Regione dell’Italia settentrionale (25.873 km2 con 4.311.217 ab. nel 2020, ripartiti in 1181 Comuni; densità 170 ab./km2). È situata ai piedi delle Alpi Occidentali e comprende un arco montuoso che, dall’Appennino Ligure, si estende lungo il versante italiano delle Alpi fino al Lago Maggiore e il lembo sottostante della Pianura Padana. Le Alpi la separano dalla Francia, dalla Svizzera e dalla Valle d’Aosta, i crinali dell’Appennino dalla Liguria, mentre lunghi tratti delle sponde del Ticino e del Po la dividono dalla Lombardia. Il capoluogo di regione è Torino.
Il territorio si articola al proprio interno in quattro zone morfologiche: montagna, collina, alta e bassa pianura. Quasi la metà della superficie regionale è montuosa, mentre la parte pianeggiante occupa solo il 20% del totale. Spicca, nella configurazione fisica del P., la mancanza di una zona pedemontana collinare addossata alle Alpi, come invece si riscontra nelle regioni contermini: alla montagna si alterna quindi la pianura, e al centro di quest’ultima il sistema collinare del Monferrato. Questa peculiarità morfologica fa scaturire una grande varietà di paesaggi e di unità geografico-ambientali minori: dagli ambiti marcatamente alpini, dove si superano i 4000 m di altezza (Monte Rosa, 4634 m; Gran Paradiso, 4061 m), alla bassa pianura vercellese, posta a circa 100 m s.l.m., si ha infatti una vasta gamma di situazioni altimetriche e di modellamenti naturali del terreno che si traducono in una complessa e maestosa scenografia naturale. La pianura, che forma un grande semicerchio intorno all’area collinare, è stata generata in larga parte dall’azione dei corsi d’acqua alpini e si presenta ancor oggi, nonostante un secolare lavoro di bonifica, ciottolosa e permeabile nella parte più alta, impermeabile e fertilissima nella parte bassa. L’alta pianura, al di sopra dei 300 m s.l.m., partendo dal Cuneese corre parallela ai rilievi alpini fino alla regione del Verbano, mentre la media e bassa pianura da Torino si allarga nel Vercellese, nel Novarese e nell’Alessandrino.
La posizione geografica e le caratteristiche morfologiche fanno sì che il clima, di tipo prevalentemente continentale, sia anche assai vario. Nelle zone meno elevate si nota un’escursione termica annua notevole con minime invernali anche lievemente inferiori a 0 °C e massime estive di 25-28 °C; la regione montuosa, invece, presenta condizioni di clima decisamente alpino. Il regime delle precipitazioni è vario da zona a zona: la pianura ha inverni caratterizzati da abbondanti nevicate e nebbie frequenti; le punte di massima piovosità si riscontrano nella regione compresa tra il Lago Maggiore e il Biellese (1600 mm); l’intensità stagionale, comunque, è per tutto il P. massima in primavera e in autunno, minima in inverno.
L’idrografia piemontese è in prevalenza connessa con il suo fiume principale, il Po: i maggiori corsi d’acqua, infatti, sono suoi affluenti, e ciascuno di essi ha un bacino assai ricco di fiumi secondari e torrenti. Il P. ha numerosi laghi alpini di varia grandezza nella zona montuosa, ai piedi della quale giacciono il Lago d’Orta e il Lago Maggiore, di cui appartiene al P. soltanto parte della sponda occidentale.
