regno di Roberto (1309-43). Alla sua morte, la sterilità della regina Giovanna I (1343-81) e l’assassinio del marito di questa, fratello del re d’Ungheria, determinò una guerra per la successione, che si concluse con la vittoria del nuovo ramo angioino-durazzesco (1378). Ladislao (1386-1414) esplicò una fortunata politica di consolidamento all’interno (acquisto del principato di Taranto) e di espansione, soprattutto in direzione dello Stato Pontificio. Sotto Giovanna II (1414-35) risorse la rivalità dei pretendenti (i due rami cugini dei Durazzo e degli Angiò di Provenza e la dinastia d’Aragona). Nel 1443 Alfonso d’Aragona entrò a Napoli.
L’avvento degli Aragonesi, presto a N. rappresentati da un ramo cadetto, segnò almeno all’inizio un periodo di tranquillità e di potenza; tuttavia il regno fu minato dai conflitti tra i differenti ceti sociali cui presto si aggiunse la minaccia espansionistica del re di Francia, Carlo VIII. Conquistato già nel 1494 dalla Francia, nuovamente nel 1500 da Francesi e Spagnoli, il regno fu conteso fra i due vincitori, e alla fine rimase alla Spagna, vivendo di riflesso le conseguenze delle crisi economiche e politiche che interessarono la corona spagnola; è da queste conflittualità e da problemi di ordine interno che ebbero origine le frequenti rivolte scoppiate in questo periodo, fra cui quella cosiddetta di Masaniello, che tra il 1647 e il 1648 vide messo in discussione il dominio spagnolo sul regno.
Divenuto nel 1707 possesso austriaco, nel 1734 il regno fu ricostituito in favore di Carlo di Borbone (1734-59) figlio di Filippo V di Spagna. Passando nel 1759 Carlo sul trono spagnolo, a N. fu proclamato re il figlio secondogenito Ferdinando IV (1759-1825; I dal 1815). Un intelligente e illuminato riformismo, attuato essenzialmente dal ministro B. Tanucci e ispirato alle idee politiche di P. Giannone e a quelle economico-sociali di A. Genovesi, rese particolarmente felice per il paese questo iniziale periodo borbonico, contraddistinto da una stretta collaborazione fra la monarchia e la borghesia illuminata; l’accordo si ruppe solo con l’avvicinarsi della crisi della Rivoluzione francese, e il divorzio fra il re e la nazione si determinò irrevocabilmente con la sua fuga in Sicilia (1798), l’invasione francese e la proclamazione della Repubblica napoletana. Dopo la caduta di questa e la restaurazione borbonica, la vittoria di Napoleone a Marengo (1800) ridusse invece in condizioni di quasi vassallaggio il regno, che alla fine del 1806 vide la seconda fuga del Borbone in Sicilia e la costituzione di un regno indipendente sotto Giuseppe Bonaparte (1806-08) e poi sotto Gioacchino Murat (1808-15).
Il 17 giugno 1815 Ferdinando IV rientrò a N. e si costituì il Regno delle Due Sicilie. Il rigido accentramento introdotto dalla restaurata monarchia, l’abolizione di molte delle riforme francesi e l’accettazione dei principi della Santa Alleanza trovarono una netta ostilità nella parte più colta e più generosa della popolazione. Il 2 luglio 1820 un’insurrezione militare aprì un breve periodo di vita costituzionale (7 luglio 1820-21 marzo 1821), al quale pose fine l’intervento militare austriaco. Dopo il breve regno di Francesco I (1825-30), quello di Ferdinando II (1830-59) iniziò con una politica liberaleggiante contro ogni tutela austriaca e con la concessione di una larga amnistia. Ma quanto più le esigenze dei liberali maturarono e si consolidarono, tanto più Ferdinando II si rivelò come un sovrano assoluto, avverso a ogni novità politica. Si ritornò così alle cospirazioni e ai tentativi di colpi di mano (impresa dei fratelli Bandiera, nel giugno 1844). La crisi del 1848, aperta in senso rivoluzionario e separatistico dalla Sicilia e a N. sviluppatasi in senso riformistico-costituzionale, non modificò la situazione e si chiuse con l’improvvisa e cruenta reazione del 15 maggio 1848 e la sottomissione della Sicilia nel maggio 1849. Sotto il nuovo re Francesco II (1859-60), il regno per opera della conquista garibaldina e dell’intervento piemontese cessò di esistere come Stato autonomo per entrare a far parte del Regno d’Italia.
Detta anche partenopea, fu proclamata dai giacobini a N. in Castel S. Elmo, il 24 gennaio 1799, durante le trattative condotte dall’esercito francese del generale J.-E. Championnet per la resa della capitale del Regno, abbandonata dal re Ferdinando IV di Borbone. La proclamazione favorì la caduta finale di N. e lo stanziamento dell’armata di Championnet, invano furiosamente combattuto dal popolo in armi. Si costituì un governo provvisorio presieduto da C. Lauberg e composto di 25 patrioti, fra cui il giurista e filosofo F.M. Pagano e l’ideologo V. Russo, rientrati dall’esilio cui erano stati condannati dopo fallimento di un piano antimonarchico nel 1794. Intanto il cardinale F. Ruffo, nominato da Ferdinando IV vicario generale, raccoglieva truppe in Calabria, tentando la riconquista del Regno.
