Regione dell’Italia meridionale (10.073 km2 con 553.254 ab. nel 2020; densità di 55 ab./km2), compresa tra Puglia, Campania e Calabria, bagnata per breve tratto dal Tirreno, a SO (tra Sapri e Scalea) e dallo Ionio, a SE (tra Nova Siri e Metaponto). È divisa nelle due province di Potenza (capoluogo di regione) e Matera e conta 131 comuni.
Il nome compare per la prima volta in un documento del 1175 e sembra derivare da quello del funzionario bizantino (basilikos) che amministrava nel sec. 11° parte dell’antica Lucania; il nome Lucania ha sostituito quello di Basilicata dal dicembre 1932 fino a che nella Costituzione si è ritornati al nome medievale.
Il territorio è per quasi il 70% montuoso (Appennino Lucano), collinare per il 22% e pianeggiante per solo l’8%. La regione è caratterizzata dall’intensa erosione, dovuta anche all’azione dell’uomo sul manto boschivo; smottamenti e frane sono molto diffusi e rendono la B. la regione con il maggior numero di comuni danneggiati o minacciati; l’instabilità è accentuata anche dalla forte sismicità della zona. Nella parte occidentale, si trovano elevati massicci calcarei, con fenomeni carsici sugli alti pianori, incavati da conche, fiancheggiati da contrafforti che digradano verso lo Ionio. A N e al centro, i rilievi non superano i 2000 m (Monte Volturino 1836 m); a S più imponente è il Sirino (2005 m), con tracce glaciali, e soprattutto il Pollino (2248 m), che segna il confine tra B. e Calabria. La zona orientale è formata da terreni più recenti (argille, marne, sabbie), con forme collinose alte non più di 600 m, o con ripiani fortemente erosi dove sono frequenti le frane; verso le Murge pugliesi e la cimosa metapontina, vi sono estese terre alluvionali e una spiaggia importuosa e rettilinea. Nella parte settentrionale isolato è il Vulture (1326 m), vulcano spento, l’unico situato sul versante orientale dell’arco appenninico peninsulare, con i laghetti craterici di Monticchio. I bacini della regione sono limitati e di scarsa estensione; i fiumi (Bradano, Basento, Agri, Sinni e Ofanto, che segna i confini verso NE) hanno carattere torrentizio con piene impetuose, mentre l’Agri e il Sinni hanno portate più costanti; sono stati costruiti diversi invasi sul Bradano (Lago di S. Giuliano), sul Sinni e sull’Agri (Lago del Petrusillo), specie a fini irrigui.
Il clima varia dalla B. tirrenica, battuta dalle piogge, a quella interna e alla cimosa ionica, caratterizzate da estati assai calde e da forte escursione annua. Le temperature medie vanno dai 7 ai 10 °C nel mese più freddo (gennaio) e dai 25 ai 29 °C in quello più caldo (luglio); le precipitazioni, dai 600 mm annui della fascia murgiana, arrivano a superare i 2500 nel retroterra di Maratea. Nella vegetazione, modificata dall’uomo, si possono distinguere quattro diverse zone: la macchia mediterranea (fino a 400 m: specie lentisco, mortella ecc.), il bosco submontano di querce e di castagni (400-1000 m), il bosco montano di faggi e di conifere (queste ultime specie nel Pollino: 1000-2000 m), e il pascolo alpestre.
L’inversione della tendenza migratoria legata all’intenso flusso dei rientri, iniziata fin dagli anni 1970, è proseguita negli anni 1980, pur bilanciata dal contrarsi della natalità causato dall’invecchiamento della popolazione residente. A partire dagli anni 1990 si è presentata una moderata ripresa della tendenza negativa. Delle due provincie, Potenza e Matera, la prima ha mantenuto fino a oggi una netta preminenza in termini assoluti. Il calo demografico interessa soprattutto i comuni minori dell’interno, le cui risorse dipendono spesso esclusivamente dalle rimesse degli emigrati. A tali dinamiche è seguito l’abbandono di vaste aree del territorio, e il progressivo indebolimento di tipiche comunità locali, come i gruppi albanesi del Vulture e del Monte Pollino.