Negli ultimi decenni del 20° sec. la popolazione regionale è andata costantemente diminuendo, a causa della tendenza negativa del saldo naturale (manifestatasi già a partire dalla metà degli anni 1970) e della progressiva riduzione dei flussi immigratori interni. Il declino demografico ha riguardato, secondo dinamiche diverse, aree agricole in crisi produttiva, soprattutto nel Sud della regione, e zone interessate dallo smantellamento di vecchi impianti industriali. La perdita demografica è via via diminuita fino ad arrestarsi, nei primi anni del 21° sec., anche grazie all’apporto dell’immigrazione esterna. Notevole peso ha assunto il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione: nel 2008 oltre il 22% degli abitanti superava i 65 anni di età. Più del 50% degli abitanti è concentrato nella provincia di Torino, in cui, oltre al capoluogo, cinque città superano i 40.000 abitanti (Collegno, Moncalieri, Nichelino, Rivoli, Settimo Torinese). La struttura insediativa fa perno, oltre che sull’area metropolitana torinese, anche su alcuni sistemi urbano-territoriali policentrici quale quello dei centri pedemontani orientali (Biella, Borgosesia, Borgomanero), quello della pianura cuneese (Saluzzo, Savigliano, Fossano, Cuneo), dell’Albese-basso Astigiano (Alba, Asti, Canelli, Nizza Monferrato), dell’asse Novara-Domodossola e di quello Casale-Alessandria-Valle Scrivia. Queste configurazioni urbane sono, peraltro, cinte tutt’attorno da un’estesa area di rarefazione demografica costituita da buona parte delle aree alpine e dell’alta collina, anche se la diffusione insediativa lungo gli assi stradali ha teso a frazionare e interrompere la loro unità.
In P. le caratteristiche fisico-ambientali del territorio hanno per lungo tempo contribuito a modellare la distribuzione geografica della popolazione e delle attività economiche. A partire tuttavia dai primi decenni del 20° sec., e in particolare dagli anni 1950, la crescita di questa regione si è in larga misura identificata con quella di Torino, della sua area metropolitana e di pochi altri centri, tra cui i capoluoghi di provincia. Il successo ottenuto dalla FIAT, da altre grandi imprese meccaniche, elettroniche, tessili, alimentari e dal loro indotto ha infatti accentrato una crescente massa di forza lavoro, di capitali, di mezzi di produzione, di servizi e di infrastrutture in queste aree. Su circa il 15% del territorio regionale è andato così a concentrarsi più del 60% della popolazione e oltre il 70% dei posti di lavoro. Questa crescita innovativa e tumultuosa, che quasi non trova riscontro in altri contesti regionali italiani, ha tuttavia accresciuto i divari già esistenti con le aree più spiccatamente agricole, come quelle del Cuneese, dell’Astigiano e del Vercellese, e con i distretti sede della prima industrializzazione, come il Pinerolese, parte del Biellese, la Valsesia e l’alto Novarese. Questi processi e le relative dinamiche si sono tuttavia arrestati nel corso degli anni 1970, quando si sono manifestati i primi sintomi della crisi economica e, in maniera evidente, gli svantaggi derivanti dall’eccessiva concentrazione urbana e dalla grande dimensione d’impresa.
All’incalzante crescita dell’industrializzazione, è corrisposta una grave crisi dell’agricoltura. Soprattutto negli anni 1960, pesanti tassi di deruralizzazione hanno profondamente segnato un settore che pure manifestava una discreta vitalità economica. In quegli anni molte aziende agricole, in prossimità dei principali centri urbani, sono state riconvertite in unità part-time, con una accentuata semplificazione degli indirizzi produttivi; altre aziende, localizzate negli ambiti meno accessibili delle aree collinari e montane, fortemente frazionate e scarsamente meccanizzabili, sono state invece abbandonate. Sono sfuggite a queste caratteristiche alcune zone in cui sono rimaste significative forme di agricoltura specializzata. Nello spazio regionale queste aree risultano in parte sovrapposte agli ambiti della struttura industriale e in parte dotate di una loro precisa identità territoriale. Al primo gruppo possono essere ascritte le aree di agricoltura intensiva ad alto carico bovino del Cuneese, mentre alle seconde le aree risicole del Vercellese, quelle vitivinicole dell’Albese e dell’Astigiano meridionale, nonché quelle frutticole del Saluzzese. In queste aree, infatti, le conseguenze dello sviluppo extra-agricolo e dell’impoverimento della base sociale sono apparse meno accentuate che altrove, in quanto il pur elevato tasso di deruralizzazione che esse hanno subito non ha inciso sull’efficienza complessiva delle loro attività caratterizzanti. Tra queste aree specializzate, notevole lo sviluppo di quelle viticole, le quali, pur restringendosi entro un ambito territoriale limitato, hanno compreso anche buona parte delle industrie di trasformazione, delineando un sistema agro-industriale integrato.
