Pittore senese (n. prob. tra il 1280 e il 1285 - m. Avignone 1344). La sua personalità appare pienamente formata fin dalla prima opera documentata, l'affresco con la Maestà nel Palazzo pubblico di Siena, datato 1315 ma ritoccato, nella parte centrale, dallo stesso M. nel 1321 forse non solo per ragioni di restauro ma anche per un aggiornamento del gusto. La matrice duccesca, iconografica e stilistica, si piega nella sontuosità cromatica e materica, nelle cadenze ritmiche dei drappeggi, a una evocazione sottile dello spazio e del volume, in una felice sintesi dei valori sacri e civili esaltati dalle iscrizioni. Un documento napoletano (1317) attesta la concessione, da parte di Roberto d'Angiò, di un ricco appannaggio per un Simone cavaliere, probabilmente lo stesso M. che firmò la tavola (Napoli, Museo nazionale di Capodimonte) rappresentante S. Ludovico di Tolosa, canonizzato nel 1317, che incorona il fratello Roberto. La ieraticità della figura frontale del santo, contrapposta a quella di profilo di Roberto (rilevanti sono le sue caratteristiche fisiognomiche), la ricchezza del fondo d'oro e la profusione delle materie preziose che fanno da complemento alla raffinatezza cromatica invitano alla lettura dell'opera come manifesto di politica dinastica (legittimazione del trono di Roberto) e religiosa (reintegrazione di Ludovico nell'ortodossia francescana). Una ricerca spaziale più consistente e uniforme appare nelle storie del santo narrate nella predella con vivaci spunti naturalistici. Tra il 1317 e il 1319 (ma per alcuni critici tra il 1320 e il 1330) si colloca la complessa decorazione (vetrate e affreschi) della cappella di S. Martino nella basilica inferiore di S. Francesco ad Assisi, a M. concordemente attribuita, espressione altissima di un mondo cortese e cavalleresco, in cui tenue è il confine tra laico e religioso. Nel polittico firmato che M. eseguì nel 1319 per la chiesa del convento di S. Caterina a Pisa (ora nel Museo nazionale di S. Matteo) l'apparente monotonia delle mezzefigure inquadrate da archi trilobati è superata dalla preziosità lineare e cromatica e dalla nuova e serrata impaginazione dell'insieme. Dal 1320 varî polittici furono prodotti da M. e dalla sua bottega, tutti di altissimo livello e dove è spesso difficile individuare l'intervento degli aiuti (Orvieto, Museo dell'opera del duomo; Boston, Isabella Stewart Gardner Museum; Cambridge, Fitzwilliam Museum). Numerosi documenti attestano i continui rapporti con il comune di Siena, e tra questi anche le commissioni di dipinti esaltanti la gloria della città nella conquista di varî castelli. Nel Palazzo pubblico, sulla parete che affronta la Maestà, l'affresco segnato dalla data 1328 mostra Guidoriccio da Fogliano, conquistatore di Montemassi, sull'ampio sfondo paesistico che presenta connotazioni astratte accanto a particolari di acuto realismo; la scoperta (alla fine degli anni Settanta) di un affresco, databile al 1314, nella parte inferiore della parete e in parte sottostante al Guidoriccio, ha sollevato dei dubbî sull'autenticità simoniana dell'opera. Della fiorente bottega di M. facevano parte il fratello Donato e soprattutto Lippo Memmi che firmò con lui una delle opere più celebrate dell'artista, l'Annunciazione per il duomo di Siena (Firenze, Uffizi), datata 1333 e considerata il punto più alto della raffinatezza e stilizzazione in chiave gotica del pittore. Del corpus di M. fanno parte due importanti opere la cui datazione è controversa: la pala del Beato Agostino Novello (1328 o 1333-36; Siena, S. Agostino) e il polittico Orsini (1333 circa o 1340 circa; Anversa, Mus. des Beaux-Arts: Arcangelo Gabriele, Vergine Annunziata, Crocefissione, Deposizione dalla croce; Louvre: Andata al Calvario; Berlino: Seppellimento di Cristo). Forse già dal 1336 M. è attivo ad Avignone: perduti gli affreschi per Notre-Dame-des-Doms (ne restano, però, le straordinarie sinopie) e il ritratto di Laura ricordato da Petrarca, di questo periodo sono il Ritorno di Gesù fanciullo dal Tempio o Sacra Famiglia (firmato e datato 1342; Liverpool, Walker Art Gallery), e il frontespizio miniato con l'Allegoria virgiliana di un codice appartenuto a Petrarca (Milano, Biblioteca Ambrosiana). Lontane dall'astrattezza raffinata dell'Annunciazione, anche se possono riflettere la particolare condizione ambientale alla corte di Avignone, queste opere ripropongono quella particolare tensione e sintesi tra mondo secolare e sentimento religioso che è alla base di tutta la sua produzione, in un linguaggio che partendo dalla lezione di Duccio elabora originalmente stimoli provenienti da Giovanni Pisano come dalle raffinate opere di oreficeria e di smalti oltremontani, ma anche le novità spaziali di Giotto e l'esperienza dei Lorenzetti, e che a sua volta diviene elemento importante nella formazione del gotico internazionale.