Il governo provvisorio promulgò la legge abolitiva dei fedecommessi, ma la divisione amministrativa dell’ex-Regno ridisegnata sul modello francese non corrispondeva al reale controllo del territorio da parte dei giacobini. Furono aboliti i titoli nobiliari, coniate nuove monete, ordinata la coscrizione generale, ma il progetto di legge per l’eversione della feudalità, avanzato dai rappresentanti popolari più radicali, fu approvato in una versione meno incisiva, frutto della estenuante mediazione condotta da Pagano con i Francesi, preoccupati che il giacobinismo, sconfitto in patria con la morte di Robespierre, risorgesse a Napoli. Alla fine di marzo, l’orientamento radicale appariva battuto e sei membri del governo provvisorio si dimisero. Indebolita dalle scelte di Parigi, che non la sosteneva adeguatamente, la Repubblica vacillava anche militarmente: le truppe inviate in Calabria furono sconfitte dalle bande della Santa Fede guidate da Ruffo e fu vano il tentativo dell’ammiraglio F. Caracciolo di riorganizzare la flotta napoletana e disporla contro la coalizione antifrancese guidata da H. Nelson. Benché fossero costituiti un vero organo legislativo e uno esecutivo, l’uno presieduto da Pagano, l’altro dal radicale G. Abbamonte, e la Repubblica legiferasse alacremente, abolendo la tassa sul testatico, sopprimendo l’uso della tortura e delle pene straordinarie, varando la legge sui pubblici funzionari, la marcia di Ruffo era inarrestabile e il 9 maggio i Francesi abbandonarono i territori ancora controllati lasciando la difesa della Repubblica ai soli napoletani. In giugno i borbonici, con l’appoggio di truppe inglesi, russe, turche e albanesi, ne schiacciarono la resistenza. In luglio Ferdinando IV tornò a N. e cedendo ai consigli vendicativi della consorte Maria Carolina, di H. Nelson e del ministro J.F.E. Acton, ordinò di giustiziare dopo sommari processi centinaia di patrioti, fra i quali scienziati come D. Cirillo, filosofi come Pagano ed E. de Fonseca Pimentel, giovani aristocratici, come G. Serra di Cassano ed E. Carafa di Ruvo, e molti esponenti del clero.
Nel 2014, con la legge 7 aprile n. 56, entrata in vigore il 1°gennaio 2015, la città metropolitana di N. è subentrata all'omonima provincia, mantenendo la medesima estensione geografica. Caratterizzata da una densità di popolazione altissima (2.641,28 ab/km²), la città metropolitana di N. si sviluppa intorno al Golfo di N. proiettandosi per breve tratto anche sul litorale domiziano. Comprende il Vesuvio e l’area vulcanica flegrea, la bassa piana del Sarno, una porzione della Penisola Sorrentina e una piccola fascia del Piano Campano a N; a E tocca anche per breve tratto le propaggini appenniniche. Il più cospicuo addensamento si riscontra lungo la costiera che dall’insenatura di Pozzuoli si spinge fin oltre la foce del Sarno: una vera e propria conurbazione che vede in successione popolose cittadine: Pozzuoli, San Giorgio a Cremano, Portici, Ercolano, Torre del Greco, Torre Annunziata e Castellammare di Stabia. Una forte crescita ha toccato anche, sin dai primi anni 1960, alcuni centri a NE della metropoli (Casoria, Casavatore), investiti allora da un primo ampliamento dello spazio industriale napoletano. Il fronte del maggior dinamismo demografico si è in seguito spostato più a O, tra Marano e Quarto, assumendo i tratti prevalenti di un’espansione residenziale.
L’agricoltura intensiva è favorita dalla disponibilità di fertili suoli vulcanici e alluvionali, oltre il clima favorevole e l’abbondanza di acque. Sviluppate soprattutto le colture orticole, nella fascia tra N. e Marigliano, e del pomodoro, nella piana del Sarno. Tra le colture arboree hanno un particolare valore economico quelle frutticole (meli e peschi del Piano Campano, noci e noccioli tra Nola e Avellino, albicocchi sulle pendici vesuviane), mentre gli agrumi hanno una vasta diffusione nella Penisola Sorrentina e la vite è rilevante sulle falde dei rilievi vulcanici (famosi i vini del Vesuvio e d’Ischia). Discrete le colture floreali in serra (lungo la cimosa costiera vesuviana). Accanto ai vecchi problemi (eccessivo frazionamento dei fondi, carenze organizzative dell’azienda agricola, diffusa attività estorsiva di gruppi camorristici), l’agricoltura dell'area ha subito attacchi pericolosi dalla spropositata domanda di suoli edificabili e dagli eccessi dell’inquinamento urbano e industriale (particolarmente grave è il degrado nel bacino del Sarno). Altra causa di regresso degli spazi agricoli è l’uso dei suoli per gli agglomerati industriali, in particolare lungo la fascia costiera e nell’area tra Pomigliano e Arzano. Notevole il peso delle vecchie imprese metalmeccaniche e della meccanica pesante localizzate nella fascia costiera e a Pomigliano d’Arco, interessate da processi di ristrutturazione. Nonostante il ridimensionamento del comparto dell’abbigliamento, continua nel territorio la positiva evoluzione delle imprese di piccole e medie dimensioni (soprattutto calzaturifici e altre lavorazioni specialistiche di pelli e cuoio), nel quadro di ampi processi di rafforzamento dei sistemi locali specializzati nella produzione di beni di largo consumo, verificatisi a partire dagli anni 1990 su scala regionale. Notevolissimi i flussi turistici, in prevalenza verso le isole del golfo (Capri, Ischia) e la Penisola Sorrentina e verso mete d’interesse archeologico e religioso (Pompei).