Regione italiana (13.671 km2 con una popolazione di 5.712.143 ab. nel 2020; ripartiti in 550 comuni, densità 418 ab./km2). Si estende sulla costa tirrenica dalla foce del Garigliano al Golfo di Policastro e confina con Lazio, Molise, Puglia e Basilicata. Capoluogo di regione è Napoli.
Nel territorio campano si distinguono abbastanza chiaramente due parti, allungate da NO a SE: una sezione litoranea, per lo più pianeggiante, inframmezzata da rilievi montuosi d’origine vulcanica (Campi Flegrei e Somma-Vesuvio) o d’origine sedimentaria (Massico e Lattari), e una sezione interna, alquanto accidentata, sebbene interrotta da zone di scarsa elevazione. L’area di maggior importanza della sezione litoranea è il bassopiano campano, fertile e ben popolato, solcato a N dal Volturno e a S dal Sarno. Estensione minore hanno le altre due pianure litoranee, quella del Garigliano a N e quella del Sele a S. Varie isole si affiancano lungo la costa, alcune vulcaniche (Ischia, Vivara, Procida, Nisida), altre calcaree (Capri). La regione interna comprende il tratto dell’Appennino in cui la catena perde la sua unità e si fraziona in una serie di massicci calcarei allineati da NO a SE, con le quote maggiori nel Matese (2050 m); si succedono il Taburno, l’Avella, i Monti Picentini (Cervialto), l’Alburno e il Cervati. Un solco (valle del Tammaro, conca di Benevento, alta valle del Calore) divide, da questi, i rilievi argillosi più bassi posti a E (Monti della Daunia). I corsi d’acqua, diretti per la massima parte al Tirreno, si sono aperti la strada con profonde gole, alimentati da grosse sorgenti che sgorgano ai piedi dei rilievi carsici. Oltre metà del territorio della C. spetta a due bacini idrografici che le appartengono quasi interamente: Volturno e Sele.
Il clima risulta diverso da parte a parte, sia per l’influenza esercitata dai rilievi sulle piogge, sulle temperature e sugli altri elementi del clima, sia per la distanza dal mare. Mentre la zona litoranea ha temperature medie annue intorno a 16 °C, le regioni appenniniche hanno medie più basse, che vanno da 8 °C a Montevergine (1270 m), a circa 13 °C ad Avellino (350 m), a 14 °C a Benevento (135 m). Le piogge più abbondanti (oltre 2000 mm annui) si verificano nelle zone più alte, i valori minimi (800-1000 mm) compaiono invece nelle zone costiere (Campi Flegrei) e nella conca di Benevento. Nella vegetazione, profondamente modificata dall’uomo, si succedono, dal mare verso le cime più alte dell’Appennino: la macchia mediterranea fino a 400 m, il bosco di quercia e di castagno fino a 1000, il bosco di faggio (e più raramente di pini e abeti) fino a 1600, al di sopra del quale si stendono i pascoli, che occupano anche molte pendici disboscate e, fino a pochi anni fa, le pianure dei principali fiumi.
La C. è instabile, dal punto di vista geofisico, per l’incidenza, in parte concomitante, di fenomeni vulcanici e sismici. Il bradisismo interessa l’area flegrea (Pozzuoli), mentre numerosi terremoti hanno colpito, nel tempo, le aree interne (Sannio, Irpinia, Vallo di Diano) e la stessa area napoletana: i più gravi risalgono al 4° sec. d.C., al 1476 (con decine di migliaia di vittime) e, in epoca recente, al 23 novembre 1980.
La regione è stata a lungo caratterizzata da un tasso di natalità, sia nelle zone rurali sia in quelle urbane, fra i più elevati dell’intero paese. Nell’ultimo decennio del 20° sec. il ritmo di incremento è andato rallentando, a causa sia della progressiva riduzione dei tassi di natalità e del saldo naturale, sia della ripresa, pur modesta, dei flussi migratori. L’indice di invecchiamento degli abitanti è decisamente cresciuto. L’andamento demografico si differenzia nell’ambito del territorio regionale, mantenendo un considerevole incremento nelle province di Caserta e Salerno, a fronte di ritmi di crescita molto più deboli nel beneventano e nell’avellinese.
