Uno dei dodici Apostoli. Secondo il Vangelo di Matteo (16, 17-19; cfr. Giovanni, 1, 42) il suo nome originario, reso in italiano come Simeone o, per lo più, come Simone (gr. Σίμων), figlio di Giona, fu mutato in Pietro da Gesù stesso (Πέτρος, calco dell'aramaico Kēfā, Cefa nel Nuovo Testamento: cfr. Giovanni 1,42; I Corinzî 1,12; ecc.). Originario di Betsaida sulla riva nord-orientale del lago di Gennesaret, dimorava a Cafarnao esercitando il mestiere del pescatore, con il fratello Andrea (v.). Dapprima seguace di Giovanni Battista, questi lo indirizzò a Gesù che lo ebbe tra i primi discepoli e a Cafarnao prese dimora in casa sua. Alcuni episodî narrati dai Sinottici servono a tratteggiare la figura di P.: in Matteo (10, 2) egli è ricordato nell'elenco degli Apostoli, per primo, e per primo riconosce Gesù quale Messia (Matteo 16, 13-19; Marco 8, 17-20; Luca 9, 18-20); nell'ultima cena egli attesta la propria fedeltà a Cristo: "Se è necessario che muoia con te, mai ti rinnegherò" (Marco 14, 31), cui segue la predizione e il racconto del suo triplice rinnegamento prima del canto del gallo. Ma particolare importanza hanno assunto i passi dei Vangeli che riferiscono parole solenni di Gesù riguardo a Pietro e che hanno costituito le basi teoriche e giuridiche del primato affermato dalla Chiesa di Roma. Testi principali sono: Matteo 10, 2 e luoghi paralleli, Giovanni 21, 15-17 e soprattutto Matteo 16, 13-19. Dopo che a Cesarea di Filippo P. aveva riconosciuto Gesù "il Messia, il Figlio del Dio vivente", in Matteo seguono le famose parole di Cristo: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché non carne e sangue te l'ha rivelato, ma il Padre mio ch'è nei cieli. Ora anch'io ti dico: tu sei P., e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa, e le porte degl'inferi non prevarranno contro di essa. E a te darò le chiavi del Regno dei cieli" (16, 17-19). Quest'ultimo passo, il più importante e chiaro tra tutti, dai più considerato come interpretazione del pensiero di Gesù da parte della comunità rappresentata da Matteo, è comunque ben inserito nel complesso dei testi che mettono P. in posizione di preminenza. ▭ Per la vita di P. dopo la morte di Cristo abbiamo, fino verso il 50, gli Atti degli Apostoli. Dopo la Pentecoste, P. inizia a Gerusalemme la predicazione di Cristo e della sua messianità. A P. è attribuito il primo miracolo dopo la morte di Cristo, la guarigione dello storpio davanti alla porta del Tempio, e ancora a lui è attribuita la prima conversione di un gentile alla Chiesa, il centurione Cornelio (Atti 11). Nel 42 il re Agrippa I di Giudea, che aveva avuto il trono da Caligola, perseguita i cristiani facendo decapitare l'apostolo Giacomo e arrestare P.; questi, miracolosamente liberato dal carcere, fugge altrove (Atti 12). Infine P. compare nel cosiddetto Concilio di Gerusalemme per discutere il trattamento da riservare ai gentili, che per l'apostolato di Paolo cominciavano ad abbracciare il messaggio cristiano. P. sostiene che la salvezza viene da Cristo e non dal giogo della legge "che né i nostri padri né noi abbiamo potuto portare" (Atti 15, 10). Poi gli Atti non parlano più di lui, ma sappiamo che fu in Antiochia ove ebbe un aperto dissidio con Paolo, il quale lo accusò di ipocrisia per non volere più sedere a mensa con i gentili convertiti, dando così ragione a un costume tipicamente farisaico, sostenuto dai messi di Giacomo (cfr. Galati, 2, 11-14). Probabilmente P. fu anche a Corinto e infine a Roma. Che abbia vissuto e sia morto a Roma è affermato da varie