(o Appennini) Catena montuosa che, riallacciandosi alle Alpi a nord del Golfo di Genova, forma, per 1350 km, la spina dorsale della penisola italiana fino allo Stretto di Messina, oltre il quale continua nei rilievi settentrionali della Sicilia. La distinzione dell’A. dal sistema alpino, nella linea segnata dal Colle di Cadibona (o Bocchetta di Altare, 436 m) a NO di Savona, è del tutto convenzionale.
L’assetto tettonico della catena appenninica, formatasi soprattutto durante il Miocene e il Pliocene inferiore, è il risultato della collisione del continente europeo con quello africano, un tempo separati da un oceano, la Tetide, scomparso in seguito a un processo di subduzione, ma i cui resti sono ancora preservati e rappresentati dalle ofioliti, che affiorano discontinuamente soprattutto nell’A. Settentrionale. Geologicamente la catena viene suddivisa in due grandi settori: A. Settentrionale e A. Centromeridionale, divisi da un lineamento tettonico (linea Ancona-Anzio o Olevano-Antrodoco) che costituisce anche un limite paleogeografico, in quanto separa da un lato i bacini pelagici della Toscana-Umbria-Marche e dall’altro le aree di piattaforma carbonatica del Lazio-Abruzzo-Campania. Da un punto di vista strutturale, l’A. è caratterizzato da una serie di unità tettoniche appilate le une sulle altre, che mostrano una generale convergenza verso E e NE. Questo assetto è frutto di una serie di fasi tettogenetiche traslative che si sono esplicate a partire dall’Oligocene superiore e che continuano, come mostra l’intensa attività sismica riscontrabile in quasi tutti i settori della catena. La deformazione ha coinvolto settori paleogeografici sempre più esterni (orientali in senso geografico), giustapponendoli tra loro, con entità di raccorciamento spesso molto spinte; ciò ha prodotto inoltre la formazione di una avanfossa, posta al fronte della catena, e con essa migrante verso E e NE. L’area della catena era inoltre sede di una serie di bacini satelliti che migravano con essa verso l’avampaese adriatico.
Le catene dell’A. hanno direzione generale da NO a SE, ma i due versanti adriatico e tirrenico sono asimmetrici: il versante adriatico digrada lentamente verso il mare e la zona mediana, più elevata, è fiancheggiata verso l’esterno da una fascia collinosa (➔ Subappennino); sul versante tirrenico, invece, la zona più alta è più aspra e irregolare. L’A. si distingue generalmente in tre sezioni: Settentrionale, Centrale, Meridionale, alle quali si può aggiungere l’A. Siculo.
L’A. Settentrionale si estende dal Colle di Cadibona (tra la valle della Bormida e la Riviera di Ponente) e la Bocca Serriola (tra le alte valli del Tevere e del Metauro) e si distingue in due sezioni, rispettivamente a O e a E del Passo della Cisa. A O è l’A. Ligure, che nella sua parte iniziale, una catena unica di modesta altezza (Monte Beigua, 1287 m), costituisce l’anello di congiunzione con le Alpi; successivamente l’altezza aumenta e la catena assume la configurazione a quinte tipica dell’A. Settentrionale. A E della Cisa si sviluppa l’A. Tosco-Emiliano, formato da tre catene riunite da barre trasversali culminanti con vette superiori ai 2000 m (Cusna, Cimone) e altre da cui nascono l’Arno e il Tevere (Falterona, Fumaiolo), e interrotte da numerosi valichi tra i quali l’Abetone, la Porretta, la Futa. Nell’A. Tosco-Emiliano prevalgono le rocce arenacee (macigno) e le forme arrotondate, fuorché nelle Alpi Apuane (➔ Apuane, Alpi), da taluni considerate un rilievo indipendente dall’A. perché diverse sia per composizione litologica (rocce metamorfiche) sia per morfologia (forme aspre). Nel versante tirrenico dell’A. Tosco-Emiliano si diramano dall’asse principale alcune catene minori (Pratomagno, Alpe di Catenaia) tra le quali s’insinuano valli fluviali longitudinali che l’antropizzazione ha trasformato in cantoni fertili e ben popolati, vere subregioni contraddistinte con proprio nome: Lunigiana (Valle della Magra), Garfagnana (Serchio), Casentino (alto Arno), Mugello (Sieve).