La disomogeneità dei processi di assetto urbano fra le aree interne della regione e l’agglomerazione napoletana (ormai saldata alle propaggini urbane del Salernitano e del Casertano in un continuum residenziale che invade la costa e la porzione meridionale del bassopiano campano) costituisce il problema fondamentale di tutto il sistema geografico-economico campano. L’agglomerazione di Napoli ha fagocitato un’ampia corona di centri (Giugliano, Aversa, Frattamaggiore, Afragola, oltre a tutta la costa del golfo fino a Castellammare di Stabia), trasformando la porzione meridionale del bassopiano campano in una periferia caotica e molto spesso degradata. Delle altre città, solo Caserta e Salerno esprimono una pur ridotta autonomia decisionale nell’organizzazione del proprio spazio, mentre Avellino e Benevento svolgono funzioni prevalentemente amministrative. L’insediamento rurale conserva la sua vitalità nelle pianure di bonifica più recente (piane del Volturno e del Sele) e nella valle del Sarno, dove si trovano attività agricole specializzate ad alta intensità. Nella fascia appenninica orientale, i ‘presepi’ semiabbandonati, aggrappati agli instabili versanti dei rilievi arenaceo-argillosi, forniscono l’immagine concreta di una marginalità ormai insostenibile, mentre nella fascia dei massicci calcarei la maggiore disponibilità idrica e la presenza di alcune fertili conche (alla confluenza del Calore Irpino nel Volturno) danno luogo a isole di popolamento più intenso.
Gli scompensi della struttura insediativa si ripercuotono sull’economia regionale, le cui difficoltà sono emblematizzate dalle tensioni sociali presenti nel capoluogo napoletano, generate dal disordine urbanistico e dalla carenza di servizi non meno che dalla disoccupazione. Infatti, anche se l’economia regionale ha recuperato negli ultimi anni del 20° sec. una parte della quota di perdita occupazionale legata alla fase recessiva della prima metà degli anni 1990, tuttavia, nel 2007 il tasso di disoccupazione superava il 15%. Anche il reddito pro capite continua ad attestarsi a livelli estremamente bassi rispetto alla media nazionale.
L’agricoltura è rappresentata territorialmente in due realtà rilevanti: una localizzata nella piana del Sele e in quella casertana, l’altra in Irpinia, costituita soprattutto da grandi aziende cerealicole e vinicole. Oltre un terzo della superficie agraria e forestale è destinato ai seminativi, il 19,5% alle colture legnose, il 38% ai boschi e alle aree di pascolo, con valori diversi nelle diverse province. Una tendenza alla modernizzazione è rilevante nelle zone costiere, mentre il degrado e lo spopolamento caratterizza le zone più interne. La C. detiene il primo posto per la produzione di patate (23%), fagioli (34%), albicocche (40%), noci (73%) e fichi (35%). Importanti centri di commercio all’ingrosso sono a Pozzuoli, Torre del Greco, Santa Maria di Castellabate e Salerno. Salerno, è anche la capitale della pesca itinerante del tonno nel Tirreno, in possesso di quasi tutta la flotta tonniera mediterranea.
La C. è fra le prime regioni italiane riguardo all’incremento del tasso di imprenditorialità, grazie soprattutto al contributo fornito dal terziario per le imprese e dal settore industriale dell’informatica. Tale dinamica si è manifestata nel contesto di un ridimensionamento dei poli industriali di più vecchio insediamento, per lo più di proprietà extralocale, e nell’ambito di processi di deindustrializzazione che già fra gli anni 1980 e 1990 avevano ridotto drasticamente l’occupazione in molti settori dell’industria di base (emblematico il caso del centro siderurgico di Bagnoli, in provincia di Napoli, definitivamente chiuso nel 1993). Processi di sviluppo del secondario si sono affermati nell’avellinese (produzioni meccaniche di Pianodardine, settore tessile-abbigliamento di Baiano) e in alcuni comuni dell’area vesuviana (industria alimentare, settore dell’abbigliamento e, a Somma Vesuviana, un grande complesso meccanico). Il consolidamento dell’apparato industriale regionale è tuttavia riconducibile essenzialmente all’affermazione di imprese di dimensioni piccole e medie, appartenenti a due diverse tipologie: da un lato, i vecchi sistemi locali (il distretto conciario di Solofra, l’area di produzione di tessuti per arredamento di San Leucio, quelle dell’abbigliamento e delle calzature di Aversa, Casoria, Casavatore e Gragnano); dall’altro, nuovi addensamenti produttivi di piccole imprese emersi in molte aree del territorio in funzione di esternalità legate all’ambiente locale. Anche riguardo all’andamento degli investimenti, le piccole e medie aziende locali hanno svolto un ruolo essenziale, attraendo gran parte dei finanziamenti garantiti in favore delle aree depresse. A partire dal 1999 l’industria locale ha però risentito negativamente dell’accresciuta competitività di prezzo dei prodotti asiatici, soprattutto nei comparti tradizionali (abbigliamento), con la conseguenza di una contrazione delle esportazioni regionali.
Per movimento turistico, la C. è al primo posto nel Mezzogiorno per numero di presenze sia alberghiere che extralberghiere, con circa il 15% del totale nazionale. Le località più frequentate sono Capri, Ischia, Procida, Amalfi, Ravello, Positano. Il maggiore polo di attrazione rimane comunque Napoli.