testimonianze letterarie e archeologiche: alcuni indizî si sono tratti anzitutto dalla lettera indirizzata ai Corinzî (circa 96-98) da papa Clemente il quale, scrivendo da Roma, ricorda il martirio di P. e di Paolo e aggiunge che le sofferenze dei due apostoli furono di ottimo esempio "fra noi"; altri indizî si ricavano anche dalla lettera di Ignazio di Antiochia; più tardi sono i riferimenti espliciti: Dionigi di Corinto (170 circa) afferma che Roma e Corinto ebbero gli stessi fondatori, P. e Paolo; Pietro Alessandrino, Atanasio, Gregorio Nisseno, Giovanni Crisostomo affermano che P. morì in Roma; papa Damaso dice che P. e Paolo sono cittadini romani per il loro martirio. Non si conoscono l'anno esatto e il modo della morte di P.: molti storici pensano al suo martirio al tempo della persecuzione neroniana, verso il 64 o il 65 (si è proposta una più precisa datazione al 13 ottobre 64, coincidente col dies imperii di Nerone): Tertulliano dice che fu crocifisso. Quanto alla sepoltura di P. a Roma, attraverso le indagini archeologiche si è potuta confermare la tradizione che la poneva sul colle vaticano, dove Costantino aveva fatto erigere una basilica "sul sepolcro dell'Apostolo" e si è ritenuto anche (M. Guarducci) di poter identificare le reliquie di Pietro. ▭ Il nome dell'apostolo entra in alcune locuz. letter., con riferimento alla Chiesa romana e al pontefice, considerato come successore di s. Pietro: la cattedra di s. P. (v. cattedra); le chiavi di s. P., la facoltà di aprire e chiudere le porte del Paradiso; la navicella di P., la Chiesa (v. navicella); l'obolo di s. P. (v. obolo); il patrimonio di San P. (v. Patrimonio di San Pietro). Nella locuz. lat. in domo Petri ("nella casa di P."), in carcere, con allusione alla prigionia di s. Pietro. In alcune locuz. dell'uso pop.: gabbar s. P., di chierico, svestire l'abito; far s. P., pigliar P. per la barba, negare sfacciatamente.
Iconografia. - In età paleocristiana P. è raffigurato come apostolo, con tunica e manto, barba e capelli corti e ricciuti; in seguito si diffonde inoltre la sua rappresentazione come primo vescovo, in abiti pontificali e, dal 14° sec., con il triregno. L'attributo più consueto sono le chiavi, da cui deriva, come adattamento iconografico della traditio legis (v.), la scena della Consegna delle chiavi (ciborio di S. Ambrogio a Milano, seconda metà del 10° sec.; Donatello, rilievo, 1428-30, Londra, Victoria and Albert Museum). Tra gli altri attributi, la barca, che può divenire inoltre simbolo della Chiesa (v. navicella, nel sign. 1 b), le catene, il gallo, la croce capovolta del martirio, la croce pastorale triplice. La figura di P. può comparire isolata (icona del monastero di S. Caterina sul Monte Sinai, 6° sec.; statua bronzea a S. Pietro in Vaticano già datata al 5° sec. e in seguito attribuita ad Arnolfo di Cambio), spesso come simbolo dell'autorità papale, in gruppo con gli apostoli, o in coppia con Paolo. I cicli narrativi, che risultano più diffusi in Occidente, dove è maggiore l'importanza di P. come fondatore della Chiesa di Roma, derivano dai libri neotestamentarî, dagli apocrifi e dalla Legenda aurea di Iacopo da Varazze. Tra gli esempî più notevoli: affreschi nell'aula cultuale di Dura Europo (3° sec.); varî sarcofagi del 4° e 5° sec.; mosaici nel duomo di Monreale (12° sec.); vetrate della cattedrale di Bourges (13° sec.); affreschi di Masolino e Masaccio in S. Maria del Carmine a Firenze (1424-28, terminati da F. Lippi). Per le rappresentazioni dell'incontro tra P. e Simone Mago, v. Simone Mago.
