Secondo l’accezione originaria, ciò che è inviolabile in quanto protetto da una sanzione: gli ambasciatori, i tribuni della plebe, le mura, le porte; quindi, in genere, tutto ciò che, consacrato da una legge morale o religiosa, è per ciò stesso inviolabile, o ciò che, per comune consenso degli uomini, è religiosamente venerato o è considerato degno di venerazione. In senso stretto, s. è attributo della divinità, in quanto essere sommamente venerabile, e per estensione, di tutto ciò che appartiene a Dio o che da Lui emana, che ha un rapporto particolare con Dio, che a Dio è consacrato. Nella religione cristiana, in particolare nella Chiesa cattolica e nelle Chiese orientali, non coinvolte nella Riforma del 16° sec., il termine è riferito a credenze, ad atti e strumenti del culto, a luoghi e a cose che sono oggetto di culto, di venerazione, sia come espressione cosciente d’un sentimento di riverenza sia come più generica espressione di devozione e rispetto.
Nella teologia cattolica, santità è il complesso delle perfezioni morali e lo stato spirituale di chi le possiede. In maniera assoluta, trascendentale, la santità è propria di Dio e non è distinta dalla sua stessa essenza; in senso più limitato, l’attributo è applicato alla Madre di Dio e inoltre, in grado diverso, alle persone che hanno riprodotto in qualche modo la perfezione divina del Cristo o che hanno modellato la loro vita alla sua. Nell’etica cristiana, tutti i credenti sono chiamati alla pratica di una santità di vita, anche se non tutti vi pervengono al medesimo grado.
Nella Chiesa cattolica e nelle altre Chiese estranee alla tradizione della Riforma, in senso ampio, sono s. tutti coloro che appartengono al corpo mistico di Cristo, tutti coloro che sono figli di Dio perché soprannaturalmente partecipi della sua stessa vita; in questo senso, si parla della comunione dei s.; in senso più ristretto, sono s. coloro che, dopo la vita terrena, fruiscono della visione beatifica. In senso specifico poi, sono s. coloro che vengono invocati e venerati con culto pubblico, detto dai teologi culto di dulia. L’esercizio di detto culto è però lecito soltanto a condizione che sia permesso o approvato dalla Chiesa; pertanto, in questo senso, sono s. coloro che vengono dalla Chiesa dichiarati tali. Nei primi secoli questa dichiarazione era implicita nel permesso di culto concesso alle singole comunità dalle autorità ecclesiastiche locali. A partire dal 10° sec. la dichiarazione di santità, a tutti gli effetti e per la Chiesa universale, si ha mediante un atto espresso, esclusivamente riservato al papa. Normalmente esso consiste nella solenne cerimonia della canonizzazione (➔), con la quale da una parte si impone ai fedeli di credere che il s. canonizzato è certamente in Paradiso, dall’altra si additano le virtù da lui esercitate come sicura norma di vita cristiana e si permette che a lui ci si rivolga pubblicamente con la preghiera, come a intercessore presso Dio.
Le raffigurazioni dei s. nell’arte sono legate soprattutto a ragioni devozionali e seguono le fonti agiografiche e leggendarie. Elementi iconografici comuni caratterizzano particolari categorie di s., come i martiri, individuati dall’attributo della foglia di palma e, soprattutto per le s. martiri, della corona. Nell’ambito delle scene narrative, le sofferenze patite dai martiri costituiscono un tema particolarmente trattato nell’arte sacra, sviluppato a partire dall’ampia letteratura medievale sui primi secoli delle persecuzioni dei cristiani. In tali figurazioni si illustra spesso la capacità dei martiri di sopravvivere a torture mortali: si configurano così le immagini di s. Sebastiano trafitto dalle frecce, s. Caterina d’Alessandria legata alla ruota, s. Giovanni evangelista nel calderone di olio bollente. Simboli del martirio subito dal s. divengono d’altra parte suoi attributi specifici (la graticola per s. Lorenzo; la croce decussata per S. Andrea; i seni per s. Agata), confondendosi con altri, legati ad altre vicende biografiche o ad aspetti devozionali (gli occhi di s. Lucia, protettrice della vista, in riferimento al suo nome così come l’agnello per s. Agnese, simbolo di innocenza).
Gli Apostoli furono raffigurati fin dall’inizio dell’arte cristiana, quando furono talora rappresentati allegoricamente come colombe che circondano la croce o come agnelli, che escono dalle porte affrontate di Betlemme e di Gerusalemme verso il Cristo apocalittico. Risultano presto caratterizzate le figure di s. Pietro (con corta barba bianca, suo attributo sono le chiavi della Chiesa) e di s. Paolo (con lunga barba bruna e la spada) e gli Evangelisti, distinti mediante i quattro simboli apocalittici. Per gli altri, salvo il tipo giovanile dato talora a s. Giovanni o il tipo di vegliardo dalla barba folta e la capigliatura arruffata riferito a s. Andrea, fu adottata una tipologia generica e il comune attributo del rotulo al quale si aggiungeranno, dal periodo romanico in poi, gli attributi individuali, come lo strumento del martirio o del particolare mestiere (per esempio la squadra e il filo a piombo per s. Tommaso, ritenuto dalla tradizione architetto).
Simili consuetudini caratterizzano la costituzione dell’iconografia di altri s., anche canonizzati nei secoli successivi della cristianità, raffigurandone gli episodi salienti della vita da cui sono tratti, accanto ad aspetti apotropaici e devozionali, gli attributi iconografici che li rendono riconoscibili anche in rappresentazioni isolate. Specifiche iconografie sono inoltre legate a singole figure di s., come le Nozze mistiche con il Bambino per s. Caterina d’Alessandria; la presenza di s. Domenico e spesso s. Caterina da Siena nella Madonna del Rosario ecc. Una particolare iconografia è quella della cosiddetta Sacra Conversazione, nella quale, in un’ideale conversazione teologico-dottrinaria, un gruppo di s. circonda la Madonna con il Bambino, generalmente in trono a figura intera o meno frequentemente a mezza figura.
Lega s. Alleanza stretta a Roma il 4 ottobre 1511 fra Giulio II, Ferdinando il Cattolico re di Spagna e Venezia in risposta al Concilio di Pisa, promosso dalla Francia contro il papa, il quale aveva rotto la Lega di Cambrai accordandosi con Venezia. Enrico VIII d’Inghilterra vi aderì il 17 dicembre. Scopo della Lega era la difesa dell’unità della Chiesa dalla minaccia di scisma e la salvaguardia dello Stato della Chiesa dai Francesi. Le prime vittorie furono dei Francesi che occuparono Brescia e sconfissero, con l’aiuto degli Imperiali, le forze pontificie e spagnole a Ravenna (1512). Il congresso di Mantova mostrò come divergenti fossero gli interessi dei collegati. Ma, per l’energia spiegata da Giulio II, per il ritiro delle truppe imperiali e per l’apporto delle truppe svizzere, le sorti poi volsero a favore dei collegati: i Francesi, sconfitti nel 1513 a Novara dagli Svizzeri e a Enguinegatte dagli Inglesi, ripassarono le Alpi, mentre il concilio scismatico veniva trasferito a Lione. Nel 1514 la Francia concluse la pace con Enrico VIII, con l’imperatore, con il nuovo papa Leone X e con la Spagna. Alla preponderanza francese in Italia si sostituì quella spagnola; ma intanto lo Stato della Chiesa si era impossessato di Parma e Piacenza, Modena e Reggio.