La rete autostradale e stradale (25.409 km di strade, di cui 443 di autostrada) è discretamente sviluppata in rapporto alla superficie (più di 1200 km per km2). La rete autostradale è formata da due assi, N-S e O-E, che hanno il punto d’incontro a Napoli, da dove si dipartono autostrade per Caserta-Roma, Salerno-Reggio Calabria e Avellino-Bari; fuoriesce dall’area napoletana il tronco che unisce direttamente Caserta e Salerno. La rete ferroviaria è quantitativamente ben dotata, avendo una densità territoriale più alta della media, ma se rapportata alla popolazione è sottodimensionata; l’asse fondamentale è la Roma-Napoli e la Napoli-Salerno-Reggio Calabria, affiancate dalle linee interne oltre a quella di collegamento con l’Abruzzo e il Molise. Notevole è il movimento delle navi nei porti, con prevalenza di merci sbarcate rispetto a quelle imbarcate. Il traffico maggiore, con quasi 13.500.000 t di merci sbarcate e imbarcate, spetta al porto di Napoli, seguito da Salerno e Pozzuoli. Il traffico aereo fa capo a un unico aereoporto, quello di Napoli-Capodichino.
Preistoria. - Le industrie umane più antiche della regione, riferibili al Paleolitico inferiore, sono state individuate nell’isola di Capri e in alcune stazioni del territorio di Marina di Camerota (baia di Cala Bianca, con strumenti litici datati a circa 500.000 anni fa); reperti isolati sono noti anche dal Beneventano e dall’Avellinese. Una maggiore diffusione di insediamento risulta nel Paleolitico medio, soprattutto lungo la costa salernitana: le stratigrafie della Grotta e del Riparo del Poggio (che ha restituito anche un fossile neandertaliano) a Marina di Camerota consentono di seguire l’evoluzione del Musteriano nell’area.
I giacimenti mesolitici più importanti sono costieri (penisola sorrentina e costa del Cilento): sarebbe questo l’esito di un processo compiutosi fra 12.000 e 10.000 anni fa, quando, a seguito delle modifiche climatiche e ambientali successive alla fine della glaciazione wurmiana, i gruppi umani locali passarono gradualmente da un’economia di caccia a un’economia fondata prevalentemente sulla raccolta dei molluschi. L’affermarsi, fra 6° e 5° millennio, dell’economia produttiva dovette avvenire dapprima nelle aree ecologicamente più favorevoli.
Le fasi più antiche del Neolitico sono poco note; meglio rappresentati il Neolitico medio e finale (La Starza). Dell’Eneolitico l’aspetto meglio noto è quello del Gaudo (➔), fiorente in C. nella seconda metà del 3° millennio (Mirabella Eclano, Eboli, Buccino). La cultura appenninica è ampiamente documentata nel Bronzo medio. Contatti col mondo egeo sono attestati nell’età del Bronzo da ceramica micenea a Ischia, Vivara, Polla ed Eboli. Durante l’età del Ferro (9°-metà 8° sec. a.C.) il territorio regionale si articolò, in base al rituale funerario, in due grandi facies culturali: una di inumatori (cultura delle Tombe a fossa) e una di incineratori, di cultura villanoviana, attestata a Capua, Pontecagnano, Eboli, Sala Consilina.
Età antica. - In età storica la C. presenta una fisionomia etnica, politica e culturale, estremamente complessa che la tradizione antica schematizzò nel senso di una successione di invasioni e occupazioni. Sulla fascia costiera del golfo di Napoli, a partire dall’8° sec. si stanziarono colonie greche (fondazioni di Pithecusa, cioè Ischia, e di Cuma, che a sua volta fonda Napoli). Dal 7° secolo fra il golfo di Salerno e il retroterra campano si espansero gli Etruschi, i cui centri maggiori furono Capua, Nola, Nocera, Pompei. Nel resto del territorio erano insediate le popolazioni indigene, variamente denominate Ausoni, Opici, Osci, Sanniti, Campani. I Sanniti dell’interno dilagarono verso la costa nel 5° sec., impossessandosi di Capua nel 424 e di Cuma nel 421. L’espansione romana iniziò nella seconda metà del 4° sec. (alleanza di Capua e Roma, 340) e si concretizzò dopo le guere sannitiche con la fondazione di colonie (Cales, Suessa, Sinuessa; Volturno, Literno, Pozzuoli). La sola Napoli conservò ancora a lungo caratteri ellenici. I dati caratteristici dell’età romana emergono con evidenza nei grandi impianti di otium come Capri e Baia, nelle ville della penisola sorrentina, e negli abitati della regione vesuviana (Pompei, Ercolano, Stabia). Nella divisione augustea dell’Italia, la C. costituiva, unita col Lazio, la prima regione. Dopo Diocleziano la regione divenne una provincia alle dipendenze del corrector Campaniae.