Apocalisse di Pietro. - Apocalisse extracanonica risalente alla prima metà del 2° sec., di probabile origine egiziana, che godette di grande autorità nei primi secoli cristiani prima di essere annoverata tra gli apocrifi. È nota principalmente per un frammento greco e per una versione etiopica scoperta verso la fine del sec. 19°, oltre che da citazioni di autori antichi: si ritiene che il frammento greco e la versione etiopica siano rifacimenti di un originale greco perduto. Si presenta come una rivelazione di Gesù sul giudizio finale, la punizione dei malvagi, di cui si descrivono i tormenti, e la ricompensa dei giusti.
Atti di Pietro. - Atti apocrifi il cui originale greco, forse composto a Roma o in Asia Minore verso la fine del 2° sec., è noto solo in un frammento relativo al supplizio dell'apostolo. Se ne conservano anche un frammento copto e un rifacimento latino (Atti di Vercelli). Vi si narra della predicazione di P. a Roma, tra conversioni e miracoli nonostante l'opposizione di Simon Mago, dell'episodio di P. che fugge da Roma ma vi ritorna dopo aver incontrato il Signore diretto nella città per esservi nuovamente crocifisso, e della crocifissione di P. a testa in giù.
Lettere di Pietro. - Sono due brevi composizioni, conservate fra gli scritti del Nuovo Testamento. La prima lettera (I Petri) è diretta ai fedeli sparsi "nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadocia, nell'Asia e nella Bitinia". Il contenuto non ha uno speciale colorito locale o personale: è una esortazione a vivere in modo degno di cristiani e a soffrire le persecuzioni. Le Chiese appaiono di fondazione recente perché si ricordano spesso i vizî abbandonati del paganesimo; a capo di esse sono dei presbiteri, ai quali P. rivolge ammonimenti come "compresbitero e testimone dei patimenti di Cristo". La lettera è datata da Babilonia, che va intesa quale designazione di Roma. Ai suoi, P. unisce i saluti di "Marco, suo figliolo", che pure fu con lui a Roma (v. Marco Evangelista, santo), e accenna a un certo Silvano, fratello fedele, che alcuni critici considerano come una specie di segretario di cui P. si sarebbe servito: il concorso nella redazione di Silvano, già collaboratore di s. Paolo, spiegherebbe i richiami, nella lettera stessa, di frasi e concetti paolini, specie per quanto riguarda il sacerdozio di tutti i battezzati nel secondo capitolo (per questi richiami è da molti respinta l'autenticità di questa prima lettera). L'altra lettera (II Petri), divisa in tre brevi capitoli, non indica i destinatarî: a prova della verità della predicazione cristiana l'autore accenna alla trasfigurazione di Cristo e alle parole allora uditesi dal cielo. Varî episodî dell'Antico Testamento sono riportati nel secondo capitolo a condanna di "maestri bugiardi che introdurranno sette di perdizione" (2, 1). Contro uomini beffardi, che scherniranno i fedeli perché le promesse non s'avverano e la venuta del Signore ritarda, l'autore rileva che "dinnanzi a Dio un giorno è come mille anni, e mille anni come un giorno" (3, 8). Notevole un accenno alle lettere di Paolo poste fra "le altre Scritture", e che "uomini ignoranti e instabili stravolgono" (3, 16). La lettera ha rapporti stretti con quella di Giuda Apostolo: rimane incerto da quale parte sia la dipendenza. La critica (anche cattolica) rigetta quasi unanimemente la sua attribuzione a P., e anche la tradizione ecclesiastica fino al sec. 4° è molto incerta. Il Concilio di Trento l'accolse nel Canone.
Vangelo di Pietro. - Vangelo apocrifo risalente verosimilmente alla prima metà del 2° sec. e originario della Siria o dell'Asia Minore. Verso l'anno 200 il vescovo Serapione di Antiochia ne sconsigliava la lettura. È noto oggi per un ampio frammento in cui il racconto della passione, riutilizzando liberamente i Vangeli canonici, vuole dimostrare la divinità e l'impassibilità di Gesù, talora con espressioni che rasentano il docetismo, oltre a riversare la responsabilità della sua morte su Erode e sugli Ebrei scagionando Pilato. Il frammento comprende anche il racconto della resurrezione di Gesù, tra prodigi celesti, in presenza di molti testimoni.
v. opere missionarie, pontificie.