La Basilicata risente degli squilibri di un’area fortemente sottosviluppata. Fin dagli anni 1950, una complessa opera di bonifica e infrastrutturazione (viabilità, rete idrica ecc.) è stata svolta dalla Cassa per il Mezzogiorno, con la conseguente, profonda trasformazione del paesaggio agrario, dovuta, da un lato, all’abbandono delle colture nelle aree marginali, e, dall’altro, alla diffusione delle pratiche irrigue, specie nel bacino dell’Ofanto e nel Metapontino. Alla fine degli anni 1990 si è andato confermando un complessivo miglioramento della situazione economica regionale. L’agricoltura è rimasta per lo più legata alla coltivazione di seminativi, anche se in lieve contrazione; la superficie a legnose è in espansione, legata alla coltivazione di agrumi, frutta e vite; una tendenza dominante è la specializzazione nel settore ortofrutticolo, in sviluppo nelle aree piane, soprattutto matapontina. A un confronto su scala nazionale entrambe le province (netta supremazia di Potenza) hanno registrato una rapida avanzata nella graduatoria del PIL pro capite, comparabile con i valori di dinamicità presentati nella stessa fase dal Nord-Est e in netto contrasto con l’andamento di numerose province meridionali. Tale dinamica è riconducibile, nel caso di Potenza, agli impianti del gruppo FIAT entrati in funzione a Melfi nel 1994, all’interno di uno dei più importanti progetti promossi a favore del Mezzogiorno. A queste dinamiche si è contrapposto il ridimensionamento, fra gli anni 1980 e 1990, delle principali imprese chimiche locali afferenti a gruppi esterni (la ANIC di Pisticci e la Liquichimica-Ferrandina nella valle del Basento), colpite dalla crisi del settore. I maggiori agglomerati industriali sono quelli di Potenza, Tito e Viggiano, con impianti diversificati: materie plastiche, fertilizzanti, meccanica, elettromeccanica; a Matera l’industria alimentare; l’industria regionale è comunque caratterizzata dalla specializzazione di base, particolarmente nell’edilizia. Tra le risorse minerarie della regione, importante il petrolio, di cui, nell’autunno 2000 è stata accertata in provincia di Matera l’esistenza di nuovi giacimenti.
La B. tagliata fuori dalle maggiori direttrici di comunicazione, sia stradali sia ferroviarie (nonostante i collegamenti con l’Autostrada del Sole e la costiera ionica, mediante superstrade di fondovalle come la Basentana), risente negativamente delle scarse possibilità di relazione con l’Italia centro-settentrionale.
Il turismo, soprattutto sul litorale di Maratea e nei pressi della catena del Pollino, è attivo, ma la regione è al penultimo posto, seguita dal Molise, nelle statistiche riguardanti le infrastrutture turistiche.
La frequenza dell’uomo nella regione sino dal Paleolitico inferiore è attestata da numerosi rinvenimenti archeologici. Le testimonianze si concentrano soprattutto nel Materano, nell’area di Venosa (la sequenza stratigrafica del sito acheuleano di Notarchirico è datata tra 650.000 e 550.000 anni fa e contiene strumenti litici e resti ossei intenzionalmente fratturati), di Atella-Vitalba; le rive del Bradano hanno restituito manufatti di tipo musteriano. Il Neolitico antico a ceramica impressa è presente a Gaudiano presso Lavello. Nei villaggi trincerati del Materano (Murgecchia, Tirlecchia ecc.) sono testimoniate le culture del Neolitico medio a ceramica dipinta bicromica, graffita e impressa, e quella più recente di Serra d’Alto (➔).
In età romana la B. fece parte della 3ª regione augustea (Lucania-Bruzio). Sul finire dell’età antica, le invasioni barbariche, l’anarchia, le devastazioni e la conseguente diffusione della malaria ricacciarono verso le alture le popolazioni: scomparvero così i popolosi centri italo-greci e la regione venne acquistando caratteristiche protrattesi fino ai primi decenni del 20° sec.: centri abitati in alto, latifondo e terre comuni, acque dilaganti, malaria nel basso.
