Figlio (n. 1278 - m. 1343) e successore (1309) di Carlo II d'Angiò, si ritrovò a regnare sulla sola Napoli in seguito alla cessione della Sicilia a Federico d'Aragona (1272-1337), secondo quanto stabilito nella Pace di Caltabellotta (1302). Ostile all'imperatore Enrico VII, ne affrontò la discesa in Italia (1311-13) ponendosi a capo dei guelfi. Morto Enrico (1313), R. si scontrò a più riprese con i ghibellini capeggiati dai Visconti e dagli Scaligeri. Sconfitto a Montecatini (1315), R. promosse una strategia di collaborazione con papa Giovanni XXII, mirando a riacquistare la Sicilia e ad assicurare la successione dinastica, ma mancò entrambi gli obiettivi.
Terzogenito di Carlo II d'Angiò, allora erede della corona siciliana. In seguito al trattato di Campofranco (1288) fu mandato in ostaggio ai re d'Aragona insieme ai fratelli maggiori Carlo Martello e Ludovico e al fratello minore Raimondo Berengario. Liberato (1295), fu designato (1297) alla successione del padre, essendo morto Carlo Martello e avendo Ludovico rinunciato ai suoi diritti; sposò (1297) Iolanda (o Violante) d'Aragona, sorella di Giacomo II. Ripresa (1299) la lotta contro Federico d'Aragona e i Siciliani ribelli, R., che aveva il titolo di duca di Calabria, guidò l'esercito angioino fino alla conclusione della pace di Caltabellotta (1302). Rimasto vedovo (1303), sposò (1304) Sancia di Maiorca. Nel 1305, insieme al padre, ebbe parte attiva nelle laboriose trattative che dovevano condurre all'elezione di Clemente V; poi, come capitano generale della Taglia guelfa, condusse in Toscana una campagna contro guelfi bianchi e ghibellini. Nel 1309, alla morte del padre, diveniva re di Sicilia. La sua politica verso Arrigo VII, che scendeva in Italia accompagnato dalla benedizione papale e col proposito di ristabilire la pace, fu dapprima alquanto incerta; poi (1312) si decise a prendere una posizione ostile al re tedesco, ma lasciando ai Fiorentini il peso maggiore della lotta. Morto Arrigo (1313), R. si trovò coinvolto negli avvenimenti nell'Italia settentrionale, dove si scontrò a più riprese con i ghibellini, capeggiati dai Visconti e dagli Scaligeri, e in Toscana: qui nel disastro guelfo di Montecatini (1315) caddero il fratello di lui Pietro conte d'Eboli, e il nipote Carlo d'Acaia. A partire dal 1316, la politica di R. in Italia procede di stretto accordo con quella del nuovo papa Giovanni XXII; anzi, per cinque anni (1319-24), R. dimora addirittura in Avignone. Tornato a Napoli, acconsente che il proprio figlio ed erede, Carlo duca di Calabria, accetti la signoria di Firenze (1325); ma il duca, tra le proteste dei Fiorentini, si ritira alla calata di Ludovico il Bavaro. Da ultimo (1328-43), la politica di R., rinunciando progressivamente ai più vasti progetti di egemonia italiana, si concentrò su due problemi: riacquistare la Sicilia e assicurare la successione dinastica, gravemente compromessa dalla morte prematura del duca di Calabria (1328), che aveva lasciato soltanto due figlie, Giovanna e Maria. Ma le guerre siciliane non condussero ad alcun risultato, mentre il disgraziato matrimonio tra Giovanna e Andrea d'Ungheria, voluto dal re, segnò l'inizio delle vicende burrascose che dovevano segnare la fine della dinastia.