L’A. Centrale è la sezione più elevata e aspra dell’A., che si sviluppa dalla Bocca Serriola al Passo di Vinchiaturo (tra le valli del Volturno e del Sangro; ma secondo alcuni è preferibile fissarne il limite in altri valichi, come il Passo di Rionero Sannitico o la Bocca di Forlì), e si divide anch’essa in due parti: l’A. Umbro-Marchigiano e l’A. Abruzzese. Già nella prima parte si nota una generale prevalenza di rocce calcaree, che danno origine a numerosi ed estesi fenomeni carsici, specialmente nel gruppo dei Sibillini, culminante nel Monte Vettore (quasi 2500 m), nonché un sensibile aumento dell’altitudine e dell’energia del rilievo; caratteri che assumono però maggiore evidenza nell’A. Abruzzese. Questo, che ospita numerose cime di oltre 2000 m, comprese quelle più elevate di tutto l’A. (Corno Grande, nel gruppo del Gran Sasso d’Italia, 2914 m; Monte Amaro, nel gruppo della Maiella, 2795), è formato da almeno tre catene parallele che occupano la massima parte della regione abruzzese e anche una notevole parte del Molise e del Lazio interno. Tra le varie catene si interpongono lembi d’altopiano e vaste conche intermontane, divenute sedi di elezione dell’insediamento anche urbano (conche dell’Aquila e di Sulmona) o importanti aree agricole (alveo del lago del Fucino, prosciugato nel sec. 19°).
L’A. Meridionale, esteso tra il Passo di Vinchiaturo e lo Stretto di Messina e articolato in tre sezioni (A. Campano, A. Lucano, A. Calabro), è caratterizzato da una frammentazione sconosciuta all’A. Centrale e all’A. Settentrionale, specialmente nelle sezioni campana e lucana, dove spiccano, tra i maggiori gruppi relativamente isolati l’uno dall’altro, il Matese (culminante nel Monte Miletto, oltre 2000 m) e soprattutto l’imponente nodo del Pollino (oltre 2200 m). Caratteristiche peculiari presenta l’A. Calabro, nel quale, ove si eccettui la Catena Costiera tra il fiume Crati e il Tirreno, non si rilevano più allineamenti di monti o massicci isolati, ma pressoché esclusivamente forme pianeggianti d’altitudine, raggruppate nei tre vasti altopiani della Sila (il più esteso), della Serra, dell’Aspromonte (quello che raggiunge le maggiori quote); altopiani che scendono verso i due mari con ripidi fianchi, lungo i quali s’avvicenda una serie di terrazzi.
L’A. Siculo è formato essenzialmente dai rilievi della Sicilia settentrionale: i Peloritani, i Nebrodi, le Madonie.
Il clima dell’A. rientra nel tipo mediterraneo, ma, per effetto della montuosità e delle caratteristiche altimetriche e morfologiche, in gran parte della catena assume aspetti peculiari che ne fanno una varietà distinta, definibile come clima mediterraneo di montagna (o d’altitudine). Ciò vale per tutto l’A. Settentrionale e Centrale e per una parte dell’A. Meridionale, fino al massiccio del Pollino, a sud del quale, in Calabria e in Sicilia, il carattere tipicamente mediterraneo si manifesta nella sua interezza. È pertanto opportuno distinguere una regione climatica appenninica, caratterizzata da temperature medie invernali sensibilmente più basse di quelle propriamente mediterranee, escursioni termiche annue maggiori e discreta quantità di precipitazioni nevose; e una regione climatica calabro-sicula, con temperature invernali assai miti e nevosità scarsa.
Attualmente nell’A. esiste una sola manifestazione glaciale permanente, il piccolo ghiacciaio del Calderone, nel gruppo del Gran Sasso, in netto regresso dagli anni 1980.