I primi secoli del Medioevo furono caratterizzati dal contrasto fra Greci accampati sulle coste e Goti prima, e Longobardi poi, prementi dall’interno. Nella divisione del ducato di Benevento, la B. passò al nuovo principato di Salerno (847) quasi per intero. La conquista normanna iniziò un nuovo frazionamento della regione, riunita solo dopo la riorganizzazione della monarchia (1130). Allora il nome B. fu dato ai bacini dei cinque fiumi sfocianti nello Ionio, ai quali appunto si estende l’odierna regione. Capitale dello Stato normanno fu dapprima Melfi. I successivi monarchi svevi resistettero alla dominazione angioina, che al tempo della guerra del Vespro trovò in Ruggiero di Lauria uno dei suoi più temibili avversari.
Nei secoli successivi la storia della B. è tutta percorsa dai contrasti dinastici e dagli urti tra Corona e feudatari, e di questi tra loro, finché nella prima metà del Cinquecento la B., con tutto il Regno di Napoli, passò sotto il dominio spagnolo. Aggravi fiscali, pessima amministrazione, incertezza della legge, prepotenza feudale caratterizzarono il dominio spagnolo, che tuttavia permise un certo aumento della popolazione con l’assicurata lunga pace, interrotta solo nel 1647-48 dalla ripercussione del moto di Masaniello che vide insorgere quasi tutta la B. e terre limitrofe con a capo Matteo Cristiano da Castelgrande. Il successivo dominio francese (1806-15) vide un disordine endemico, fomentato dal brigantaggio e dai maneggi di parte borbonica.
Dopo il 1815 notevole fu la diffusione della Carboneria. Il 1848 vide al centro degli eventi una borghesia liberale moderata stretta fra assolutismo monarchico e fermenti contadini, finché nel 1860 si allineò a fianco di Garibaldi. Presto però dai detriti del vecchio mondo borbonico si scatenò la violentissima reazione del brigantaggio (1860-65). Fiscalismo, accentramento, impreparazione al nuovo regime, concorrenza economica del Nord colpirono la B., come tutto il Mezzogiorno, dopo l’Unità. L’impulso dato all’emigrazione, se diminuì la disoccupazione in alcune zone e garantì un certo afflusso di capitali, accentuò la disgregazione sociale della regione, mentre la politica demografica del fascismo e la pretesa di aver risolto la questione del Mezzogiorno aggravarono la situazione.
Nell’insieme dei dialetti meridionali d’Italia, quelli della B. si possono inserire in una sezione napoletano-lucano-abruzzese, contro quella siculo-calabro-pugliese; però, mentre i dialetti lucani orientali si accordano con i pugliesi, quelli occidentali con il napoletano, a Sud un’area arcaica, nota come area Lausberg, dal nome del linguista che si è occupato di dialettologia italiana, presenta, tra l’altro, vocalismo tonico di tipo sardo. I fenomeni di metafonesi sono quelli comuni nel Mezzogiorno, sia pure con riflessi speciali; caratteristico è il materese ü da ī, i da ū: nü′të «nido», mìrë «muro». Anche nel consonantismo osserviamo tratti meridionali (ll dà dd, ld dà ll); interessante è lo sviluppo di ka- a kua- dopo sillaba che presenta u: u kuavàddë «il cavallo», plur. Kavàddërë. Nella morfologia, sono da rilevare i frequenti plurali in -ërë da -Řra (come ant. ital. campora «campi»): i̯attërë «gatti» ecc.; il futuro ancora perifrastico àġġiè a kkandà «canterò», il congiuntivo pres. con ka (da quia) più il presente indicativo, l’infinito apocopato (kandà «cantare»). Da ricordare le importanti colonie galloitaliche intorno a Potenza e sul Golfo di Policastro.