Nel corso dell’ultimo decennio del 20° sec., l’economia locale ha manifestato processi di rallentamento legati a complessi interventi di riassetto degli apparati produttivi e a condizioni congiunturali. Queste ultime hanno interessato un po’ tutte le regioni nord-occidentali e il P. in modo particolare, vista la peculiare sensibilità della regione nei confronti delle oscillazioni dei cicli economici a causa dell’elevato peso del settore industriale, a sua volta specializzato in produzioni con forte variabilità ciclica (mezzi di trasporto e beni di investimento). Tra la fine del 20° e i primi anni del 21° sec., le caratteristiche predominanti dell’apparato economico regionale sono progressivamente mutate: il numero degli addetti all’industria (33,5% nel 2008) è diminuito a favore di un incremento dell’occupazione nei servizi (62,7%); alcuni settori, come il tessile-abbigliamento, sono stati interessati da processi di rilocalizzazione di intere fasi del ciclo produttivo in paesi caratterizzati da basso costo della manodopera; altri comparti, come quelli che afferiscono alla filiera dell’automobile, sono stati riorganizzati mediante l’installazione di nuovi impianti al di fuori della regione. In stretta correlazione con queste trasformazioni, il livello di terziarizzazione è aumentato, soprattutto mediante il mutamento delle tipologie dei servizi offerti: si è ridimensionato il peso in termini di occupati del commercio tradizionale a favore dei settori della ricerca, dell’informatica, dei servizi per le imprese, con particolare riguardo alla creazione di strutture specialistiche di marketing rivolte alla ricerca di strumenti operativi in grado di accrescere l’accessibilità a specifici fattori informativi, così da favorire l’afflusso di investimenti esteri nell’industria. Si sono andate modificando anche le tradizionali specializzazioni produttive, con un ridimensionamento del comparto dei mezzi di trasporto e di quello delle macchine e apparecchiature elettroniche, in seguito alla crisi nazionale del settore. La regione mantiene, tuttavia, nel confronto con la struttura economica dell’intero paese, la propria fisionomia di area a spiccata vocazione industriale, con una consistenza delle attività manifatturiere che in termini di addetti e di dimensioni imprenditoriali supera ampiamente la media nazionale, e con caratteri di accentuata specializzazione nei settori dell’industria di base. Occorre però rilevare che, nonostante il relativo successo dei processi di riconversione industriale e riassetto produttivo, il P. ancora risente della crisi che ha colpito la grande industria, come dimostra il tasso di disoccupazione (5,0% nel 2008), tra i più alti dell’Italia settentrionale. Poco valorizzate sono le attività turistiche, sebbene la regione possa considerarsi ricca di risorse di base, con alcuni comprensori sciistici fortemente attrezzati come quelli delle Alpi Marittime, dell’alta Valle di Susa e della Valsesia. In queste località, a una nutrita struttura alberghiera e di servizi complementari si è accompagnata la presenza di veri e propri sistemi di piste e di impianti che si sono estesi addirittura oltre frontiera, determinando una crescente integrazione delle stazioni sciistiche locali con quelle del versante alpino francese o svizzero. A esclusione poi delle località turistiche del Lago Maggiore e del Lago d’Orta, tutti i restanti centri sono caratterizzati da una debole struttura alberghiera e da una altrettanto carente dotazione di servizi complementari; i capoluoghi di provincia, e Torino in particolare, nonostante abbiano conservato testimonianze storico-artistiche e culturali rilevanti, rappresentano la meta solo di modesti flussi turistici sia nazionali sia internazionali.
Le tracce di industrie paleolitiche sono scarse, mentre è meglio rappresentato il Neolitico (grotta di Aisone; strato più antico dell’abitato di Alba; sepolcreti di Montjovet e di Villeneuve; grotte del Monfenera). Numerose le testimonianze dell’età del Bronzo (abitati di Avigliana, Alba, Mercurago; materiali provenienti da San Giovanni dei Boschi e da Trana; abitati palafitticoli sulle sponde del Lago di Viverone; rinvenimenti effettuati nelle province di Novara e Vercelli). Per l’età del Ferro, nell’area compresa fra Ticino e Sesia, si hanno numerose e significative testimonianze sia della cultura di Golasecca sia della crescente influenza culturale dei Celti, la cui immigrazione, tra 6° e 4° sec. a.C., avrebbe interessato l’intera regione. Tra le necropoli galliche è da segnalare quella di Dormelletto (3° a.C. sec.).
