Cimiteri sotterranei, soprattutto cristiani, ma anche ebraici. La sepoltura sotterranea fu limitata ai luoghi in cui la natura del terreno lo permetteva e costituì soprattutto un mezzo di economizzare lo spazio, utilizzandolo anche in profondità.
Il nome deriva da quello (ad catacumbas, probabilmente dalla designazione greca κατὰ κύμβας «presso le grotte» o «nell’avvallamento») di uno dei complessi cimiteriali cristiani di Roma, situato tra il 2° e il 3° miglio della via Appia (nel luogo su cui sarebbe sorta la basilica di S. Sebastiano), veneratissimo per la Memoria degli apostoli Pietro e Paolo (i cui corpi vi furono traslati per un certo periodo dopo il 257). Nelle vicinanze si trovava il cimitero ufficiale della Chiesa romana da papa Zefirino in poi (cimitero di Callisto), con i sepolcri di papi del 3° e 4° secolo. È leggenda, non anteriore al 6° sec., che i cristiani si rifugiassero nelle catacombe durante le persecuzioni e che allora regolarmente e ordinariamente vi fosse celebrato il culto.
Presenti in molte località italiane (Napoli, Siracusa ecc.), a Malta, in Africa settentrionale, le catacombe sono particolarmente numerose a Roma, ove il terreno di tufo granulare si prestava bene allo scavo di ipogei e gallerie. Le catacombe costituivano una vasta rete, intersecandosi ed estendendosi a diversi livelli, per una lunghezza spesso di vari chilometri, lungo le vie consolari, talora a considerevole distanza dalla città. Nelle pareti delle gallerie (dai cristiani chiamate cryptae) erano scavate le tombe, loci o loculi, cavità rettangolari, chiuse con lastre di marmo o con mattoni, atte a contenere uno o due, o anche tre corpi, disposte orizzontalmente nel senso delle gallerie e sovrapposte nel numero permesso dall’altezza della parete; alcune tombe si distinguevano perché sormontate da una nicchia (arcosolia). Ai lati delle gallerie si aprivano ambienti più ampi (cubicula), che talvolta contenevano la tomba di un martire o erano destinati al culto commemorativo dei defunti, e vere e proprie basilichette ipogee, come la cappella greca nelle catacombe di Priscilla o la Cripta dei papi nelle catacombe di Callisto.
Arcosoli e cappelle furono decorati di pitture, condotte per lo più in stile compendiario. I soggetti erano tratti da miti pagani, cui era stato dato un nuovo valore simbolico (Amore e Psiche, amorini vendemmianti, Orfeo), e dal Vecchio e dal Nuovo Testamento; altri hanno un significato religioso generico come l’Orante, il Filosofo, il Pastore, specialmente il Buon Pastore, o accennano al culto cristiano (Convito celeste, Giardino del paradiso, i pani e il pesce). Avanzi di mosaici si conservano a Roma nelle catacombe di S. Ermete e di Priscilla e nelle catacombe napoletane. La scultura è rappresentata quasi esclusivamente da rilievi di sarcofagi e decorazioni in stucco. Non mancano vetri, avori, lucerne e ampolle. Con la diffusione del culto dei martiri, papa Damaso I ne ricercò le tombe nelle catacombe, adornandole con monumentali iscrizioni.
Con il 6° sec. i cimiteri sotterranei cessarono di essere luoghi di sepoltura, pur continuando a essere visitati per devozione; tra il 7° e il 9° sec. furono sempre più frequenti le traslazioni di corpi e reliquie, cui seguì l’abbandono delle catacombe, tranne poche presso cui sorgevano monasteri. Ricominciarono a essere frequentate nel 16° sec., per opera di s. Filippo Neri e dei fondatori dell’archeologia cristiana, come A. Bosio, con cui incominciò lo studio sistematico, ripreso nel 19° sec. da G. Marchi e G.B. De Rossi, cui seguirono nel 20° sec. J. Wilpert e A. Ferrua.