Il nato della pecora, fino a un anno.
In tutte le feste e per quasi ogni genere di sacrificio, la legge mosaica prescriveva l’immolazione di agnelli. Particolare importanza rivestiva il sacrificio dell’ a. pasquale, ucciso dal padre di famiglia nell’atrio del santuario, la sera del 14 del 1° mese (nīsān), poi arrostito (disteso su due legni in forma di croce, senza spezzarne le ossa) e consumato. Nel Nuovo Testamento l’a. diventa un simbolo del Cristo, vittima innocente immolata per la salvezza degli uomini. Assente dai Vangeli sinottici, l’equazione simbolica a. = Cristo si trova nel Vangelo di Giovanni (Gesù indicato dal Battista come «l’agnello di Dio, che toglie il peccato dal mondo»); nell’Apocalisse l’immagine dell’a. ricorre 28 volte e, come «pecorella smarrita» e salvata, diventa anche simbolo del fedele.
Nell’iconografia, l’a. è simbolo cristologico tra i più diffusi. Come rappresentazione di Cristo, su volte o catini absidali, si presenta con il nimbo, spesso crucifero, eretto sulla roccia dalla quale sgorgano i quattro fiumi del paradiso o su uno sfondo stellato. Sino al sec. 7° si trova spesso raffigurato al centro dei bracci della croce (il concilio Trullano nel 692 ne proibì l’uso a favore della figura umana del Cristo crocifisso) mentre più particolare è il motivo dell’a., eretto o accasciato, con un calice che raccoglie il sangue dalla sua ferita. Con tali valenze si consolida l’iconografia dell’A. mistico, simbolo anche eucaristico, con la croce astile tenuta tra le zampe o con il vessillo, in riferimento alla Resurrezione, o nella visione paradisiaca dell’Adorazione dell’A. mistico. L’a. compare anche come rappresentazione del fedele, basata sul testo evangelico. Tra gli esempi più antichi è il motivo del Buon pastore, esplicita trascrizione della parabola evangelica.
Si chiamò a. (per l’a. pasquale che vi figura nel dritto) una moneta d’oro del valore di 16 soldi parisis coniata dai re di Francia, da Filippo il Bello a Carlo VII; ebbe larga diffusione e fu imitata negli Stati confinanti.