La romanizzazione servì da impulso alla fondazione di centri urbani e alla costruzione di strade e di ponti (finora ne sono stati individuati nove). Sono da menzionare gli scavi condotti a Ivrea (resti della fondazione della colonia), Alba (strade con relativi edifici), Asti (abitazioni e un tratto dell’anfiteatro), Vercelli (edifici urbani e una necropoli), Novara (tratto delle mura urbane e indagini sul territorio). A Torino sono degni di nota il ritrovamento di un mosaico (reperto raro in P.) a cocciopesto, probabilmente coevo all’impianto della colonia, e i ritrovamenti relativi ad assi viari e case della città romana. Nella fase tardoantica, Castelvecchio di Peveragno, abitato ligneo sede di attività metallurgiche, è esempio significativo del fenomeno di ritiro della popolazione sulle alture, caratteristico dell’epoca.
In epoca romana il nome P. è sconosciuto e anche nell’Alto Medioevo non compare come unità a sé; anzi, mentre la quasi totalità dell’odierno P. passava da Odoacre a Teodorico, ai Bizantini e ai Longobardi, le valli di Susa, di Lanzo e d’Aosta andarono in mano ai Franchi. Devastato nel 9° sec. da Ungari e Saraceni, nel 10° sec. il P. si raggruppa quasi tutto nella potente formazione politica della marca d’Ivrea, sotto gli Anscarici; questa si divide, verso il 950, nelle marche d’Ivrea propriamente detta, di Torino e della Liguria o, dal nome della sua dinastia, aleramica. Fu questa l’organizzazione fondamentale su cui s’imperniò la storia successiva del Piemonte. Nell’11° sec. Olderico Manfredi, marchese di Torino, dominò anche la marca d’Ivrea, lasciando il potere alla figlia Adelaide che, a sua volta, sposando Oddone di Savoia, figlio di Umberto Biancamano, trasmise alla casa sabauda, già padrona della valle d’Aosta, i suoi diritti e la dinastia sabauda divenne così una delle potenze maggiori nel territorio piemontese. Alla morte di Adelaide (1091) il grande dominio si sfasciò ma, tra il 12° e il 13° sec., i conti di Savoia riuscirono a riguadagnare gran parte del territorio perduto. Intanto, si era pure disfatta la marca aleramica, dalle cui rovine sorsero il marchesato di Monferrato e quello di Saluzzo, oltre a minori signorie e ai comuni liberi.
Nella prima metà del 13° sec. comparve il nome P., che tuttavia fu attribuito soltanto al territorio racchiuso all’incirca fra il Po, il Sangone e le Alpi. A partire dal 13°-14° sec., la storia del P. si identifica con la storia della formazione dello Stato sabaudo.
I dialetti del P., che si possono distinguere in un gruppo alto-piemontese (Cuneo, Torino) e uno basso-piemontese (Vercelli, Alessandria), non s’individuano nettamente all’interno dei dialetti italiani settentrionali (soprattutto liguri e padani), con cui partecipano al dileguo delle vocali finali diverse da -a, alla semplificazione delle consonanti doppie, alla lenizione delle consonanti sorde intervocaliche, alla palatalizzazione in ü e talvolta in i della ū latina: caratteri, questi comuni a tutta l’area galloromanza. La conservazione di -s finale e la palatalizzazione di ca- e ga-, caratteri tipici del francese e del provenzale, non appaiono qui se non come relitti, e questo dimostra che i dialetti piemontesi erano anticamente più vicini ai tipi transalpini, mentre in un secondo tempo si sono differenziati da essi sotto gli influssi italiani provenienti dal sud e dall’est.
Principe di P. Titolo dato per consuetudine, dal 15° sec., ai primogeniti della dinastia di Savoia; gli ultrogeniti, anche come principi ereditari, conservavano il titolo già loro attribuito.
Razza piemontese Razza di bovini dal mantello di color biondo dorato. Di statura elevata (135-150 cm), raggiungono i 600-900 kg; hanno testa ampia, corna bianche alla base e nere in punta, collo sviluppato, tronco cilindrico.