L’idrografia, strettamente correlata con i caratteri climatici e morfologici, si presenta diversa nei due versanti tirrenico e adriatico. Nel primo, in cui lo spartiacque appenninico è in genere lontano dal mare, si sono potuti formare almeno due fiumi dal bacino relativamente ampio e di discreta lunghezza, il Tevere e l’Arno; nel versante adriatico (a parte il caso dei numerosi affluenti del Po che scendono dal fianco nord dell’A. Settentrionale, fiumi piuttosto ‘padani’ che ‘appenninici’) lo spartiacque è quasi sempre assai vicino al mare, specialmente nelle Marche e in parte dell’Abruzzo, i corsi d’acqua sono tutti molto brevi e dispongono di zone di alimentazione assai ridotte; e le loro valli si susseguono parallele tra loro, determinando una naturale compartimentazione in cantoni che sono rimasti sostanzialmente isolati fino a epoche relativamente recenti. Il carattere torrentizio, frequente dappertutto, è esasperato nei fiumi appenninici calabresi, soggetti a piene brevi e violente e quasi asciutti o del tutto asciutti per il resto dell’anno (fiumare).
La vegetazione varia notevolmente procedendo da nord a sud, sia per l’aumento delle specie mediterranee e degli elementi endemici, sia per l’innalzamento dei limiti altimetrici (per es. il limite inferiore del faggio sale da 900 a 1000 m); notevoli anche le differenze tra il versante occidentale e quello orientale. Le formazioni forestali: sono boschi sempreverdi di lecci o di pini e la macchia mediterranea nelle aree più vicine al mare e fino all’altezza di 650 m; boschi misti di caducifoglie (querce, carpini, frassini, castagni) nella zona submontana; estese e frequenti faggete, fra i 1000 e 1800 m, intercalate da boschi di Conifere (pini e abete bianco) nella zona montana; nella zona subalpina la formazione degli alberi nani e degli arbusti, così bene sviluppata e ricca di specie nelle Alpi, è molto povera nell’A. e rappresentata da piante erbacee e cenosi rupicole; una zona alpina si trova solo nelle massime elevazioni, da circa 2000 m in su, e specialmente in Abruzzo.
La fauna dell’A. è caratterizzata da un numero elevato di specie endemiche e da specie di origine settentrionale che hanno il loro limite di distribuzione nei massicci centro-appenninici. Tra i Mammiferi sono protette soprattutto nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (➔ Abruzzo) molte specie caratteristiche, alcune in pericolo di estinzione, quali l’orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus), il camoscio d’Abruzzo (Rupicapra pyrenaica ornata) e la lontra (Lutra lutra), la cui sopravvivenza è legata all’integrità dei biotopi acquatici della valle del Sangro; il cervo (Cervus elaphus), il capriolo (Capreolus capreolus), il cinghiale (Sus scropha) e il lupo appenninico (Canis lupus). Numerose sono le specie caratteristiche dell’A. anche per altri gruppi animali: tra gli Anfibi la salamandra (Salamandra salamandra gigliolii) e la salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata), ambedue endemiche; tra i Rettili Vipera ursinii. Tra gli Uccelli il tordo bottaccio (Turdus philomelos), il crociere (Loxia curvirostra), l’aquila reale (Aquila chrysaëtus), sia pure in numero limitato di esemplari, e molte specie di picchi. Gli Invertebrati sono rappresentati da specie presenti anche sulle Alpi, come le farfalle (Erebia pandrose ed Erebia pluto), e molte endemiche.