Medioevo ed età moderna. - Dopo la caduta dell’Impero Romano, la C. conservò la propria unità sotto gli Ostrogoti e i Bizantini, finché i Longobardi non annetterono Capua e gran parte dell’entroterra campano al ducato di Benevento (570 circa). Salerno subì la stessa sorte, ma nell’846 si staccò da Benevento dando vita a un nuovo principato longobardo, mentre un altro ne sorse a Capua, che nel 900 s’impadronì anche di Benevento. Nella C. bizantina il ducato di Napoli, dal quale si staccò poi l’altro di Gaeta (899-933), venne svincolandosi sempre più dalla soggezione all’Impero. Tale processo fu comune a tutta la regione e soprattutto ad Amalfi, prima soggetta ai Longobardi, poi liberatasene (839) e rimasta quasi autonoma durante i sec. 9° e 10°, mentre superava ogni altra città campana per il fiorire della sua economia. Così sconvolta e divisa, la C. fu facile conquista dei Normanni, i quali dalla primitiva contea di Aversa estesero il loro dominio al principato di Capua (1062) e alla restante C. settentrionale, mentre il principato di Salerno fu conquistato da Roberto il Guiscardo (1077). Costituitosi saldamente il dominio normanno con Ruggero II, anche Napoli si arrese (1139) e da allora la storia della C. si confonde con quella del Regno di Sicilia, poi di Napoli e infine delle Due Sicilie: nel 15° sec. passò dal dominio degli Angioini a quello degli Aragonesi; dopo le dispute con la Francia, risoltesi nel 1503, il dominio spagnolo riorganizzò il regno meridionale affidandone il governo a un viceré. Nel 1707 la C. entrò in possesso degli Austriaci e, nel 1734, di Carlo di Borbone. Prima Giuseppe Bonaparte (1806), poi Gioacchino Murat (1808), furono nominati re delle Due Sicilie. Tornarono quindi i Borbone, cacciati da Garibaldi (1860).
Età contemporanea. - Riunita al Regno d’Italia, la C. attraversò una notevole crisi di ambientamento nel quadro politico, economico e finanziario del nuovo Stato, aggravata da ricorrenti epidemie (soprattutto grave quella colerica del 1884). Nel 1927 fu soppressa la provincia di Caserta (ristabilita solo nel 1945) e il suo territorio attribuito, con criteri non sempre giustificabili, oltre che alla provincia di Napoli, a quella laziale di Frosinone e nel 1932 a quella di Littoria (od. Latina).
Durante la Seconda guerra mondiale i Tedeschi s’insediarono fin dal 1941 a Napoli e in C. per alimentare le truppe dislocate nell’Italia meridionale, in Sicilia e in Africa settentrionale. Dopo l’armistizio del 1943, iniziarono il disarmo delle forze italiane della regione, senza incontrare altro che sporadiche resistenze; quasi contemporaneamente gli Alleati sbarcavano a Salerno, costringendo di lì a poco i Tedeschi a ritirarsi sulla linea Gustav; tra i combattimenti di ritirata, particolarissima importanza, anche da un punto di vista politico, ebbero le Quattro giornate di Napoli. Le operazioni ristagnarono sul Garigliano-Sangro, fino alla seconda fase della battaglia di Cassino dell’11 maggio 1944, dopo la quale gli Alleati, apertasi allora la via di Roma, per oltre un anno ancora utilizzarono la C. come la loro massima base logistica in Italia.
I dialetti della C. sono i rappresentanti più tipici dei fenomeni che distinguono i dialetti meridionali (non estremi). Così in essi le finali -i, -u esercitano il normale effetto di metafonesi su e, o tonici della sillaba precedente: per es., rèndë «dente» ma ri̯èndi, ri̯èndë «denti» ecc. Frequente è il passaggio di d a r (rùrëčë «dodici»), normali quelli di pi-, bi-, fi- a ki̯- (kian’n’ènnë «piangendo»), i̯- (i̯àṅkë «bianco»), š- (šùmë «fiume»), di nd, mb a nn, mm (šènnërë «scendere», palomma «palomba») e così via; tra v e b si ha spesso confusione (betacismo), con esiti diversi secondo la posizione (bìrë «vedi», ma làvra «labbra»). Negli esiti di -u e -i finali latini, i dialetti del Cilento meridionale si regolano come i calabresi: -u e -i; gli altri hanno per tutt’e due questi suoni -ë, ovvero li perdono del tutto, come accade nei dialetti abruzzesi. Però -a spesso rimane, salvo che nel vernacolo di Napoli e dintorni, che per lo più presentano -ë.