La più antica forma metrica della lirica d’arte nella letteratura italiana. Trasse origine dalla cansó provenzale e subì nel tempo varie modifiche fino agli stilnovisti e a Petrarca, che fu il modello fondamentale. Era accompagnata dalla musica. Dante la definì la più alta forma della poesia volgare, e per primo ne espose le leggi.
La c. che, dal Petrarca, è detta anche petrarchesca è composta di un numero indeterminato di strofe o stanze (in genere, tra 5 e 7); la stanza di un numero indeterminato di endecasillabi o endecasillabi e settenari, variamente disposti e rimati tra loro. Le stanze successive seguono lo schema della prima. Per ricordare la successione delle strofe, diffuse oralmente, i provenzali inventarono degli espedienti, imitati talvolta dagli italiani: per es., ogni stanza ripete nel primo verso la rima o la parola dell’ultimo verso della stanza precedente. Nel suo pieno sviluppo la stanza si compone di due parti, fronte e sirima (o sirma, coda): la fronte è costituita di due parti uguali metricamente, dette piedi; anche la sirima può essere composta di due parti uguali, dette volte. Il passaggio dalla fronte alla sirima si chiama chiave o diesi, ed è rappresentato dal primo verso della sirima rimato con l’ultimo della fronte: questo divenne di norma a partire dai poeti stilnovisti. La serie delle stanze si chiude su un commiato o congedo, nel quale il poeta si rivolge alla c. per darle qualche ammonimento o inviarla a qualcuno.
Tentativi di superare la struttura petrarchesca si ebbero fin dal 16° secolo. Un passo decisivo fecero i poeti barocchi con il superamento dell’articolazione interna della stanza. Nel sec. 17° A. Guidi creò la c. a strofe libere. G. Leopardi usò strofe di uguale lunghezza ma differenti per la struttura delle rime e per il tipo di versi; poi compose strofe di diversa lunghezza con mescolanza di versi rimati e versi sciolti in varia proporzione e dislocazione.
C. a ballo Nel 15° sec., ballata di tono popolaresco costituita da una stanza di 8 versi e da una ripresa di 4, ove si usava l’ottonario al posto dell’endecasillabo e del settenario della ballata aulica (per es. il Trionfo di Bacco e Arianna di Lorenzo il Magnifico).
Le forme musicali della monodia profana dei trovatori (cansó), che ebbe il suo corrispondente nelle composizioni di carattere narrativo dei trovieri, furono successivamente esportate con successo in Germania, dove si impose la struttura strofica del Lied, mentre in Spagna e in Italia l’intreccio tra sacro e profano in musica trovò espressione nelle laudi (di argomento religioso e carattere popolare) intonate dalle confraternite religiose. Nel 16° sec. il termine c. indicava un componimento a più voci di genere profano e a tendenze descrittive, imitative ecc., detto canzon francese, tipo che influì sulla condotta della c. strumentale, specialmente di quella per tastiera. Il successo delle composizioni polifoniche non oscurò la pratica del canto a solo con accompagnamento di strumenti (viola e liuto principalmente), che presto si trasformò, nella Firenze medicea a cavallo tra 16° e 17° sec., nel cosiddetto ‘recitar cantando’ (➔ opera). A parte i generi del tutto popolari più o meno diffusi ovunque tra il Seicento e il Novecento, la c. vocale si confonde dal 17° al 18° sec. in Germania con il Lied; con alcune sorte di Arie o Ariette in Italia, con la Romance in Francia. A partire dagli inizi del 20° sec., nel campo della musica leggera e popolare, con il termine c. si è sempre più spesso definito qualsiasi tipo di composizione contenente parole e musica.
Terreno fecondo per lo sviluppo della c. moderna fu l’America Settentrionale, luogo di fusione di tradizioni culturali diverse portate dalle correnti migratorie europee del 19° secolo. Alla fine del secolo la tradizione musicale europea dei coloni bianchi (radicata nella forma della ballad anglosassone) si mischiò con quella degli afroamericani, che aveva i suoi punti di forza nelle work songs, le c. che scandivano i ritmi di lavoro degli schiavi, e nei canti religiosi spiritual e gospel. Il blues, la c. afroamericana strutturata in tre versi di dodici battute in forma A-A-B, costituisce lo scheletro della moderna c. pop che subisce una standardizzazione in fatto di durata e ritmo con l’avvento e il successo della radio a partire dal primo ventennio del 20° secolo.