L’A. fu abitato dall’uomo sin dall’età del bronzo, con preferenza per le valli longitudinali a fondo ampio e le conche intermontane. La popolazione si accrebbe sensibilmente nei primi secoli dell’età moderna, colonizzando diverse aree a quota più alta. Con la rivoluzione industriale, e il conseguente forte richiamo urbano, prese avvio un processo di spopolamento montano che si accentuò in particolare nel 20° sec., soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale; ma tale processo si è attenuato progressivamente a partire dagli anni 1990. A questo hanno contribuito sia gli effetti di una redistribuzione demografica connessa al crescente congestionamento delle regioni costiere, sia i numerosi rientri di emigrati verso le zone interne. Il movimento naturale della popolazione resta strutturalmente debole e la composizione per età degli abitanti presenta, in modi sempre più marcati, una forte incidenza delle classi più anziane. Rimangono aperti i problemi connessi al presidio delle zone montane e alla difesa del suolo, un aspetto questo più evidente nella sezione centro-meridionale dell’A. La popolazione dell’A. può essere stimata intorno ai 3,5-4 milioni di abitanti (di cui 1,8 milioni residenti al di sopra dei 600 m). Centri più elevati si trovano raramente sopra i 1200 m; eccezionalmente, e solo nell’A. Centrale, oltre i 1400 (Rocca di Cambio, in prov. dell’Aquila, a 1433 m s.l.m.). Ma è caratteristica, in alcune parti dell’A. Abruzzese (Aquilano, Cicolano), la disseminazione della popolazione in aggregati minuscoli privi del carattere proprio dei centri abitati. Invece l’A. Tosco-Emiliano si distingue per una vera dispersione in case isolate. L’economia è imperniata prevalentemente sull’attività primaria: i limiti altimetrici di alcune colture (grano, patata) continuano ad abbassarsi, la cerealicoltura si concentra nei fondivalle; l’allevamento, in fase di ripresa, ha recuperato negli ultimi anni terreni un tempo dedicati ai seminativi. L’A. è interessato da differenti processi evolutivi. Mentre nell’A. Toscano e Umbro-Marchigiano, il processo di industrializzazione, anche favorito dalla vicinanza di grandi poli industriali e urbani, se pur caratteristico della pianura, tenta di risalire le valli e diffondersi anche nel tessuto urbano minore, nella sezione meridionale, i pur numerosi episodi di crescita produttiva (per decenni favorita dai contribuiti della Cassa per il Mezzogiorno), stentano a coinvolgere porzioni crescenti di territorio. Un fenomeno in espansione in pressoché tutte le componenti territoriali dell’A. è invece l’agriturismo. Il fenomeno è prevalentemente concentrato in Toscana, nelle Marche e in Umbria; però anche Abruzzo, Campania, Puglia e Basilicata mostrano interesse per quest’attività produttiva. In generale, nuove prospettive di crescita del comparto turistico si sono aperte in conseguenza dell’istituzione di vari parchi nazionali, di riserve naturali e di parchi regionali. Questo nutrito patrimonio ambientale, la cui difesa e valorizzazione possono costituire un interessante fattore di promozione economica, è presente nell’intera regione appenninica e, con la concomitante affermazione di attività ecocompatibili (oltre al citato agriturismo, l’insieme delle colture biologiche, vari segmenti del comparto agroalimentare ecc.), è in grado di innescare nuovi meccanismi destinati a favorire forme di riequilibrio dei potenziali di crescita regionale.
L’A. ha rappresentato per moltissimo tempo un vero e proprio ostacolo per le comunicazioni tra i due versanti. I collegamenti stradali e ferroviari sono tuttora scarsi e in molti casi obsoleti (molte le tratte ferroviarie ottocentesche, dall’andamento tortuoso e a un solo binario, che non consentono ammodernamenti significativi), e l’emarginazione di ampie aree interne appenniniche, salvo qualche sporadica eccezione, rimane notevole. La principale via di comunicazione fra i due versanti è stata a lungo la ferrovia; la principale tratta transappenninica è senza dubbio la linea Firenze-Bologna, che attraversa l’A. con un traforo ferroviario, la Galleria dell’A., realizzato fra il 1920 e il 1930 (18,507 km) e rimasto per quasi tutto il Novecento il più lungo della rete ferroviaria italiana e il secondo di quella europea. I collegamenti autostradali hanno seguito sostanzialmente i percorsi ferroviari, così come questi a loro volta avevano spesso seguito la viabilità più antica: così è per le tre autostrade che uniscono la costa ligure e il Piemonte, per quella La Spezia-Parma, per la Milano-Napoli, per la Roma-Pescara; più a S, solo la Napoli-Bari attraversa l’A. e segue un percorso indipendente da quelli ferroviari. In seguito la rete superstradale (con le numerose direttrici di fondovalle: del Sangro, del Biferno, del Basento ecc.), è valsa a saldare in alcuni tratti i fasci di comunicazione trasversali con quelli longitudinali, tirrenico e adriatico e, talora, a ridurre la marginalità delle ampie sezioni appenniniche distanti dalle tratte di attraversamento ricordate più sopra.